Il 6 ottobre è
ripreso il processo ai compagni arrestati con l’operazione “Tramonto”
Fuori dall’aula, più di 150 persone, tra cui molti compagni in nutrite
delegazioni da Svizzera, Spagna, Belgio hanno fatto sentire la loro calda
solidarietà con interventi, slogans, striscioni, sostegno che si è fatto
sentire anche dentro l’aula, tra pugni chiusi e cori internazionalisti. Una
presenza molto significativa che ha mostrato come il tentativo di
criminalizzare la solidarietà internazionale, culminato con gli arresti il 6
giugno scorso di 5 compagni in Belgio appartenenti al Soccorso Rosso di quel
paese (ora tutti liberati), invece che fermare la solidarietà la ha estesa.
Un presidio molto importante non solo per la partecipazione numerosa in
appoggio ai comunisti sotto processo a Milano, ma anche per il suo valore di
tassello nello sviluppo della solidarietà internazionale, per il sostegno ai
rivoluzionari prigionieri in tutta Europa.
Dentro l’aula, dalle gabbie i compagni subito hanno denunciato il pestaggio
avvenuto contro alcuni prigionieri durante il trasferimento dal carcere di
Siano (CZ) a Milano. Il 3 ottobre, in particolare, durante la “sosta” al
carcere di Rebibbia, i compagni sono stati oggetto di perquisizioni
effettuate con modalità degradanti, con flessioni, nudi, di fronte alle
guardie, con l’unico obiettivo di umiliarli. Di fronte al rifiuto dei
prigionieri di proseguire tale pratica, un compagno è stato portato a viva
forza, praticamente nudo, in cella di isolamento, tra le proteste degli
altri. Il giorno dopo, la partenza da Rebibbia è avvenuta tra due ali di
agenti lungo i corridoi che hanno percosso e insultato i compagni, in
particolare Ghirardi e Sisi.
La denuncia di tali condotte è stata messa per iscritto in un documento,
presentato dai prigionieri del PCP-M e sottoscritto da tutti gli altri
prigionieri, consegnato al giudice e messo agli atti.
Tale clima di pesante intimidazione si è potuto respirare anche durante
l’udienza: in aula sono ricomparse le panche tra le gabbie e i legali, con
il chiaro intento di rendere più difficoltosa la comunicazione tra difesa e
prigionieri; è stato impedito ai giovani avvocati collaboratori negli studi
dei legali di fiducia dei prigionieri di potersi avvicinare alle gabbie,
ostacolando così ancor di più il lavoro collegiale delle difese.
Ma anche fuori, le zelanti guardie si sono distinte per il particolare
accanimento contro i compagni, minacciando di denuncia la compagna di un
detenuto nel momento dell’arrivo al tribunale, per aver avuto uno slancio
affettivo e avere tentato istintivamente di avvicinarglisi per abbracciarlo
dopo lungo tempo che non lo vedeva. La permanenza nel carcere di Siano e i
recenti spostamenti per il riavvio del processo hanno infatti reso molto
difficile ai familiari visitare con regolarità i propri cari, costringendo
in alcuni casi a una lontananza di più di due mesi e, nessuna richiesta di
potersi avvicinare alle gabbie da parte di familiari e parenti durante le
udienze, è stata finora accolta.
E’ ritornata inoltre la pagliacciata del paravento per nascondere il volto
dell’ispettore DIGOS Valente di Milano chiamato a testimoniare dalla PM,
nonostante il rinnovo dell’opposizione dei legali a tale pratica che
ostacola il diritto alla difesa, per l’evidente impossibilità di cogliere
quei segnali di comunicazione non verbale utili al lavoro degli avvocati, ma
che, soprattutto, come sottolineato dall’avvocato Pelazza, pone un grave
elemento di pregiudizio nei confronti della corte, inducendola a considerare
gli imputati come pericolosi per l’incolumità dei testi. La PM, invitata da
più legali a specificare le motivazioni della richiesta del paravento, data
l’assenza nell’ordinamento giuridico di una norma che consente tale pratica
al di fuori di casi eccezionali (minorenni, pentiti di mafia, ecc.), ha
continuato a fare orecchie da mercante rimanendo nel vago e giustificandosi
con la solita scusa di tutelare chi è impegnato in attività investigative.
L’unica deduzione possibile, evidentemente, è che non si vogliano “bruciare”
i funzionari della DIGOS infiltrati nel movimento milanese.
Per il resto, le due testimonianze estenuanti degli ispettori DIGOS di
Torino e Milano si sono concentrate, al solito, sui movimenti dei compagni,
sulle presunte tecniche di contro pedinamento, sulla “prova gommone” (mai
visto e senza alcuna ipotesi investigativa credibile) e sulla ormai famosa
pistola Sig Sauer. Era stata ritrovata nel deposito di armi di Rossin ad
Arzercavalli ma per essa era stata fatta una richiesta di distruzione nel
1983, dopo che era stata sequestrata in Piemonte per un reato. Ma se era
stata distrutta come faceva ad essere ad Arzercavalli? Su questo il teste,
incalzato dalla difesa, dopo aver detto che era stato un errore di computer,
alla fine ha detto di non essere in grado di dare spiegazioni di come ciò
sia potuto avvenire.
[…]
L’udienza si è conclusa con slogans e saluti a pugno chiuso scambiati tra il
pubblico e i compagni dentro la gabbia.
Associazione Solidarietà Parenti e Amici degli Arrestati il 12/02/07
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