SENZA CENSURA N.27
novembre 2008
Bolivia: la ribellione dei 100 clan
La Paz Gennaio 2008.
Proprietari di persone e fattorie, circa 100 potenti clan familiari, che inoltre
controllano la agro-industria, il commercio estero, le banche e i grandi media,
dirigono dall’oriente e dalle valli della Bolivia la ribellione oligarchica
contro il presidente indigeno Evo Morales.
I clan familiari si sono già impossessati delle terre più fertili della Bolivia
e hanno messo insieme giganteschi latifondi, dove hanno costruito un crescente
potere economico e politico, gestendo a proprio beneficio le principali
organizzazioni padronali, civili e anche popolari delle regioni orientali e del
sud del paese (Santa Cruz, Beni, Pando e Tarija), da dove cospirano per buttare
giù l’”indio presidente” e cercano di costruire un proprio stato, con un suo
parlamento e polizia e con il controllo assoluto sulle terre, sulle imposte e
sull’educazione. (1)
Secondo una nota del Programma delle Nazioni Unite per lo Sviluppo (PNUD),
analizzato da EconoticiasBolivia, questo centinaio di famiglie ha nelle sue mani
25 milioni di ettari, cinque volte di più che due milioni di contadini che
lavorano in altri cinque milioni di ettari e che sopravvivono in condizioni
penose nei minifundios, impoveriti dall’enorme sfruttamento agricolo e dalla
bassa produttività.
I padroni di Santa Cruz
Il loro potere è enorme, specialmente a Santa Cruz, la regione più prosperosa
della Bolivia e dove si concentrano le terre più fertili, i boschi ed enormi
giacimenti di gas, petrolio, minerali e biodiversità. Lì, nell’epicentro della
congiura secessionista, che ha forti tratti di razzismo nei confronti della
gente dell’altipiano e agisce protetta da bande fasciste, i clan familiari
controllano la terra, i commerci nelle zone urbane e il potere politico (la
prefettura e il Comitato Civico rispondono al loro mandato).
Lì secondo i dati dell’Istituto Nazionale della Riforma Agraria (INRA), solo 15
ricche famiglie possiedono mezzo milione di ettari di terra fertile e vicina ai
mercati, che equivalgono in superficie a 25 volte lo spazio occupato dalla città
di Santa Cruz de la Sierra, che è di 20 mila ettari e in cui vivono un milione
di persone.
Qui ci sono i clan di Saavedra Buno, Monasterio Nieme, Justiniano Ruiz, Roig
Pacheco, Rapp Martínez, Antelo Urdininea, Keller Ramos, Candia Mejía, Castro
Villazón, Ovando, Fracaro, Sánchez Peña, Nielsen, Bauer y Elsner.
La famiglia Monasterios, per esempio, controlla una superficie di terra tre
volte superiore alla città di Santa Cruz. Molta di questa terra gli è stata data
in dotazione (gratuitamente) da parte dei governi militari e neoliberisti, in un
aperto traffico di appoggi, secondo INRA e il Viceministero della terra.
Altri che accumulano le terre sono i Gutiérrez (96 mila ettari), Paz Hurtado (76
mila), Gasser Bowles (72 mila). Secondo i dati ufficiali che abbiamo in
possesso, solo i clan delle famiglie Guiteras, Monasterios, Leigue, Yañez,
Majluf, Antelo, Asbún e Salas Abularach si sono impossessati di 3,1 milioni di
ettari tra Santa Cruz e Beni.
In media, in Bolivia, una famiglia di terratenientes ha un quarto di milione di
ettari (250 mila) di terra fertile, mentre una famiglia contadina possiede
appena un ettaro con poca capacità produttiva.
Padroni della terra e della vita
Tra questi grandi potentati c’è anche il clan dei Marinkovic, che possiedono,
senza carte legali, più di 26 mila ettari della regione orientale, sei mila
ettari in più di tutta la superficie della capitale cruceña (ndt di Santa Cruz).
Secondo il direttore dell’INRA, Cliver Richa, la famiglia Marinkovic non
possiede i titoli di proprietà delle terre che reclama come proprie, ed è
inoltre illegale la loro intenzione di recintare 14 mila ettari del popolo dei
guarayos.
Il clan croato dei Marinkovic ha collocato uno delle proprie file, Branco, alla
testa del Comitato Civico di Santa Cruz, ed è, insieme al prefetto (ndt che è il
governatore della regione) Ruben Costas (un altro razzista milionario allevatore
e latifondista) un capo visibile del movimento secessionista e cospiratore.
