SENZA CENSURA N.27

novembre 2008

 

Sul fronte mare a La Spezia…

Intervista ad alcuni lavoratori portuali della Cooperativa Dock Service e alla “Rete Contro la Precarietà” di La Spezia

 

Come “Senza Censura” pubblichiamo questa intervista ad alcuni lavoratori di una cooperativa: la Dock Service, operante nel porto-container di La Spezia, che con l’appoggio dei compagne/i della “Rete Contro la Precarietà” di questa città hanno iniziato un lavoro di intervento nello scalo ligure.
Una lotta all’interno della cooperativa per il miglioramento della propria condizione lavorativa, ma anche un lavoro costante di denuncia delle condizioni di lavoro e di vita ruotanti attorno al porto e di informazione sulle iniziative della classe operaia portuale delle altre città.
Questa vicenda è sintomatica dell’involuzione del lavoro portuale in generale nella realtà italiana, sempre più in mano ai Diktat dei terminalisti privati e con le organizzazioni sindacali confederali totalmente supine ai progetti del capitale internazionale, pronte a “cogestire” lo sfruttamento della manodopera, come nel caso della Dock Service in mano alla Cisl, e/o l’estensione del lavoro precario sui piazzali e le banchine, come nel caso dell’agenzia di lavoro interinale In tempo, partorita tra l’altro a fine anni ’90 nell’ambito della FILT-CGIL, agenzia da poco acquisita dall’Obiettivo Lavoro.
In questa intervista emerge il paradigma della condizione lavorativa nei porti che il padronato vorrebbe si estendesse a tutte realtà lavorative del sistema portuale, così come i primi significativi tentativi di auto-organizzazione degli operai in una realtà che si trova ad affrontare un mostro bi-fronte: da un lato le pressioni dei “signori del mare”, dall’altro la gestione “gansteristica” del sindacato confederale, senza scordarsi il rilevante potere politico derivante ai partiti dal ruolo di “comitato d’affari” dei terminalisti privati.
Questo materiale si inserisce in un filone di lavoro d’inchiesta ripreso con il numero precedente della rivista sulla classe operaia marittimo-portuale, e che intendiamo proseguire sui prossimi numeri, così come riprende l’esperienza di questo gruppo di compagne/i che avevamo precedentemente intervistato in occasione di una lotta al call-center “Call and Call” di La Spezia, testimonianza apparsa sul num. 23 della rivista.
Sul prossimo numero continuerà la panoramica delle trasformazioni del sistema portuale ligure, sia per ciò che concerne l’aspetto legato all’organizzazione del lavoro, sia per ciò che riguarda l’aspetto urbanistico, prendendo in esame particolarmente i progetti di costruzione del nuovo porto turistico di Imperia (e i vari meno macroscopici progetti di cementificazione della costa ligure) e della nuova piattaforma portuale del colosso Maersk a Vado-Savona.

All’interno del porto di Spezia nel 2008 alcuni lavoratori di una cooperativa di sevizi, la Dock Service, hanno sviluppato una lotta autorganizzata per il riconoscimento di alcuni diritti e per il miglioramento delle condizioni di lavoro.

Che cosa è la Dock Service?
La Dock Service (DS) viene fondata nel 2002 da ex soci Duveco, nonché rappresentanti sindacali Cisl che, nell’ottica di una vera e propria concorrenza sleale fecero il possibile per affondare la vecchia cooperativa, dando vita ad una che la sostituisse, plasmata ad arte e sotto il controllo diretto di Cisl.
DS presta servizi di manodopera per conto e su commissione di LSCT (La Spezia Container Terminal del gruppo Contship / Euro Gate).
DS occupa, tra soci e dipendenti, circa 200 lavoratori tra piazzali e uffici. Si occupa di qualsiasi operazione manuale legata al carico/scarico dei container a bordo delle navi ed in banchina. Operazioni di “rizzaggio” (fissaggio) dei container, servizi di “spuntatura” a bordo ed in banchina, utilizzando sia dispositivi radio per comunicare con gli operatori delle gru, sia computer per la logistica dei box movimentati. I lavoratori DS non utilizzano mezzi come carrelli o gru, questi compiti sono svolti esclusivamente dal personale “LSCT”, che viene aiutati in tutte le mansioni accessorie e correlate a tale ciclo lavorativo.

Come è strutturato il lavoro all’interno della Dock Service, quali sono i principali problemi che vi trovate a vivere?
Op 1 - Il nostro lavoro in Dock Service all’interno del Porto LSCT di La Spezia, è strutturato per adempiere a tutto quello che riguarda le competenze per lo sbarco imbarco dei container a bordo navi porta container e in banchina (Dackman,Checker,rizzatori ecc.).
Siamo suddivisi in 5 squadre che ruotano 24 ore su 24, con turnazione programmata annualmente.
Fino qui tutto bene, tranne il fatto che non viene applicato il contratto nazionale, se non per i punti che convengono all’“Azienda”, si la chiamo così anche se siamo una cooperativa, dal momento che l’impronta e l’andamento da parte del consiglio d’amministrazione e del presidente sono solo filo aziendali nei confronti dei soci.
Operiamo in regime di flessibilità che a nostro parere supera di gran lunga quello consentito dal contratto, non percependo per essa alcuna maggiorazione.
Programmazione annuale per modo di dire, siamo flessibili nell’arco della settimana 4 giorni su sette, le 26 domeniche lavorative siamo sempre flessibili, e non sappiamo mai il turno prima delle17:00 del giorno prima, in più come già detto non ci viene retribuita questa flessibilità. Non ci viene retribuita una indennità per lavoro disagiato per gli agenti atmosferici a cui siamo sottoposti, lavorando all’esterno, tutto l’anno. Non ci viene pagata un’indennità per il lavoro prestato oltre il sesto giorno consecutivo.
Lavoriamo in condizioni inaccettabili per quanto riguarda la salute e la sicurezza dei lavoratori, soprattutto, quando lavoriamo in banchine fatiscenti, piene di buche, dove d’estate si respirano polveri di ogni genere e d’inverno ci troviamo con l’acqua alle caviglie.
Le operazioni sotto bordo per l’applicazione e rimozione dei twist (supporti per l’ancoraggio dei CT),da parte dei lavoratori è inadeguato e pericoloso.

