SENZA CENSURA N.27

novembre 2008

 

CRONACHE DA UN LAGER CHIAMATO C.P.T.

Strana è questa vita, uno si trova nei guai, il suo egocentrismo lo fa sentire unico, poi incontra altre persone, sente altre storie e si vergogna di essersi lamentato. Sono un dissidente politico algerino arrestato nel lontano 1995, processato durante il decennio ‘95/’05, processo che si è concluso con una condanna finita di scontare il 27/08 del 2008. Sei mesi prima della fine della condanna l’amministrazione carceraria Ucciardone inoltra una pratica di espulsione nei miei confronti. Non potendo ottenere soddisfazione, visto che il sottoscritto era un dissidente politico, legalmente residente in Italia, in più sposato con una cittadina italiana e padre di cinque figli, hanno deciso di manipolare i miei dati anagrafici e la mia posizione giuridica. Così, da semplice delinquente da strapazzo (art. 416 cp) sono diventato un potenziale terrorista (art. 270 cp). Il comico è che risultavo celibe, senza residenza e senza lavoro, insomma un clochard. Rendendomi conto di questo ho presentato un esposto alla procura. E’ quindi venuto in carcere il procuratore a raccogliere le mie dichiarazioni. Verosimilmente lo status-vile, doppiamente vile, di un detenuto extracomunitario, non consentiva di ottenere giustizia o di intimorirli, perché hanno continuato la loro opera di falsificazione, “in atti d’ufficio”, indisturbati. Il giorno fatidico di uscita ho dovuto aspettare, in una cella-sauna tre ore, prima che una pattuglia di poliziotti mi portasse in questura (ufficio immigrazione), dove mi venne notificato un decreto d’espulsione basato su quei dati falsati. Ho provato a farli ragionare, presentando loro i documenti in mio possesso, ma senza buon esito.
La sera dello steso giorno (29/08) dormivo già dentro un letto di un altro carcere (chiamato C.P.T.), soltanto che questa volta nessuno mi rimproverava un reato. Tutto sommato me la sono andata a cercare: fare attività politica di opposizione in un paese famoso per le sue prese di posizione opportuniste, non poteva che finire così. Poi ho incontrato gente in questo lager, ascoltato le loro storie, di colpe non avevano neanche l’ombra. Ve ne racconto un paio.
1) Kennedy Adu Gyanfi: è uno studente ghanese, trasferito Cap Town (Sudafrica), iscritto al terzo anno di ingegneria (non chiedetemi la specializzazione, sono di formazione classica, non ci capisco niente, anche se me l’ha spiegato). Si trovava in Sicilia con un visto turistico/Schengen (validità 6 mesi). Lo hanno fermato, un controllo, una sera molto calda in cui era uscito a fare due passi, lasciando però il passaporto a casa. Non soltanto non gli hanno dato la possibilità di andare a prendere i suoi documenti, ma il bello è che neanche il suo avvocato (d’ufficio) riesce a farlo uscire.
Ora sono più di venti giorni che il malcapitato chiede di essere mandato via per non perdere l’iscrizione all’università e per mettere fine a queste vacanze diventate un incubo.
2) Sukhdev Singh: è un indiano del Punjab, vive a Reggio Calabria da cinque anni dove fa il magazziniere. In questo tempo ha conosciuto una ragazza calabrese, convivono da un paio di anni insieme, vanno in comune per sposarsi, gli consegnano una convocazione della questura. Il giorno che si reca in questura viene fermato e portato nel lager, a causa di un vecchio decreto di espulsione.
Ora spera di essere rimpatriato al più presto, così da poter riabbracciare la sua compagna, ma questa volta a casa sua (sempre sperando che le autorità indiane non espellano la ragazza).
La prima cosa che ho avuto modo di notare dal primo momento del mio approdo entro le mura di questo carcere è la sofistica terminologica.
Viene chiamato Centro di Permanenza ma è circondato da moltitudini di sbarre affiancate da sistemi di sorveglianza vari e allarmi diversificati.
Il tutto guardato da carabinieri (tornati da missini all’estero) e poliziotti, più militari, che controllano l’entrata. Ho visto anche dei veicoli della guardia di finanza, ma non ho ancora capito la loro funzione.
I detenuti vengono chiamati ospiti. Sono stato ospite in varie nazioni, presso vari ceti sociali e culturali, ma vi assicuro che mai nessuno mi aveva perquisito e ordinato di abbassare i pantaloni per guardarmi il buco del sedere.
Altro segno di grande ospitalità sono le visite programmate. Per poter ricevere la visita di una parente, bisogna consegnare una copia di un suo documento di riconoscimento, che l’amministrazione si incarica di spedire alla questura per ottenere l’autorizzazione.
Fino a qua ci siamo, sembra un carcere di media sicurezza. Non contenta la questura rincara la dose, chiedendo di precisare il giorno della visita in anticipo, una cosa che neanche nell’alta sicurezza è applicata, visto che l’autorizzazione vale per sempre, fino a prova contraria.
Detta ospitalità tocca il suo picco di premura con la corrispondenza. La posta in entrata viene portata da collaboratori in presenza di un poliziotto, che evidentemente non la tiene lui, ma che tu devi aprire in sua presenza in modo che lui possa verificare il contenuto.
Mentre la posta in uscita, una volta consegnata ai collaboratori viene portata al direttore che da l’autorizzazione alla spedizione. Il direttore può dare l’autorizzazione e anche no, non è così?
Elementi chiave del diritto costituzionale della corrispondenza sono la segretezza e l’anonimato, chiaramente evasi dalle pratiche di questo lager.
Nel carcere di alta sicurezza è consentito usufruire di 4 ore d’aria, qui una sola ora, scelta ad un orario impossibile, le 16, quando il caldo tocca il suo massimo. A quell’ora neanche gli uccelli volano, mica scemi loro! Sotto quel sole ad un mulo gli verrebbe il mal di testa, ma forse un mulo vale di più di un extracomunitario. In questo marasma consoliamoci con il fatto che la carne extracomunitaria abbia fornito lavoro a gente (collaboratori, assistenti, psicologi…) che senza di loro sarebbe disoccupata, sempre sperando che la parte del leone se la cucchi il fratello dell’onorevole Giovanardi.

Bendebka Lhadhi
Lager C.P.T. macht frei, Bendebka Lhadi, settembre 2008
via Tunisi 35 - 91100 - Trapani

 



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