SENZA CENSURA N.27

novembre 2008

 

America Latina: effetto Jazz e piattaforme di reazione

 

Il materiale che presentiamo di seguito a questa introduzione crediamo permetta di comprendere meglio quanto sta avvenendo in Bolivia, con una mappatura delle forze reazionarie presenti nella parte orientale del paese.
La situazione in Bolivia crediamo che meriti di essere inquadrata in quanto sta avvenendo più in generale in America del Sud negli ultimi mesi.
Il grande fermento popolare, il prevalere in singoli stati di una borghesia nazionalista sudamericana a danno di quella oligarchica, il processo di integrazione regionale e, sul fronte internazionale, l’intensificazione dei rapporti commerciali (che diventano in qualche caso strategico militari) di alcuni stati sudamericani con potenze capitalistiche straniere come Russia, Cina, Iran.. continuano ad essere tra i principali punti dell’agenda della Borghesia Imperialista USA (BI) per quanto riguarda l’America Latina.
Il governo Bush e i suoi successori hanno il duplice problema di riuscire a rompere il processo di integrazione in formazione in America del Sud e destabilizzare le situazioni nazionali riconosciute come gli elementi più avanzati e di principale valore strategico. Fino ad ora gli sforzi da loro condotti in queste due direzioni non sembrano aver portato a risultati concreti.
Nello scorso numero abbiamo elencato gli attori politici principali che stanno agendo in questo versante del globo. Le soggettività di classe in Bolivia e in Venezuela sono, dopo quelle rivoluzionarie in Colombia, tra i principali “grattacapi” per gli USA nella regione, non solo per il ruolo nell’ambito dell’integrazione sudamericana dei rispettivi governi o perché questi chiudono l’accesso a riserve strategiche o a i capitali dei gringos.
A differenza di altri paesi di governo progressista in sudamerica, in Venezuela le organizzazioni popolari non vengono represse, o smobilitate o invitate a un disarmo generalizzato da parte del governo. Addirittura anche da parte di Chávez viene messa in discussione la democrazia formale rappresentativa e si spinge alla partecipazione popolare con la creazione di ambiti che vorrebbero porre il territorio ed il quartiere sotto il controllo popolare. In parte poi il dibattito politico portato avanti da alcune organizzazioni popolari/rivoluzionarie e da alcuni intellettuali è relativo a come implementare la transizione al socialismo dal capitalismo e sembra riflettere alcune del1le problematiche evidenziate dal Che in “Appunti per l’economia politica” e cioè il fatto che la transizione al socialismo non possa mai avvenire senza lotta di classe. Su questo tema, per dare un idea, il 15 di Agosto il presidente dell’Ecuador Correa nella cerimonia di insediamento del presidente del Paraguay, vuole qualificare il socialismo del XXI secolo come un socialismo buono, che non deve fare paura in quanto “un socialismo senza lotta di classe, dove i militari sono cittadini e dove le pallottole sono i voti” (fonte www.vtv.gov.ve). Vedremo nei prossimi numeri se si potrà ulteriormente sviluppare questo argomento con contributi diretti di organizzazioni di classe.
Sul fronte esterno regionale il governo del Venezuela non partecipa alle esercitazioni militari promosse dal Comando Sud degli USA e, più in generale in campo internazionale, oltre ad accelerare lo sviluppo di rapporti commerciali anche con la Russia in tema specifico di industria bellica, la dichiara alleato strategico, pianifica esercitazioni congiunte nel Mar dei Carabi in chiave dissuasiva nei confronti della riattivazione della IV Flotta USA e delle sue continue provocazioni lungo le coste del Venezuela, e infine solidarizza con essa su questioni come quella della crisi georgiana.
La situazione economica attuale ha diversi impatti in AL: ha già prodotto un rapido abbassamento del valore delle materie prime il che penalizza i paesi dell’integrazione in America del Sud, primo tra tutti il Venezuela esportatore di petrolio; può aprire a bancarotte e piani di aggiustamento strutturale in alcuni paesi più esposti. In questo quadro va considerato di interesse il fatto che il governo del Venezuela non solo ha ritirato una gran parte dei propri soldi dal circuito finanziario direttamente legato agli Usa ma soprattutto da qualche anno è uscito dall’FMI in una tendenza regionale che sembra essere quella di chiedere sempre meno soldi agli “strozzini” Usa dell’Fmi. Altro elemento di interesse per quanto riguarda le contraddizioni in gioco è invece legato alla rapida sostituzione di investimenti USA in Venezuela con quelli di altri imperialismi minori; ad esempio la Cina con il Venezuela passa, da avere 6000 miliardi di dollari di fondi per investimenti in ambo le nazioni nello scorso anno, ai 12000 miliardi di quest’anno quando pochi anni fa si parlava di solo qualche centinaio di miliardi. Privilegiando, quando possibile, degli scambi commerciali con soggetti locali (Brasile, Argentina).