Op2 - Il lavoro in porto è strutturato per rendere al meglio, cercando i migliori profitti, con la migliore spremitura delle risorse umane. Questa situazione è andata peggiorando nel corso del tempo, tanto che un portuale, una ventina di anni fa, guadagnava già di più di quello che guadagno oggi io, nonostante le merci movimentate fossero almeno 10 volte inferiori.
Per tanto nessun rispetto, nessuna solidarietà. Lo spettacolo deve andare avanti e la parola d’ordine è non fermare mai le operazioni in qualsiasi caso. E se hai il coraggio di fermare le operazioni ti fanno subito capire a tue spese cos’ è il mobbing.

Op3 - La continua richiesta di velocizzazione del ciclo produttivo per rispondere alle esigenze della produttività sempre più esasperata si trova in conflitto con le minime misure di sicurezza.
I problemi con i quali ci dobbiamo confrontare ogni giorno sono appunto legati alla sicurezza, ed alla salute della “macchina-operaio”. Ritmi da catena di montaggio, notti, avverse condizioni meteo, insalubrità dell’ambiente di lavoro, dettata da forte inquinamento da polveri sottili, e merci tossico/pericolose, estrema flessibilità, costante ricatto occupazionale, tutte condizioni che logorano l’operaio, ripercuotendosi sulla sicurezza individuale e di terzi, e sulla nostra vita privata.
La solidarietà nei confronti delle morti o gli incidenti di colleghi che si verificano in altre città è minima, come minima è la solidarietà tra i lavoratori dello stesso porto, anche di fronte ad incidenti gravi che frequentemente colpiscono i nostri colleghi.
Succede molto di frequente che quando a livello nazionale si indicono scioperi di 24ore, da noi diventano quando va bene di 2 ore... se non di un quarto d’ ora a turno.

Ci interessa capire come e da cosa è nata la vostra battaglia e come si è sviluppata
Op1 - Tante sono le situazioni che ci hanno portato alla decisione di muoverci in modo autonomo per cercare di cambiare qualche cosa. Negli anni passati abbiamo trovato sempre un muro da parte dell’“Azienda” stessa e da parte dei sindacati soprattutto dalla CISL in forza maggiore, per numero di iscritti ma anche per un particolare legame fra il vecchio presidente della DOCK SERVICE, che militava negli anni 80 nella dirigenza della CISL della Spezia, e che ha lasciato ampio spazio ai suoi predecessori, che si sono insediati nella cooperativa come CDA e Presidente senza fare alcuna assemblea tra i soci e quindi chiedere nessun parere.

Op 2 - La nostra battaglia? Quando come noi ti trovi a lavorare per cooperative, o meglio aziende travestite da cooperative di cui i sindacali confederali sono i proprietari, e tutti e tre si spartiscono la torta, usurando il tuo già misero lavoro da operaio, per forza ti trovi nella condizione di dover iniziare una lotta che non può che essere sganciata dai sindacati. Anche perché se non la fai da solo chi speri ti aiuti, forse il sindacato padrone?

Op3 - La lotta è nata dai problemi di cui parlavamo prima, costantemente non affrontati e cronicizzati nell’arco degli anni, grazie al menefreghismo dei sindacati confederali, in palese combutta con i padroni. Si è giunti ad un punto di diffuso malumore generale tra i lavoratori, cosi non si poteva andare avanti... e i più si sono rivolti ai pochi che nel corso degli anni si sono sempre dati da fare per contrastare le situazioni più critiche dettate da un trend Aziendale atto al totale e meschino sfruttamento della forza lavoro.
Si è cosi deciso di riprendere una vecchia idea già utilizzata in passato.
Ovvero elaborare una piattaforma economico/lavorativa, per rivendicare i nostri diritti. Si sono ascoltate le idee e le richieste di tutti, si è elaborato un documento e lo si è iniziato a far circolare tra i lavoratori, in modo che venisse sottoscritto dagli stessi.
Prima e durante questa fase abbiamo avuto l’appoggio delle “Rete Contro la Precarietà” di cui alcuni di noi facevano parte. Grazie al confronto e alla discussione con questi compagni sono stati scritti alcuni comunicati e volantini sul porto, dove si sottolineava l’importanza della pratica dell’auto-organizzazione extrasindacale e si cercava di sensibilizzare verso tematiche quali, diritti fondamentali della persona/operaio, sicurezza, salute, salario e quanto altro, esprimendo solidarietà a coloro che in quel momento stavano lottando.
Tale lavoro esterno ha contribuito a convincere anche i più timorosi a farsi avanti e sottoscrivere tale piattaforma.
In più un discreto numero di lavoratori diedero in dietro la propria tessera sindacale. Una volta che si era sparsa notizia di tale manovra spontanea, l’azienda iniziò, a braccetto con i sindacati, ad inasprire i rapporti con i lavoratori. Raggiunto un numero di firme che nonostante il forte clima repressivo, superava di gran lunga le nostre più rosee aspettative, addirittura l’80% dei soci, si è deciso visto che l’assemblea per l’approvazione del bilancio era alle porte , di inoltrare a mezzo raccomandata la petizione, chiedendo che la discussione della stessa fosse messa tra “le varie ed eventuali” di tale assemblea. La risposta aziendale non tardò: un no secco, ovviamente.
A questo punto abbiamo deciso comunque di partecipare all’’assemblea e abbiamo chiesto che prima di votare il bilancio, si discutesse dei reali problemi dei lavoratori, vedendoci nuovamente negata tale possibilità, al momento del voto del bilancio ci siamo astenuti in 72, cosa che significava che il bilancio non poteva in quella seduta essere approvato.
Dopo il panico sul volto di dirigenti, capi, capetti e colleghi mezzi-uomini, il cda della DS ha preso atto della non approvazione del bilancio e fissato una nuova data per una nuova votazione dello stesso.
Dal giorno seguente la Cooperativa ha reagito con una forte repressione e le intimidazioni hanno iniziato a farsi più forti... con minacce di licenziamenti e di eventuali perdite di appalto, tutto ovviamente condiviso e supportato anche dai sindacati confederali. Dal nostro canto noi abbiamo cercato di riprendere a fare riunioni esterne ad orario e luogo di lavoro per ricompattare il gruppo un po’ stordito dal rapido susseguirsi degli eventi.
Quando poi i dirigenti si sono resi conto che le minacce non sortivano l’effetto desiderato, sono dovuti scendere a compromessi e trattare direttamente con i lavoratori by- passando quindi il legame sindacale. La mattina stessa della seconda assemblea per il bilancio, nel timore di un possibile seguito al voto negativo l’azienda stessa si è vista costretta a firmare un documento con alcuni punti migliorativi, poi deliberato in assemblea.
Tale lotta ha fatto barcollare il futuro steso della cooperativa, ha prodotto la rimozione dell’allora direttore del personale, giudicato “incapace” di evitare tale diatriba, ed ha prodotto qualche piccolo miglioramento delle condizioni di lavoro. Da una piattaforma firmata da circa 70 soci su 110,comprendente 27 punti migliorativi, se ne è ottenuti solo 5.
A questo punto però una buona parte dei lavoratori “in lotta” ha scelto un’altra strada e ha deciso di entrare nella Cisl, cosa che ha fatto gioco forza per l’azienda, che è riuscita a ristabilire un nuovo organico dirigenziale ex/novo.
Un nuovo clima repressivo è piombato sugli operai e in un periodo caratterizzato da grandi moli di lavoro, l’Azienda con inopinata decisione non ha rinnovato il contratto a 2 giovani a tempo determinati, chiaro segnale diretto, questo, ai firmatari.