Tutti questi clan familiari si sono impossessati delle zone più fertili e sono,
letteralmente, padroni delle terre, dei fiumi, dei boschi, delle fattorie e
delle vite dell’oriente boliviano, nonostante i timidi tentativi di gestione da
parte delle autorità del governo.
“I fiumi, le lagune e le vie di comunicazione sono servizi pubblici, sono dello
Stato e per tanto non sono suscettibili di appropriazione da parte del privato”,
dice Richa, a mo’ di rimprovero.
L’asse dell’oligarchia
Il potere dei 100 clan, che proviene dalla terra, si è sviluppato negli ultimi
anni con il crescente controllo e dominio che essi esercitano complessivamente
nel settore dell’esportazione dei prodotti agricoli, nel settore delle
industrie, nello sfruttamento senza limiti delle risorse forestali, nel settore
delle esportazioni in generale, nelle banche e nei grandi mezzi di comunicazione
di massa.
I Marinkovic, per esempio, insieme al clan dei Cronenbol e due multinazionali,
una peruviana e un’altra nordamericana, controllano tutta l’industria dell’olio
di soia e di girasole, un settore nevralgico per il potere nell’agricoltura
dell’oriente del paese. Possiedono inoltre quasi la quinta parte delle azioni
del Banco Economico, secondo i dati della sopraintendenza delle Pensiones,
Valores y Seguros, inoltre possiedono anche altri commerci molto redditizi.
Gli allevamenti di Santa Cruz sono nelle mani dei Kuljis, Áñez y Monasterios,
sia per l’estensione degli allevamenti sia per il controllo che esercitano sui
mattatoi, i frigoriferi e le catene di supermercati. Tutti sono stati legati
sempre ai governi neoliberisti.
I Kuljis sono azionisti del Banco Economico, proprietari della cartiera Empacar
e di una grande conceria, padroni della catena televisiva Red Uno e della
Università Cruceña Mateo Kuljis.
I Monasterios sono padroni di grandi frigorifici, azionisti di maggioranza del
Banco Ganadero e proprietari della rete televisiva Unitel, da dove dirigono il
principale attacco mediatico contro Morales. I dati del INRA, mostrano che la
famiglia Monasterio possedeva a Santa Cruz 78.340 ettari nel dipartimento e
nella capitale aveva altri 20.505 ettari.
Altri che hanno un grande peso nel settore bancario sono i Saavedra Bruno, che
controllano quasi la quinta parte delle azioni del Banco Nacional de Bolivia, il
più vecchio del paese.
Le note informative della Superintendencia de Bancos confermano l’enorme peso
che hanno i latifondisti nel pacchetto azionario delle banche nazionali e
mostrano inoltre che vengono usati questi meccanismi per potenziare i loro
commerci e consolidare il proprio potere. Non sembra strano per questo che più
della metà del credito erogato da tutte le banche sia stato destinato a piccoli
gruppi di imprenditori di Santa Cruz e meno de la metà a altri otto dipartimenti
del paese.
Legati al capitale internazionale
Tutti questi clan sono fortemente penetrati dal capitale internazionale, non
solo per l’origine di molti di loro che provengono da discendenti di immigrati
europei (tedeschi, croati e serbi) ma anche per i legami con imprese straniere.
Non è strano per questo che un terzo della produzione e esportazione della soia
da olio è sotto il controllo di imprenditori brasiliani, diversi dei quali
affittano e/o comprano terre ai latifondisti nazionali. Un altro terzo della
produzione ed sfruttamento delle terre è sotto il controllo di imprenditori
argentini e russi e di piccoli produttori Mennonites e giapponesi.
Padroni e signori dei beni
Più a nord, nelle fertili pianure del dipartimento di Beni, la situazione non è
diversa. E’ il regno dei clan dei Guiteras, Llapiz, Sattori, Bruckner, Quaino,
Dellien, Avila, Nacif, Antelo, Salek. Lì 10 famiglie hanno poco di più di mezzo
milione di ettari (534 mila) che è per estensione, 500 volte più grande di tutta
Trinidad capitale del dipartimento.
Come in Santa Cruz e Pando, una mucca vale di più di una famiglia di contadini.
Il Potere politico ed economico si ripartisce tra padri, fratelli e figli.
Alcuni sono autorità regionali, altri deputati e consiglieri, altri sono capi
militari e padroni di imprese.