Per noi, in ogni caso oltre che per il piano delle contraddizioni, l’interesse principale rimane per le soggettività di classe e rivoluzionarie, per la grande mobilitazione e combattività popolare in Venezuela, la grande influenza del popolo sull’esercito nonché l’intesa tra Chávez e organizzazioni popolari di radicalizzare la lotta per il socialismo in caso di attacco dell’imperialismo. Questo, insieme agli svariati tentativi mai riusciti di destabilizzazione del Venezuela da parte della BI Usa, e che dimostrano che l’imperialismo può essere battuto, costituiscono dal punto di vista politico uno dei principali problemi dell’agenda Usa per quanto riguarda la regione.
L’altro forte grattacapo in AL della BI Usa sono le soggettività di classe e rivoluzionarie della Bolivia. Come riportato in fondo all’articolo che traduciamo e presentiamo in questo numero, gli Usa, dopo che la grande combattività di classe in Bolivia ha abbattuto uno dopo l’altro i governi neoliberisti, hanno temporaneamente deciso nel 2005, anche se di mala voglia, di convivere con un ipotetico Morales presidente perché avrebbero potuto approfittare del suo carattere titubante e conciliatore, del poco controllo sull’esercito per colpire, dividere e depotenziare il cambio in Bolivia. Tutte le soggettività di classe tranne il MAS, che è il partito di Morales, hanno tutta una serie di rivendicazioni al governo. Sulla questione centrale della concentrazione delle terre viene imputato dal 2006 di non voler colpire seriamente il potere delle famiglie della “mezzaluna secessionista” e in generale le organizzazioni popolari reclamano le nazionalizzazioni di diversi settori produttivi, come promesso in campagna elettorale.
Sul fronte internazionale il governo Morales ha ereditato la partecipazione nella MINUSTAH e una delle promesse elettorali era il ritiro dei propri militari da Haiti, promessa che viene tuttavia disattesa e quindi reclamata dal popolo boliviano.
In queste due situazioni nazionali la BI Usa ha pianificato di dare il via per Settembre del 2008 a due tentativi di colpo di stato. Dopo il referendum senza valore legale sulle autonomie voluto dalle forze secessioniste, gli Usa hanno dato il via a Settembre all’occupazione da parte dei “secessionisti” delle istituzioni statali boliviane, con un intensificazione massiccia rispetto agli ultimi anni delle violenze ai danni di indios e di militanti della sinistra nell’oriente del paese. Ma il tentativo chiamato “secessionista”, nelle mire Usa, avrebbe dovuto arrivare spodestare il governo di Morales. E’ fallito ampiamente ma il merito è delle organizzazioni di classe e non tanto di Morales o dei paesi dell’america del sud riuniti in una riunione straordinaria di Unasur (1). Contemporaneamente in Venezuela è stato scoperto un piano per prendere il potere a partire da una strage in cui morisse Chávez. I media di stato e comunitari nella seconda metà di Settembre ricevono la registrazione di una conversazione tra ex militari venezuelani che discutono del colpo di stato. Si dirà che è telefonica ma in realtà si tratta di un intercettazione ambientale in cui i presenti chiariscono quali sono i reciproci rapporti con elementi in servizio e disponibili all’iniziativa, le possibilità di movimento, di attacco e le condizioni di avvio del golpe. Il presupposto principale è che bisogna cominciare dall’omicidio di Chávez, viene stabilito che senza questo non si può iniziare. Il periodo ipotizzato va dal 15 Settembre in poi e da questo giorno ogni “buco” nella sicurezza di Chávez deve essere sfruttato e la sua morte sarebbe il segnale di inizio.
I due tentativi di colpo di stato hanno come regia gli Usa e sono praticamente contemporanei. Scoperti i rispettivi piani e quasi simultaneamente gli ambasciatori degli Usa in Bolivia e Venezuela sono espulsi dai rispettivi paesi, vengono arrestate decine di militari coinvolti in Venezuela, in servizio e ritirati, e viene vagliata la fitta rete di rapporti e connivenze; vengono rese pubbliche le prove che dimostrano la regia Usa nei piani. Immediate si svolgono grandi mobilitazioni popolari in solidarietà con i processi in atto nei rispettivi paesi con dichiarazioni significative da parte di Chávez che una volta di più annuncia: “non sono più quello del 2002”; quando chiese perdono con la bibbia in mano dopo essere riscattato dalle mani dei golpisti; “di questa decisione non mi pento e ve lo dico per davvero non me ne pentirò mai” parlando dell’espulsione dell’ambasciatore Usa in Venezuela e alludendo forse al passo indietro che fece dopo la crisi di Marzo 2008 tra Colombia ed Ecuador dove alla fine chiese “che le Farc abbandonino le armi”. Infine rincara la dose ribadendo che “se mi dovessero uccidere sapete cosa fare” alludendo al piano di mobilitazione di emergenza, ai piani di contrattacco che tra le altre cose includono l’occupazione da parte del popolo venezuelano di tutte le realtà produttive del paese e il taglio delle forniture di petrolio agli Stati Uniti. Per questo forse McCain nella sua campagna elettorale dice apertamente che è impensabile dipendere così tanto del petrolio (1 milone di barili al giorno) venezuelano.
Bolivia e Venezuela sono nel centro del mirino perché, in questi due paesi negli ultimi anni si è diffuso maggiormente che in altri paesi un generalizzato rifiuto del modello di società capitalista: un rifiuto della riconciliazione tra le classi, della concertazione e del riformismo. In molti altri paesi dell’america del sud comunque, operano organizzazioni popolari e rivoluzionarie fortissime.