La vostra lotta quindi è nata da un’esigenza interna ma ha ricevuto comunque appoggio da parte di un collettivo politico esterno. E’ stata una collaborazione che è servita al vostro interno?
Op2 - La collaborazione con un collettivo politico esterno è servita molto alla nostra battaglia,e per questo li ringrazio molto,ci hanno dato la carica e ci hanno fatto sentire che c’erano persone che sostenevano la nostra causa senza aver nessun interesse, mossi solo da quello che definirei un vero ideale di fratellanza.

Op1 - Come sottolineavo prima la collaborazione con la “Rete” è servita sicuramente molto in fase di partenza, dove una forte campagna di sensibilizzazione, espressa con volantinaggi diretti in porto, e attacchinaggi in città, è riuscita a spronare anche i colleghi più scettici verso forme di autorganizzazione.
Successivamente quando l’azienda ed i sindacati hanno iniziato a far circolare l’idea che la Rete volesse mettersi alla testa della protesta, si è deciso, anche per non sovraesporre i compagni della Rete che lavoravano in porto, di lasciare che il lavoro politico all’interno del posto di lavoro fosse svolto principalmente dai lavoratori stessi.

Quali sono stati le ragioni che hanno portato questo collettivo ad occuparsi della questione e quali sono gli elementi positivi di una simile collaborazione e quali invece quelli negativi?
Rete - 1 Per inquadrare le ragioni del nostro intervento sulla Dock Service è necessario sottolineare che il nostro collettivo parte dalla convinzione del superamento della centralità operaia ma non della centralità del mondo del lavoro.
Questo collettivo è formato da persone che vivono differenti realtà lavorative che conoscono la precarietà o che sono figure di operai classici, oppure sono lavoratori che lavorano nell’ambito della circolazione e della distribuzione, quindi da questo punto di vista è stato naturale occuparsi di porto.
Possiamo dire che per la prima volta ci siamo trovati a relazionarci con una classe di lavoratori molti più vicini alla vecchia classe operaia che non in altre esperienze che ci hanno visto intervenire nei confronti di luoghi di lavoro come i call center e la grande distribuzione. Questo ha comportato per noi una nuova esperienza, quindi, e purtroppo ci anche consentito di evidenziare le nostre lacune.
Una cosa davvero positiva è stata comunque aver vissuto un tentativo di esperienza e pratica che rispondeva al bisogno di ri-articolare un discorso complessivo di classe. Il fatto che lavoratori di altri settori siano andati a volantinare davanti al porto e abbiamo mostrato solidarietà è sicuramente un elemento positivo.
Durante il nostro lavoro abbiamo sicuramente scontato la propaganda padronale e la percezione che è stata costruita nel corso degli anni addosso a chi lotta senza avere un tornaconto personale. Dopo infatti aver cercato di diffondere l’idea che fossimo elementi poco raccomandabili e averci rappresentati come estremisti, come pazzi, il passo successivo da parte dell’azienda è stato quello di aver fatto circolare all’interno del porto la voce che la Rete agisse per conto di forze politiche, quando in realtà le nostre intenzioni sono sempre state chiare nei confronti dei lavoratori, nel rispetto della loro volontà e della forma autoorganizzativa che i lavoratori stessi si stavano dando, non suggerendo ne tanto meno pilotando la lotta.
Piuttosto il nostro obbiettivo era quello di dare alla lotta un aspetto più ampio, cercando di portare sul territorio il conflitto che nasce all’interno dei posti di lavoro, cercando di individuare gli ingranaggi visibili o meno visibili che lo generano nel tentativo di sviluppare un strategia complessiva anche sul territorio che potesse dare più respiro alla lotta dei lavoratori della Dock Service. In questo forse non siamo riusciti al meglio, pagando la complessità delle relazioni e delle dinamiche della portualità e della distribuzione.
Al di là di volantinaggi, attacchinaggi, non siamo riusciti, infatti, a produrre una assemblea pubblica con i comitati e le persone che si occupano dell’aspetto del porto legato alle nocività e all’impatto ambientale che esso produce sul territorio e sulle persone. Di fatto in questo caso non siamo riusciti.