Imperano anche i Gasser, Elsner, Carruty e i Bauer Elsner. Tutti questi, che
vengono da famiglie europee, sono i padroni dei principali commerci, azionisti
delle banche e gestiscono a loro piacimento le cariche pubbliche, la giustizia,
la stampa e l’amministrazione pubblica. Non è casuale per questo che il prefetto
(governatore) sia uno di questi: Ernesto Suárez Sattori, un allevatore
latifondista ed ex parlamentare del partito fascista ADN (Democrática
Nacionalista dell’ex dittatore Hugo Banzer).
I padroni di Pando
Più a nord, a Pando, è il regno dei Sonnenschein, dei Hecker, dei Becerra Roca,
dei Vaca Roca, dei Peñaranda, dei Barbery Paz, dei Claure, dei Villavicencio
Amuruz, che governano nella stessa maniera in cui governano i loro simili a
Santa Cruz e Beni.
Queste otto famiglie concentrano circa un milione di ettari di terre fertili che
equivalgono a 2000 volte l’estensione della capitale della regione Cobija, dove
governa con loro un altro allevatore milionario, l’ultra destro Leopoldo
Fernández.
Il governatore Fernández è uno dei padroni e signori di Pando e la sua influenza
è tale che anche lo stesso Morales gli ha offerto, un anno e mezzo fa, che si
candidasse per il suo partito, il Movimento al Socialismo (MAS), per governare
la ricca regione di frontiera con il Brasile. Fernández rifiutò, lui non vuole
avere niente a che fare con gli indios.
Clan razzisti
Questi clan sono visceralmente razzisti e sono convinti che i contadini,
sfruttati come al tempo del feudalesimo, valgano meno delle loro vacche, e per
questo motivo non concepiscono che uno di loro possa essere l’attuale presidente
della Bolivia.
Questi gruppi oligarchici sono stati da sempre legati a doppio filo con il
potere politico. Hanno co-governato con le dittature militari e hanno lucrato al
massimo con i regimi neoliberali democratici e sanno molto bene conservare i
loro privilegi.
Per questo, dopo essere stati parzialmente e temporaneamente in ombra, i
latifondisti, dall’ottobre 2003 quando l’insurrezione popolare che destituiva
l’ex presidente Gonzalo Sánchez de Lozada (che loro hanno appoggiato fino
all’ultimo momento) hanno cominciato a recuperare il potere politico a livello
regionale, mediante una aperto scontro nei confronti del governo titubante e
conciliatore di Morales, che vorrebbe, alla fine, che le rancide elite di
oligarchi condividano il potere con le emergenti elite indigene (2).
Con il controllo delle masse
Con grande perspicacia, l’oligarchia ha approfittato negli ultimi anni dei
genuini e legittimi desideri della popolazione di migliorare le loro condizioni
di vita e ha innalzato le bandiere dell’autonomia e contro il centralismo.
Cercano di convincere il popolo che adesso, con l’autonomia, le risorse
economiche della regione non andranno lontane e serviranno per dare lavoro, pane
e progresso per tutti gli abitanti di Santa Cruz. Questo discorso ha pervaso nel
profondo la popolazione civile e le organizzazioni civiche e popolari, data
anche l’ambivalente posizione di Morales sulle autonomie e il recente taglio di
risorse ai danni della regione.
In questo processo, l’oligarchia ha esacerbato al massimo il razzismo e le basse
pulsioni per il regionalismo e il disprezzo per la gente dell’altipiano,
sentimenti che sono sempre stati latenti nelle regioni dell’oriente e del sud
del paese.
Non è casuale per questo che i clan controllino e dirigano le masse, mettano al
palo e se la prendano con i loro oppositori usando bande fasciste (3) e
sfruttino al massimo gli errori del presidente Morales, che fa poco o niente per
aprire una breccia tra i clan e la massa di poveri che vengono sfruttati e
utilizzati a loro beneficio.
Le defezioni di Morales
Impantanato nella sua politica di conciliazione e di rispetto della proprietà
privata, Morales non punta a sconfiggere il potere economico dei latifondisti,
non espropria la terra ai latifondisti né la ridistribuisce ai contadini e ai
piccoli produttori urbani.