Nei confronti di Argentina e Brasile (ma anche del Cile) l’imperialismo Usa apre alle negoziazioni per la gestione della situazione economico finanziaria attuale. In ballo c’è una ristrutturazione capitalistica che prevedrebbe 20 milioni di disoccupati (secondo stime (in crescita!) dell’organizzazione mondiale del lavoro pubblicati a metà Ottobre) che vanno ripartiti a livello mondiale. Dal mondo “occidentale” vengono fatti languidi richiami ad una maggiore inclusione nella gestione della crisi nei confronti dei paesi in via di sviluppo, dall’altra parte si risponde alzando il tiro con il monito che, le ricadute della crisi finanziaria, Brasile e Argentina non vogliono (leggi non sono in grado!) farle pagare propri concittadini. Nell’ultimo periodo infatti da parte dei rappresentanti dei governi di Brasile e Argentina lo scambio di battute con il governo Bush è stato “pepato”. Il presidente dell’Argentina ha dichiarato il 23 Settembre all’Assemblea Generale delle Nazioni Unite: “A noi, paesi dell’America del Sud, avevano detto che il mercato risolveva tutto, che l’intervento statale non era necessario, che era nostalgia di gruppi che non avevano compreso l’evoluzione dell’economia. Eppure l’intervento statale più formidabile di cui si abbia memoria parte precisamente dal luogo in cui ci avevano detto che non era necessario. …
Oggi non si può più parlare dell’effetto caipirinha o dell’effetto tequila o dell’effetto riso, per denotare una crisi proveniente dai paesi emergenti verso il centro. Oggi dovremmo forse parlare di effetto jazz, l’effetto che va dal centro, dalla prima economia del mondo e si espande verso tutto il mondo. … “. E prosegue affermando che è una situazione che “non ci rende allegri, al contrario, ma che consideriamo anche un’opportunità storica per poter rivedere comportamenti e politiche”.
Questi due governi, ma il Brasile in particolare, sono motore della spinta di integrazione capitalistica delle borghesie nazionaliste sudamericane che formano Unasur e per quanto detto anche precedentemente, partecipano alle esercitazioni congiunte con il Comando Sud nei Carabi, hanno negli ultimi anni collaborato in esercitazioni congiunte con gli Usa nei propri territori, con il Brasile che comanda le truppe militari ‘antisommossa’ del MINUSTAH ad Haiti. “Se si considerano i diversi accordi economici e i bassi prezzi dei prodotti militari brasiliani, in futuro questo paese sarà il fornitore potenziale di tutto il continente” si scrive in un’ articolo dell’agenzia di stampa del Mercosur (2). Sempre in questo interessante articolo viene riportata una dichiarazione di un rappresentante dell’Instituto de Relaciones Exteriores de la Universidad de San Pablo (USP), Roberto Teixeira da Costa, che dice che i prossimi investimenti programmati da Lula con il Plan Estratégico Nacional de Defensa (PEND): “.. sono più legati ai riflessi tra gli accordi del Venezuela con la Russia, con acquisto di armi ed esercitazioni congiunte, per non rimanere tanto indietro riguardo al ruolo che il Brasile vuole svolgere a livello continentale”. E più avanti: “Secondo i dati della Asociación Brasileña de las Industrias de Materiales de Defensa y Seguridad(ABIMDE), il Brasile si trova al dodicesimo posto per spese militari nel mondo. Con le future spese il gigante sudamericano passerebbe dal 1,4 al 2,4 per centro rispetto al suo prodotto interno lordo. … La politica militare di unire il settore