Rete 2 - II nostro percorso all’interno del porto è iniziato perché alcuni portuali che fanno parte del collettivo hanno voluto condividere con la rete il loro percorso di lotta. In più il porto rappresenta un nodo centrale per la città sia per il ruolo che svolge nelle dinamiche economiche e politiche che per le nocività che produce ed esisteva quindi in questo caso la concreta possibilità di mettere insieme sia una lotta legata al posto di lavoro che una lotta più generale che riguardasse direttamente il territorio.
Di questa esperienza gli elementi positivi sono stati, oltre alla realizzazione della tanto cercata possibilità di un confronto fra differenti realtà lavorative, lo sviluppo di relazioni e di contatti con i lavoratori portuali che ha prodotto una collaborazione politica reale. Sicuramente una cosa che è pesata molto sul collettivo è stato il non riuscire a trasmettere a pieno le proprie idee ai lavoratori. Forse il coraggio espresso nei nostri volantini e nei nostri comunicati non è stato immediatamente capito anche a causa del linguaggio in cui abbiamo espresso le nostre posizioni.
Rete 3 - La nostra idea iniziale era quella di sviluppare un’azione ed un analisi complessiva sul porto, cercando di individuare i principali responsabili come avevamo fatto con la Call&Call ma dal confronto e con la collaborazione con i lavoratori è stato scelto di proseguire con un altro percorso.
Inizialmente infatti si era parlato di diverse azioni nei confronti di alcuni luoghi che noi ritenevamo cardine nella questione porto, ma ci siamo scontrati con una realtà differente rispetto a quello che avevamo affrontato nella lotta nel call center di Costamagna, determinata dal fatto che il progetto della rete andava di pari passo, con sessanta settanta lavoratori e per questo subordinato in parte alle necessità e alle richieste dei lavoratori stessi.
Mentre quindi al call center abbiamo avuto più spazio di azione e di decisione, in questo caso abbiamo modulato il nostro intervento.
Direi che l’aspetto più negativo è sicuramente stata la scelta dei lavoratori di entrare nella cisl, nonostante fosse una scelta plausibile dal loro punto di vista. momento che avevamo a che fare con una realtà sindacalizzata e noi non avevamo un progetto a largo raggio. Era plausibile che scegliessero una forma sindacale. Forse avevamo coltivato troppe aspettative rispetto agli sbocchi della lotta rispetto anche al tempo limitato di discussione e di analisi.

Quali sono state le principali ragioni che hanno portato molti lavoratori ad entrare dentro la Cisl e quali invece sono state le ragioni che hanno fatto scegliere ad altri di non seguire questo percorso?
Op 3 - Sicuramente uno dei problemi è stato il non essere riusciti a trasmettere a pieno le idee di autorganizzazione che alcuni di noi avevano, cosa molto nuova per la maggior parte dei lavoratori impegnati in questa lotta.
Il riversarsi in massa nella Cisl è stato dettato dall’incapacità, vuoi per costante ricatto occupazionale, vuoi per episodi passati dove ad ogni cambio d’ appalto, chi non era Cisl perdeva il posto, di confluire in un sindacato di base, o forse, ancora meglio, continuare il percorso di auto organizzazione.
Altri anche se pochi non hanno seguito tale percorso, perchè non lo riconoscevano a pieno, e perché erano stati “illuminati” sui rischi ed effetti che avrebbe prodotto tale manovra.
L’illusione dei lavoratori era quella di poter cambiare le cose dall’interno una volta entrati in massa nella Cisl. Ma come era possibile immaginare sono ben presto stati assorbiti, da un sistema molto più grande di loro. Basti pensare che i nuovi 80 iscritti cisl hanno firmato una sottoscrizione per la sfiducia dei rappresentanti cosa questa completamente ignorata dalla segreterie, che ha mantenuto il mandato agli stessi, che ovviamente continuano a sottoscrivere accordi peggiorativi.
Sicuramente, sia restando “cani sciolti”, che entrando nella Cub, l’azienda sarebbe restata sul chi vive, mentre entrando in un sindacato da essa controllato, abbiamo fatto la fine delle pecore al pascolo nel giardino dei lupi.

 

Op1 - La nostra decisione di entrare nella CISL è stata dettata dall’idea di cambiare gli attuali delegati sindacali che hanno dimostrato di non essere in grado di rappresentare in alcun modo le richieste e le esigenze dei lavoratori nei confronti dell’azienda, venendo, quindi, a mancare quel ruolo fondamentale di intermediazione, proprio del sindacato, nell’ambito del rapporto tra datore di lavoro e dipendente.
Gli iscritti, nuovi e vecchi, hanno raccolto le firme per un’immediata votazione per i nuovi delegati sindacali, ma da parte della CISL c’è stato un no secco,dicendo che le elezioni si sarebbero fatte a fine mandato,questa la dice lunga.
Le raccomandate con le firme sono state inviate il 18 Giugno 2008,e tuttora delle elezioni non se ne vede neanche l’ombra.
Gli strumenti per farci desistere da parte dell’azienda e del sindacato sono state quelle di prendere tempo cercando di sciogliere e demotivare il gruppo, da loro chiamato dei “dissidenti”.

Op2 - Io conosco molto bene le ragioni di quelli che sono entrati dentro la cisl,visto che ne faccio parte. E’ stata una scelta per entrare in casa del padrone, cercare di fargli fuori i delegati corrotti che fanno il loro gioco,creargli scompiglio dall ‘ interno. cercando di obbligare il sindacato padrone a fare anche il sindacato a favore del lavoratore.

