SENZA CENSURA N.27

novembre 2008

 

Il 6 ottobre è ripreso il processo ai compagni arrestati con l’operazione “Tramonto”

Fuori dall’aula, più di 150 persone, tra cui molti compagni in nutrite delegazioni da Svizzera, Spagna, Belgio hanno fatto sentire la loro calda solidarietà con interventi, slogans, striscioni, sostegno che si è fatto sentire anche dentro l’aula, tra pugni chiusi e cori internazionalisti. Una presenza molto significativa che ha mostrato come il tentativo di criminalizzare la solidarietà internazionale, culminato con gli arresti il 6 giugno scorso di 5 compagni in Belgio appartenenti al Soccorso Rosso di quel paese (ora tutti liberati), invece che fermare la solidarietà la ha estesa.
Un presidio molto importante non solo per la partecipazione numerosa in appoggio ai comunisti sotto processo a Milano, ma anche per il suo valore di tassello nello sviluppo della solidarietà internazionale, per il sostegno ai rivoluzionari prigionieri in tutta Europa.
Dentro l’aula, dalle gabbie i compagni subito hanno denunciato il pestaggio avvenuto contro alcuni prigionieri durante il trasferimento dal carcere di Siano (CZ) a Milano. Il 3 ottobre, in particolare, durante la “sosta” al carcere di Rebibbia, i compagni sono stati oggetto di perquisizioni effettuate con modalità degradanti, con flessioni, nudi, di fronte alle guardie, con l’unico obiettivo di umiliarli. Di fronte al rifiuto dei prigionieri di proseguire tale pratica, un compagno è stato portato a viva forza, praticamente nudo, in cella di isolamento, tra le proteste degli altri. Il giorno dopo, la partenza da Rebibbia è avvenuta tra due ali di agenti lungo i corridoi che hanno percosso e insultato i compagni, in particolare Ghirardi e Sisi.
La denuncia di tali condotte è stata messa per iscritto in un documento, presentato dai prigionieri del PCP-M e sottoscritto da tutti gli altri prigionieri, consegnato al giudice e messo agli atti.
Tale clima di pesante intimidazione si è potuto respirare anche durante l’udienza: in aula sono ricomparse le panche tra le gabbie e i legali, con il chiaro intento di rendere più difficoltosa la comunicazione tra difesa e prigionieri; è stato impedito ai giovani avvocati collaboratori negli studi dei legali di fiducia dei prigionieri di potersi avvicinare alle gabbie, ostacolando così ancor di più il lavoro collegiale delle difese.
Ma anche fuori, le zelanti guardie si sono distinte per il particolare accanimento contro i compagni, minacciando di denuncia la compagna di un detenuto nel momento dell’arrivo al tribunale, per aver avuto uno slancio affettivo e avere tentato istintivamente di avvicinarglisi per abbracciarlo dopo lungo tempo che non lo vedeva. La permanenza nel carcere di Siano e i recenti spostamenti per il riavvio del processo hanno infatti reso molto difficile ai familiari visitare con regolarità i propri cari, costringendo in alcuni casi a una lontananza di più di due mesi e, nessuna richiesta di potersi avvicinare alle gabbie da parte di familiari e parenti durante le udienze, è stata finora accolta.
E’ ritornata inoltre la pagliacciata del paravento per nascondere il volto dell’ispettore DIGOS Valente di Milano chiamato a testimoniare dalla PM, nonostante il rinnovo dell’opposizione dei legali a tale pratica che ostacola il diritto alla difesa, per l’evidente impossibilità di cogliere quei segnali di comunicazione non verbale utili al lavoro degli avvocati, ma che, soprattutto, come sottolineato dall’avvocato Pelazza, pone un grave elemento di pregiudizio nei confronti della corte, inducendola a considerare gli imputati come pericolosi per l’incolumità dei testi. La PM, invitata da più legali a specificare le motivazioni della richiesta del paravento, data l’assenza nell’ordinamento giuridico di una norma che consente tale pratica al di fuori di casi eccezionali (minorenni, pentiti di mafia, ecc.), ha continuato a fare orecchie da mercante rimanendo nel vago e giustificandosi con la solita scusa di tutelare chi è impegnato in attività investigative. L’unica deduzione possibile, evidentemente, è che non si vogliano “bruciare” i funzionari della DIGOS infiltrati nel movimento milanese.
Per il resto, le due testimonianze estenuanti degli ispettori DIGOS di Torino e Milano si sono concentrate, al solito, sui movimenti dei compagni, sulle presunte tecniche di contro pedinamento, sulla “prova gommone” (mai visto e senza alcuna ipotesi investigativa credibile) e sulla ormai famosa pistola Sig Sauer. Era stata ritrovata nel deposito di armi di Rossin ad Arzercavalli ma per essa era stata fatta una richiesta di distruzione nel 1983, dopo che era stata sequestrata in Piemonte per un reato. Ma se era stata distrutta come faceva ad essere ad Arzercavalli? Su questo il teste, incalzato dalla difesa, dopo aver detto che era stato un errore di computer, alla fine ha detto di non essere in grado di dare spiegazioni di come ciò sia potuto avvenire.
[…]
L’udienza si è conclusa con slogans e saluti a pugno chiuso scambiati tra il pubblico e i compagni dentro la gabbia.

Associazione Solidarietà Parenti e Amici degli Arrestati il 12/02/07
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