statale con quello privato arriva da una proposta del Brasile che il 23 di Marzo nell’incontro costitutivo della Unione di Nazioni Sudamericane (Unasur) per la formazione di un gruppo di lavoro per la definizione di un futuro Consiglio Sudamericano di Difesa. ‘Non è una alleanza operativa, non è una Organizzazione del Trattato Atlantico del Nord (NATO) del sud, non è un Esercito Unito del Sud, è un’entità che si muoverà sui binari di Unasur per formare e identificare una politica di difesa sudamericana’, ha dichiarato il ministro della difesa brasiliano Nelson Jobim.”
Nella riunione straordinaria di Unasur a metà Settembre al palazzo della Moneda in Cile, altro campione di spese militari nella regione, il tema è stato l’emergenza “destabilizzazione sotto il naso” come è stata definita l’escalation di violenza innescata dal fronte secessionista/golpista/imperialista che avrebbe dovuto portare al colpo di stato in Bolivia. La proposta di Chávez di condannare in maniera diretta gli USA per l’ingerenza in Bolivia non è passata. Ha vinto piuttosto la linea di appoggio al governo di Morales, legittimo e democraticamente eletto, e viene ribadita l’inviolabilità dell’integrità territoriale della Bolivia. Questa linea raccoglie l’immediato plauso da parte dell’Unione Europea che “si associa alla dichiarazione della Moneda” (ndt Consiglio dell’UE del 19 Settembre). L’ambasciatore spagnolo alla Commissione Europea ed eurodeputato per il partito socialista, Emilio Menendez del Valle, ha celebrato che “per la prima volta il sudamerica cerca di risolvere i suoi problemi evitando che intervengano gli Stati Uniti, paese che, inoltre, si è astenuto dal rilasciare dichiarazioni simili a quelle della Moneda, cosa che ci dice da sola la politica degli Stati Uniti nella regione”(El Pais, 15 Ottobre). Con gli Stati Uniti fuori dalle trattative, è Unasur a ricoprire il ruolo che normalmente in questi casi ricopre la OEA e quindi gli Usa nella regione. Sono i paesi di Unasur che in maniera economicamente interessata in Bolivia spengono il fuoco facendo pagare il prezzo delle violenze secessionisti ancora sulle masse popolari. l’appoggio di Unasur è infatti fortemente condizionato da alcune iniziative che Morales deve intraprendere per la gestione della situazione. Deve dialogare con la feccia anticomunista e razzista della “mezzaluna” boliviana, tradendo la volontà popolare che lo ha portato al governo e recentemente ratificato, volontà che vorrebbe il castigo per i golpisti e non il dialogo con loro. Unasur nomina inoltre una commissione che investighi sui casi di genocidio come se non fossero già sufficientemente chiari, prendendo tempo sulle responsabilità dei golpisti nelle stragi. Come già abbiamo detto nel 2004/2005, il Brasile ha in Bolivia enormi interessi produttivi e agricoli e si concentrano proprio nelle zone della “mezzaluna”. Petrobras è la principale impresa petrolifera ad operare in Bolivia. I ricchi di Santa Cruz e Tarija fanno commerci con Petrobras e ci sono imprenditori brasiliani con ampi appezzamenti di terra dedicati alla coltivazione della soia proprio nelle zone controllate dai golpisti. Per questo la proposta costituzionale da votare a Gennaio 2009 non contiene elementi che intaccano il latifondo, che è il potere dei golpisti nella “mezzaluna” perché i provvedimenti contro la concentrazione di terre proposti nella nuova costituzione non hanno valore di retroattività.