Rete - L’esperienza di questi lavoratori è singolare. Da una parte le pratiche iniziali di questi lavoratori sono state avanzatissime, la formulazione di una piattaforma autogestita, autonoma e completamente sganciata dai canoni sindacali non è un’esperienza facilmente rintracciabile in altri posti di lavoro. Dall’altro una volta esplicata questa pratica è venuta meno una capacità di organizzarsi in una maniera altra che non fossero le consuete modalità di organizzazione.
Per poter capitalizzare questa esperienza i lavoratori hanno pensato di iscriversi nel sindacato maggioritario e provare a cambiare il sindacato, cosa che per le persone che sono più a dentro al mondo del lavoro o che vengono da una serie di esperienze di analisi critiche, può sembrare ingenuo. Ma in realtà se le persone conoscono solo quel modo di organizzarsi non si può pensare che ne scoprano immediatamente altro. E’ il limite che c’è. Per me quindi questa contraddizione rimane fondamentale: da una parte una pratica strutturata su una precisa situazione lavorativa, soci di una cooperativa che raccolgono le firme per boicottare un bilancio, come mezzo di pressione per indurre la controporte a cedere su tutta una serie di punti per migliorare le loro condizioni lavorative, chiaro che può succedere solo in una cooperativa, e che non può succedere in un’altra aziende dove il lavoratore non può davvero votare il bilancio, però la pratica c’è stata, e dall’altra parte invece abbiamo scontato noi come i lavoratori i nostri limiti attuali, quelli cioè di non aver ben chiaro se è bene che ci sia un sindacato o che non ci sia. Ci sono compagni fra di noi che credono che la presenza di un sindacato non sia decisiva o che addirittura alcune pratiche di auto organizzazione siano migliori per la lotta ed altri invece che credono che sia giusto che i lavoratori si riuniscano sotto una sigla sindacale e che poi attraverso il dialogo con questo sia possibile avere un confronto migliore e quindi una possibilità di una crescita nella lotta.
Le cose comunque non sono statiche e quello che magari è stata un piega negativa in una data situazione non è detto che non possa svilupparsi in modo dinamico in una ripresa.

La vostra lotta quindi si caratterizza come una lotta autonoma al di là della scelta finale, quali sono state le reazioni da parte del sindacato nei confronti del vostro percorso?
Op3 e Op2 - Il sindacato ha avuto reazioni ben chiare nei confronti di questa battaglia: nessun sostegno ma solo forti pressioni psicologiche sui lavoratori per farli demordere. Il sindacato di maggioranza , ossia la Cisl da cui per l’appunto è nata la nostra cooperativa, l’indomani della presentazione delle nostre richieste ha palesemente minacciato, per mezzo dei rappresentanti, i propri iscritti, di ritirare loro la tessera d’ ufficio, colpevoli, a detta loro di aver firmato una sottoscrizione antisindacale. Le altre 2 segreterie CIGL e UIL hanno preso a loro modo le distanze dai lavoratori. Poi in un secondo tempo hanno cercato entrambi di fare incetta di tessere, sfruttando il tentennamento manifestato dai lavoratori quando è stato il momento di consolidare l’autorganizzazione. Alcuni rappresentati sindacali che si sono trovati a spalleggiare l’Azienda contro noi operai in quei giorni di lotta hanno avuto “oggi” a distanza di mesi la loro “meritata promozione” a capi e capetti.

Come ha reagito la cooperativa, quali sono stati gli strumenti utilizzati per farvi desistere da un simile percorso?
Op3 - Mentre alcuni di noi, diciamo quelli della vecchia guardia si facevano carico di raccogliere le firme, i dirigenti D S iniziarono a chiamare gli operai uno ad uno in ufficio, per esortarli dal firmare tale documento, e prendere le distanze dagli ideatori di tale lotta, pena il posto di lavoro.
Alla fine della nostra lotta poi l’azienda è passato alle vie di fatto, visto che come avevano minacciato alla scadenza di contratti a termine, hanno fatto fuori due colleghi senza alcun motivo
Purtroppo nessun risultato raggiunto in breve tempo,ma per portare a casa li risultato dovresti non abbassare mai la guardia e pressare continuamente, cosa non possibile perché non siamo guerrieri, ma solo operai con parecchi problemi anche al di fuori della realtà lavorativa.

Op2 Mentre loro si difendono e si coalizzano benissimo visto che percepiscono lo stipendio solo per questo senza produrre assolutamente nulla.

Avete ricevuto solidarietà da parte dei sindacati di base e quali sono i vostri rapporti?
Op3 - Ci sono stati contatti e la solidarietà dai sindacati di base non sarebbe certo mancata, ma alla fine i lavoratori, forse per timore, vuoi per scarsa conoscenza di tale realtà... ne hanno preso le distanze.
Allo stato dei fatti comunque la Cub, unico sindacato di base presente all’interno del Porto, non ha espresso solidarietà alla nostra lotta nonostante alcuni lavoratori si fossero rapportati con il rappresentate del sindacato, e ha preferito non esporsi direttamente dal momento che nessun lavoratore in lotta era iscritto al quel sindacato.
Per spiegare la mia posizione nel confronti del sindacalismo di base, voglio citare un esempio di alcuni lavoratori dell’LCT che hanno aderito al sindacato di base anni addietro. Questi lavoratori, circa 15 ad oggi, hanno trovato un limite non tanto nel numero degli iscritti ma quanto un limite istituzionale, nel sindacato di base. Grazie all’appoggio della CUB hanno intrapreso un’azione di rivendicazione con l’ispettorato del lavoro in merito a questioni legate a salute e sicurezza, ma durante il tentativo di conciliazione con i dirigenti dell’’ispettorato del lavoro stesso i rappresentati CUB si sono dovuti scontrare con la salda convinzione espressa dai dirigenti dell’ispettorato sulla inopportunità di continuare una causa contro i terminalisti che di fatto erano indicati come i principali datori di lavoro all’interno del porto.
Da questo si può capire già perché un sindacato confederale non attui nessuna forma di lotta in questo senso, sapendo bene che il pensiero delle istituzioni e dei padroni è condiviso dallo stesso sindacato. Inoltre mi ha fatto riflettere sul fatto che un sindacato di base pur avendo la volontà di battersi in questo senso, necessariamente si vada sempre e comunque a scontrare con un opposizione granitica istituzionale che non gli consente di fare un passo in avanti. Quindi in generale al di là della sigla che si sceglie, spesso e volentieri, il problema è nel limite intrinseco del sindacato che dovendosi confrontare su base migliorativa e di rivendicazione, e scegliendo un terreno di lotta che comunque è confinato nei limiti istituzionali, in un terreno cioè che poco appartiene alla lotta dei lavoratori e molto di più a quella dei padroni, tende a fallire ed a non essere soddisfacente in questo periodo.
Comunque i miei colleghi che hanno presentato la causa collettiva per trenta persone, dopo tre anni ancora non hanno avuto nessun riscontro.