Tanto meno cerca di sconfiggere l’estremo sfruttamento della forza lavoro che
attua il grande capitalismo. Non vuole per esempio triplicare il salario minimo
a 1.800 boliviani (quello previsto per il 2008 è di appena 577 boliviani), cosa
che aveva promesso nelle elezioni del 2005 e con cui potrebbe lasciare
l’oligarchia senza appoggio operaio e della gran parte della classe media. Il
governo non offre inoltre azioni concrete per appoggiare i lavoratori della zona
dell’oriente del paese nella loro lotta contro il capitale (legislazione di
protezione del lavoro, proibizione dei licenziamenti, controllo sugli
imprenditori, sui prezzi, ecc…)
I due anni di governo di Morales non si sono tradotti in un cambio positivo per
i più poveri delle zone di oriente del paese. I poveri continuano nelle stesse
condizioni o peggiori di prima, ed Evo non gli offre niente di tangibile: né
terra né salari, né freni allo sfruttamento del lavoro e nelle campagne e meno
nelle città e non contribuisce a porre fine all’egemonia politica ed ideologica
che hanno i clan familiari sulla popolazione di oriente e delle valli della
Bolivia.
Controllo sulle terre
Per adesso i clan usano l’appoggio delle organizzazioni sociali civiche e di
imprenditori e anche organizzazioni sindacali per difendere i loro privilegi e
organizzano i più poveri per attaccare il governo indigena di Morales e della
sua nuova proposta di Costituzione Politica dello Stato.
Questa nuova legislazione, che deve essere sottomessa al referendum nazionale
nel 2008 per avere validità giuridica, fornisce la possibilità di ridurre la
proprietà individuale della terra ad un massimo di 5 mila o 10 mila ettari
(equivalenti alla quarta parte o alla metà dell’estensione della città di Santa
Cruz che ha 20 mila ettari).
Questa restrizione colpisce gli interessi dei latifondisti e li obbligherebbe,
nel caso fosse approvata a ridistribuire le loro fattorie tra i membri del clan
familiare, come già fanno negli ultimi anni (le proprietà si suddividono tra i
figli, fratelli , cugini ed altri familiari) per burlarsi della legge ed evitare
la denuncia pubblica per accaparramento.
Freno a la Indiada
Il proposito principale dell’oligarchia è di riprendere il potere politico nella
regione e il controllo totale sulle terre, inoltre frenare Morales e l’indiada (ndt
dei movimenti popolari), che nonostante le promesse di Evo, vuole e lotta per
eliminare i latifondisti per avere accesso alla fine alla terra e alle
possibilità di una migliore vita per le loro famiglie.
Con tre milioni e mezzo di contadini poveri assetati di terra e giustizia, la
possibilità di una riforma agraria radicale rimane più viva che mai. Il 10 di
settembre del 2007, per esempio la “Cumbre de organizaciones sociales de pueblos
y naciones indigenas originarias campesinas y organizaciones populares de las
ciudades”, con presenza di massa di dirigenti del MAS (ndt partito di Morales),
ha approvato una dichiarazione che nel suo punto 9 stabilisce la necessità
urgente di “espropriare il latifondo senza indennizzo e distribuirlo
immediatamente tra i produttori delle campagne e delle città che siano disposti
a lavorarlo a beneficio della società”.
Doppio potere
Fino ad ora, l’oligarchia è riuscita in gran parte dei suoi obiettivi. Esercita
di fatto il potere politico e governa 4 delle nove regioni della Bolivia (Santa
Cruz, Beni, Pando e Tarija, dove si mettono in un angolo e si perseguitano i
dissidenti), avanza nel suo proposito di moderare il massimo la timida proposta
di Costituzione di Morales e cerca di legalizzare, anche se parzialmente, il suo
statuto autonomista. All’inizio di in dialogo nazionale con Morales è passata la
doppia promessa presidenziale che vuole che lo Stato diminuisca parzialmente le
risorse verso le regioni (200 milioni di dollari) e articoli la nuova
Costituzione con le richieste di autonomia regionale.
Dentro l’oligarchia sono visibili due tendenze. Una incarnata dal prefetto Rubén
Costas e dai clan vincolati ai settori produttivi agrari, del commercio e delle
banche, che pensano di continuare a premere su Morales per raggiungere un “gran
accordo nazionale” che garantisca l’esistenza di due governi in Bolivia, quello
loro, nell’oriente del paese e nel sud e quello di Morales nell’altopiano (4).