L’opzione “secessionista” non è l’unica tattica che gli Usa adoperano e non ne progettano l’uso solo in Bolivia. Sicuramente in questo paese il processo è partito prima ed ha visto impegnati gli elementi con maggiore esperienza come l’espulso ambasciatore Usa in Bolivia Philip Goldberg. Agli ordini del vicesegretario di stato Usa John Negroponte, che sovrintende le diverse attività delle ambasciate statunitensi del mondo e che è artefice dei cambi di regime attraverso i paramilitari in America Centrale e poi in Iraq, Goldberg aveva preso posto in Bolivia dopo il periodo in Kosovo (2004-2006). Lì era capo della missione statunitense a Pristina ed era in contatto con i paramilitari narcotrafficanti dell’UCK. Fin dal suo insediamento come ambasciatore Usa in Bolivia ha avuto il compito di continuare a provocare una frattura nel paese in chiave golpista. Ha sviluppato una grande quantità di rapporti e appoggi nella zona orientale del paese, con i “portatori dell’iniziativa privata” facendo scuola di formazione di propaganda, agitazione anticomunista, repressione. Il finanziamento al progetto è avvenuto attraverso i canali normali con cui vengono pagate le campagne “sottacqua” dei servizi Usa in questi casi: USAID e NED. Non hanno solo aiutato e formato la destra boliviana: una parte dei soldi dell’Usaid finisce anche fuori dalla mezzaluna e proprio in alcuni dei barrio popolari più combattivi dell’altipiano (El Alto, La Paz, Oruro). A volte questi soldi finanziano opere di bene, a volte fomentano scontri tra bande e aumento del livello della violenza, come in alcuni barrios di Caracas, sta di fatto che provengono dallo stesso portafoglio dei fondi che arrivano per la “secessione” e il colpo di stato. Il piano in generale, al di là degli stretti confini della Bolivia riguarda altri almeno altre due situazioni nazionali: Venezuela ed Ecuador. Come in Bolivia, l'attività di provocazione anticomunista Usa si concentra in quelle province di forte iniziativa imprenditoriale, magari sede o in prossimità di basi Usa o distretti di intesi commerci con il nordamerica, o infine zone di confine con nazioni come la Colombia che la principale piattaforma regionale da cui "tracimano" violenza e paramilitarismo come in Zulia ,Venezuela.
Il 15 Settembre del 2006 a Guayaquil (Ecuador), nell’atto conclusivo dell’incontro dal titolo ‘Foro internacional por la libertad y la autonomia regional’ si leggono una decina di firmatari, tra rappresentanti di camere di commercio locali, rappresentanti di un fantomatico Movimento Libertario ecuadoriano, politici di destra e imprenditori di Bolivia, Venezuela, Guatemala, Perù e naturalmente Ecuador.
Andranno seguiti gli sviluppi dei piani dell’imperialismo in AL che diversifica le linee di azione combinando vie secessioniste al potere e vie golpiste e in ogni caso continuando a non raggiungere i propri obiettivi.

Note:
(1) Nel documento “SANTA CRUZ: Frente Popular de Resistencia del Plan 3000 - Manifiesto Político” si ritrova il punto di vista di un’organizzazione popolare, un barrio, che nel cuore del “territorio dei reazionari” ha resistito gloriosamente agli attacchi delle squadracce anticomuniste dirette localmente dai prefetti della “mezzaluna”.
(2) “Brasil y su industria militar” www.prensamercosur.com.ar



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