Pur nella specificità della vostra situazione lavorativa ritieni che un simile percorso sia riproducibile in altre realtà?
Op2 - Questo percorso sarebbe riproducibile ovunque in qualsiasi realtà ma purtroppo sono le persone di oggi che non lo rendono possibile, oggi trionfa ovunque l’individualismo senza nessun principio né logica. Da soli si perde sempre prima o poi.

Op1 - Essendo noi soci, per il poco che vale ancora, avevamo una maggior voce in capitolo, che un dipendente in qual si voglia realtà. La forzatura espressa da noi boicottando il bilancio aziendale, trova espressione futura solo dove il lavoratore abbia un rapporto di socio e non di dipendente. Comunque sia pregi e difetti, manifestati nella nostra lotta, decisioni sbagliate, ripensamenti e quant’altro, l’autorganizzazione paga, bisogna però avere forza e costanza per sposarla a pieno.
Quindi direi che il nostro percorso, inteso genericamente come tentativo di autoorganizzazione, e quindi la nostra intenzione è riproducibile in altre realtà, basterebbe essere uniti. E poi dagli errori si impara e ciò che si impara da essi è esportabile ed utile a chi e per chi un domani voglia intraprendere un simile percorso.

Rete
Una delle nostre proposte era quella che i lavoratori iniziassero a considerare la rappresentanza sindacale di area, anche nel tentativo di superare i limiti che la rappresentanza sindacale che su base aziendale testimonia.
Ma se già è stato difficile considerare l’ipotesi di costituzione di un sindacato di base, stando all’esperienza maturata nella DS, ancora più complicato è stato discutere di una proposta che metteva in discussione il modo di fare sindacato. Si deve partire infatti dal dato di fatto che molti ancora credono che sia possibile ottenere delle migliorie attraverso i sindacati confederali anche se questo è in netto contrasto materiale con quello che è la realtà. Tutti sappiamo che se i sindacati confederali fanno un accordo lo fanno peggiorativo. Ma questo convincimento va smontato sul piano materiale vale a dire vanno continuamente fatte notare delle contraddizioni, attraverso un’opera di dialogo per far capire la tua posizione che poi pur risultando vera potrebbe anche non essere accolta. Comunque tutto sommato l’importante è che continuino ad esistere pratiche e delle discussioni su questo argomento.

Tornando invece alla questione del lavoro in porto e della lotta che è possibile condurre quali spunti di riflessione secondo voi è possibile dedurre dalla vostra esperienza?
Op3 - In un contesto quale quello portuale dove vige un sistema Capitalistico iper produttivo, dove ogni miglioramento salariale è meramente legato all’esasperazione del ciclo lavorativo, dove lo sfruttamento della persona diventa il fine ed il mezzo per permettere alle Aziende di guadagnare a scapito e sulla vita dei lavoratori, che sono contemporaneamente vittime e complici, in quanto spesso si prestano al loro stesso sfruttamento per guadagnare qualcosa in più , mettendo a rischio la loro vita, diventa difficile ogni intervento esterno, se prima tra gli stessi lavoratori non si sia sviluppata una sostanziale presa di coscienza.
In porto alcuni aspetti tipici del mondo del lavoro oggi qua sono ancora più manifesti: l’arrivismo, le guerre tra poveri per poco di più al mese e per la promessa di una promozione che forse mai arriverà, scarso interesse per le questioni inerenti salute e sicurezza, palese compiacimento/connivenza tra azienda e sindacati, paralisi degli enti preposti al controllo quali ASL, Ispettorato del Lavoro, che si palesa ogni qual volta si necessiti un intervento deciso per fermare quelle che sono mattanze attuate sulla classe operaia.
Al giorno d’ oggi un lavoratore sia esso portuale e non, è precario due volte; la prima perché soggetto ad un quotidiano ricatto occupazionale, la seconda perché quando parte da casa per il lavoro non sa se ci tornerà vivo.

Rete- Dalla nostra lotta si può dedurre un aspetto sicuramente legato alla difficoltà di unire le persone all’interno di una lotta, e alla perdita di identità della classe. Il problema di sempre è che se la classe non riesce a riconoscersi ed ad esprimersi con pratiche quotidiane e materiali, rimane in balia dei valori della classe dominante. E quindi iniziano a subentrare nella lotta aspetti legati all’individualismo e all’esasperazione egoistica del proprio interesse, la paura di perdere la propria posizione lavorativa e sociale va a colmare l’assenza di valori altri che possono essere espressi e riconquistati solo se anche per un breve momento le persone si mettono insieme e assaporano un sapore diverso, il fatto cioè che hanno una forza uniti che da soli non hanno, il fatto che un agire collettivo è molto più efficace di un agire individuale, direi quindi tutta una serie di valori che sono la solidarietà, l’identità, l’appartenenza vengono espressi per contrastare l’aspetto individualistico
L’altro aspetto importante è che spesso si tende a confondere lo strumento con il fine. Nel nostro caso ad esempio i lavoratori della Dock Service che sono entrati nella cisl, hanno visto il sindacato come fine, vedono l’ispettorato come fine, ed in realtà percorrono un cerchio che poi li riporta da dove sono partiti ma più impotenti, disillusi dopo aver cercato di risolvere un problema inutilmente.
Gli strumenti che il capitale esprime come forma statuale, e che vengono fatti percepire in modo illusorio ai lavoratori come neutrali, ispettorato del lavoro, quali ad esempio Asl, giudice del lavoro, è necessario che siano visti per quello che sono, vale a dire rappresentazioni del capitale stesso che evidentemente non possono esprimere la risoluzione dei problemi. Storicamente la classe operaia ha sempre risolto i problemi attraverso le pratiche di lotta, il cui rivendicazione quando riuscivano a diventare pratiche troppo allargate, sono state necessariamente e cautamente riconosciute dallo stato. In questi casi, infatti, come forma di mediazione lo Stato ha dovuto concedere dal punto di vista giuridico formale una serie di diritti alla classe che spesso e volentieri sono rimaste solo parole o poco più; ci sono le leggi che vietano il lavoro straordinario, ci sono le leggi che vietano di lavorare in condizioni di insicurezza ma poi alla fine sono solo carta, parola sulla carta, parole nel vento, quello che conta per davvero sono i rapporti di forza che i lavoratori riescono a costruire.
E’ fondamentale sottolineare questo aspetto, e proprio questo dovrebbe contraddistinguere il rapporto che si ha con i lavoratori, il tentativo di far comprendere questa contraddizione, che mai come in questa epoca risalta ed è dannosa.
Data una condizione di debolezza oppure in certi momenti può essere utile far risaltare delle contraddizioni, ed allora tatticamente è comprensibile il ricorso ad azioni legali, esposti o quant’altro, ma deve essere chiaro che sono solo mezzi temporanei, espressione arretrata anche in un ottica sindacale.
Chi si confronta con la vita reale dei lavoratori sa bene che non ci sono vittorie scritte sulla carta ma solo battaglie quotidiane da affrontare.