L’altra tendenza, rappresentata dai clan che gestiscono immensi latifondi
improduttivi e di terra non bonificata, per quanto riguarda i Marinkovic, ha un
forte peso nel Comitato Cívico de Santa Cruz, sono per avanzare con più forza
verso un’autonomia più radicale e per un maggiore scontro con il potere
centrale.
Alcuni vogliono consolidare quello che oggi già hanno conquistato, altri
vogliono ancora di più.
Il ruolo dell’ambasciata
Alcuni come altri aspettano, senza dubbio, i risultati dei dialoghi che i
prefetti hanno iniziato con Morales e i nuovi segnali dalle diplomazie di
Brasile, Argentina e Stati Uniti, che sono vitali per vedere fino a dove
arrivano con i loro propositi di costruire un proprio stato dentro la Bolivia.
Come ha denunciato il governo, l’ambasciata degli USA è quella che promuove e
finanzia gli intenti di separatismo dell’oligarchia. Le strette relazioni
dell’ambasciatore statunitense Philip Golberg con Costas e Marinkovic, e il
finanziamento dell’agenzia nordamericana di cooperazione USAID verso i politici
di destra sono la prova di questo e segnano l’evoluzione della politica di
Washington in relazione al presidente Morales.
Fino al 2002, il dirigente cocalero Evo Morales era considerato come il nemico
numero uno di Washington. Allora, l’ambasciatore Manuel Rocha minacciava
apertamente i boliviani di sospendere gli aiuti economici e rompere le relazioni
diplomatiche se avessero votato Evo, che dicevano essere legato al narcotraffico.
Senza dubbio, nel periodo 2003-2005, quando il combattivo popolo boliviano ha
fatto cadere due governi neoliberisti (Gonzalo Sánchez de Lozada e Carlos Mesa)
e minacciò di cacciare dal paese le multinazionali del petrolio e delle miniere
che saccheggiavano la Bolivia, nazionalizzando il gas, le miniere e le terre,
Washington ha rivalutato il ruolo di Morales e ha deciso, anche di mala voglia,
di convivere con lui, e ancora di più quando questo ha vinto le elezioni di fine
2005 con il 54% dei voti.
Appena al potere, Morales ha moderato l’animosità popolare sull’espulsione delle
multinazionali e ha raggiunto nuovi accordi con quelle del petrolio,
legalizzando i loro contratti e garantendo le loro proprietà, i loro
investimenti e i loro profitti. Ha dato anche ampie garanzie per la proprietà e
l’investimento privato che agiscano in conformità con le norme e le leggi.
Tutto questo fa piacere a Washington, anche se non è sufficiente per annullare
il crescente appoggio statunitense alla causa dell’opposizione oligarchica.
L’allineamento di Morales con i regimi di Cuba e Venezuela, la sua tolleranza
per le coltivazioni limitate della coca, la sua permanente e stridente retorica
antimperialista e la minaccia che i settori radicali di indigeni e lavoratori
vadano oltre al presidente indigeno (5), fanno in modo che l’ambasciata non
confidi in Evo e cerchi, al contrario, di limitare il suo potere nell’altipiano,
come già sta avvenendo.
L’amministrazione Bush attacca Morales e ha inviato il suo maggiore esperto in
separatismo come Philip Goldberg, che già ha lavorato tra il 94 e il 96 come
assistente speciale dell’ambasciatore Richard Holbrooke, uno degli strateghi
della disintegrazione della Jugoslavia e della caduta nel 2000 del presidente
Slobodan Milosevic. Goldberg ha promosso la separazione tra Serbia e Montenegro
ed è anche stato in Kosovo, generando conflitti tra serbi ed albanesi. Adesso è
nelle Ande boliviane alimentando la ribellione dei 100 clan.
[tratto da
www.econoticiasbolivia.com]
Note:
(1) vedere “La oligarquía arma su propio Estrado” alla pagina
http://www.econoticiasboli-via.com/documentos/notadeldia/asamblea8.html
(2) vedere “García Linera: Las élites comparten el poder” alla pagina
http://www.econoticiasbolivia.com/documentos/notadeldia/garciaelite.html
(3) vedere ” En Santa Cruz reina el fascismo” alla pagina
http://www.econoticiasbolivia.com/documentos/notadeldia/asamblea14.html
(4) vedere “En Bolivia hay dos gobiernos” alla pagina
http://www.econoticiasbolivia.com/documentos/notadeldia/asamblea3.html
(5) vedere “Mineros en pie de combate” alla pagina
http://www.econoticiasbolivia.com/documentos/notadeldia/asamblea9.html