 

Strutture Operative

All’interno di una rada di circa 1500 ettari, protetta da una diga foranea di circa 2.200 metri che assicura l’operatività tutti i giorni dell’anno, il porto della Spezia ha 5.100 metri di banchine e 575.000 mq di aree disponibili con 17.000 metri di binari ferroviari e 3.500 metri di strade. I pescaggi arrivano fino a 14 metri consentendo l’accosto alle navi portacontainer dell’ultima generazione.
I terminal hanno gru con capacità di sollevamento fino a 100 tonnellate e magazzini coperti per un totale di 13.000 mq. Rimorchiatori, piloti e ormeggiatori garantiscono i movimenti delle navi 24 ore su 24 per 365 giorni all’anno.
Sono operativi, con relative attrezzature specializzate, due terminal container, tre terminal multipurpose, due terminal petroliferi, un terminal carbonifero, un terminal per GPL, due terminal per cereali, un terminal per oli alimentari, un terminal per rinfuse, due terminal per cemento.

La Spezia Container Terminal
Lo sporgente Fornelli, destinato al traffico specializzato in container, insieme alla banchina Ravano e parte della calata Artom, è gestito dal La Spezia Container Terminal per una superficie totale di oltre 260.000 mq. È il primo terminal nel Mediterraneo ad aver ottenuto la certificazione ISO 9002 Standard dal Lloyd’s Register. È in grado di movimentare più di 700.000 teu all’anno, un terzo dei quali per ferrovia.
Si tratta del primo esempio in Italia di gestione privata di un terminal portuale pubblico.
È operativo con 1,5 km di ormeggi con pescaggi fino a 14 metri. Vi operano sette gru di banchina per container con portata superiore a 44 tonnellate e sbraccio fino a 44 m, otto gru per lo stoccaggio a piazzale con portata fino a 45 tonnellate, una gru Gottwald con portata fino a 100 tonnellate. Capacità di stoccaggio dei piazzali di 20.000 teu, con 400 reefer point. Nel 1997 sono stati movimentati 510.000 teu mentre nel 1998 sono stati 615.000.

Terminal del Golfo
Nell’area collocata nella zona a levante del porto mercantile sono operativi un terminal specializzato in container per navi LoLo e RoRo ed il terminal della società Tarros per il transito di passeggeri per complessivi 100.000 mq. In particolare vi sono cinque ormeggi RoRo e due LoLo con una gru da
banchina per container con una portata fino a 42 tonnellate ed una gru Fantuzzi Reggiane con portata sino a 100 tonnellate. La capacità di stoccaggio è di circa 7.500 teu. Nel 1997 questo terminal ha movimentato 83.600 teu. Nel 1998 è stato raggiunto il numero di 93.000 teu.

Calata Paita
La calata Paita si sviluppa per una lunghezza di circa 550 metri con tre ormeggi operativi di cui uno per il traffico Ro-Ro. Le cinque gru hanno portate che vanno dalle 6 alle 35 tonnellate. È presente un silos per lo sbarco del cemento di 4.200 tonnellate, un silos per oli vegetali di 2.200 tonnellate, silos per
cereali con capacità di 38.000 tonnellate
ed un terminal per carbone e rinfuse minerali con capacità di scarico fino a 450 tonnellate per ora.
I magazzini presenti hanno una superficie totale di circa 4.500 mq.
Società operanti: Porto della Spezia, Terminal Rinfuse, Gabeca, Compagnia Lavoratori Portuali.
Prodotti trattati: metalli non ferrosi, rinfuse solide, merci varie, casse, container, fertilizzanti, cereali, cemento, oli vegetali, carbone e rinfuse minerali.

Calata Malaspina
La calata si estende per una lunghezza di 200 metri con quattro gru con portate fino a sei tonnellate. È presente anche un magazzino coperto di 1.600 mq. Viene utilizzata per lo sbarco/imbarco Ro-Ro.
Società operante: Compagnia lavoratori portuali.
Prodotti trattati: rotabili, merci varie, casse.

Molo Garidaldi
L’operatività del molo è garantita da tre ormeggi sul lato ovest lungo 510 metri e da due ormeggi su quello est che misura 360 metri. Sono disponibili 13 gru per portate che vanno da 6 a 12 tonnellate. È presente un magazzino coperto di oltre 4.300 mq, un silos per cereali di 30.000 tonnellate di capacità ed un silos per cemento con 5.500 tonnellate di capacità.
Società operanti: Speter, compagnia Lavoratori Portuali, Monfer e Terminal Riuniti.
Prodotti trattati: rinfuse solide, merci varie, casse, cellulosa, prodotti forestali, cemento, cereali, prodotti siderurgici, carbone, minerali, ferrosilicio, metalli di base, rottami ferrosi e non.

Calata Artom
La calata si estende per 306 metri con quattro gru con portate di 25 tonnellate e tre ormeggi sia per il traffico tradizionale che Ro-Ro.
Società operanti: Compagnia Lavoratori Portuali.
Il vasto piazzale retrostante è utilizzato
in parte dalla stessa CLP che come area stoccaggio container da parte del La Spezia Container Terminal.
Prodotti trattati: rotabili, merci varie, casse, container, impiantistica.

Terminal Snam

È operativo a Panigaglia, nella parte occidentale del golfo della Spezia, il terminal per l’importazione del gas metano, gestito dalla società Snam del gruppo Eni. La Snam si occupa dell’approvvigionamento, del trasporto e della grande distribuzione del metano, disponendo di una rete di metanodotti della lunghezza di oltre 27.000 km.
Nel ‘98 lo sbarco di GPL al terminal Snam ha sfiorato 1,5 milioni di tonnellate.

Terminal Enel
Si tratta di un molo di 250 metri dove l’ENEL gestisce lo scarico del carbone ed olio combustibile destinati alla centrale elettrica di Vallegrande (SP) con la quale il terminal è collegato tramite nastro trasportatore.
Nel 1998 il traffico di carbone è stato di 1,2 milioni di tonnellate.
La capacità giornaliera di scarico è di 18.000/20.000 tonnellate. Il traffico di olio combustibile nel ‘98 ha raggiunto 1,5 milioni di tonnellate.

Retroporto di Santo Stefano
È operativo il nuovo retroporto a S. Stefano Magra, località situata a 8 km dalla Spezia. La vasta area retroportuale si espande per oltre 600.000 mq acquisendo il ruolo di una vera e propria piattaforma logistica.
Su questa base operativa si è sviluppato il piano che prevede una razionalizzazione delle vecchie aree per
110.000 mq destinate a deposito, manutenzione e riparazione dei container, la realizzazione di un autoparco collegato attraverso una rete telematica sia al porto sia ai centri di origine-destinazione del carico, un centro servizi di 40.000 mq e 250.000 mq di aree per la gestione logistica che potrà sfruttare uno dei più ampi e raccordati parchi ferroviari del Nord Italia con 10 km di binari.

[Da: www.portolaspezia.it]

 

La realta’ portuale spezzina oggi

Il porto di La Spezia negli ultimi 10 anni ha visto più che raddoppiare il traffico complessivo, ed è stato in grado di superare, nell’ultimo triennio, nella movimentazione di container, la soglia del milione di teu [Twenty-Foot Equivalent Unit - misura standard di volume dei container]. Il solo LSCT nel 2004 ha movimentato 1.040.438 container, con un incremento, rispetto al 2003, del 3,4% e nel 2007 è stato toccato il record di movimentazione con circa 1.200.000 teu.
Inoltre se si considera la movimentazione dello scalo spezzino in relazione agli spazi disponibili, il porto ligure sembra essere uno dei più produttivi a livello mondiale.
Il piano di sviluppo del porto vede attualmente impegnata l Autorità Portuale nel completamento delle opere di dragaggio per il raggiungimento di 15 metri di profondità sia nel lato est del Molo Fornelli, sia nelle banchine del molo ravano.
Il gruppo Contship Italia ha già elaborato un piano di investimenti (79 milioni di euro) per potenziare la capacità in 2 fasi successive:
-A seguito del dragaggio del canale navigabile e della zona adiacente la Banchina Ravano, si prevede l’acquisto di tre nuove gru “super post-Panamax” da posizionare appunto su tale banchina a cui si aggiungeranno 11 nuove “rtg” per una nuova capacità di movimentazione, pari a 1,3 milioni di teu annui.
-A seguito del riempimento dell’area del “ Canaletto”(con la scomparsa quindi della zona da diporto “ VELA” 54.000mq),prevista dal piano regolatore portuale approvato nel 2007, verrebbero acquistate altre 5 nuove gru “super post-Panamax”, ed altre 11 “rtg” per una capacità di movimentazione complessiva per “LSCT” di 1,8milioni di teu annui.
Ricordiamo che a cavallo tra il 2002 ed il 2003 già tre mega gru di ultima generazione furono acquistate grazie a fondi Europei, e poste nella Banchina Ravano. Ma vennero vendute al un porto Marocchino di Tangeri, allora in fase di sviluppo.
Pare con un ottimo guadagno, in quanto i lavori di escavo dei fondali al tempo risultavano bloccati dal Tar.

[Da: www.informare.it e www.trail.liguria.it/SSI/SpeziaPortoext/SP_osservazioni.htm]


MORIRE AL PORTO!

Si chiamava Fabrizio Cannonero, 40 anni, è morto questa notte mentre lavora va al porto di Genova, colpito da un gancio di una gru che lo ha scaraventato dalla nave sulla banchina, dove ha battuto la testa. La reazione dei lavoratori portuali genovesi è stata immediata, sono state proclamate 48 ore di sciopero con blocchi dei varchi d ‘accesso, e organizzati due cortei di protesta in città.
Di fronte all’ennesimo omicidio di un lavoratore non possiamo fare altro che riaffermare la nostra rabbia e la nostra solidarietà, consapevoli che ora si sprecheranno le parole schifose e ipocrite di quanti, imprenditori e politici di professione, sono per noi i mandanti ed i complici di questa situazione intollerabile.
Intendiamo rivolgerci direttamente a tutti i lavoratori e lavoratrici, soprattuto ai portuali di Spezia, per domandare se si può andare oltre la prese per il culo degli scioperetti che non servono a niente e, se vogliamo continuare a sperare che tocchi sempre a qualcun’ altro, o continuare solamente a lamentarci negli spogliatoi o alle macchinette del caffè aspettando che qualcuno faccia qualcosa per levarci dalla merda nelle quale stiamo tutti sprofondando.
Forse è vero che i vigliacchi muoiono tante volte, e la rabbia non può essere delegata a nessuno, va vissuta e organizzata!


LOTTARE PER VIVERE O MORIRE COME SCHIAVI PER QUATTRO SOLDI!
SCIOPERO GENERALE SUBITO!


Rete contro la precarietà - La Spezia



http://www.senzacensura.org/