SENZA CENSURA N. 29
giugno 2009
La vittoria è possibile
Impressioni di alcuni compagni di ritorno dal Forum di Beirut (16/18 gennaio 09)
Nel gennaio scorso abbiamo
partecipato al Forum Internazionale di Beirut “per sostenere la Resistenza anti-imperialista
dei popoli e la costruzione di alternative alla globalizzazione”, di cui già
Senza Censura si è occupata, nel numero 28, pubblicando le dichiarazioni finali.
Noi ora, se non possiamo certo fornire una approfondita analisi dei temi
trattati e del significato politico complessivo di questa interessantissima e
importante iniziativa, possiamo però offrire degli spunti di riflessione.
Innanzitutto, per quanto riguarda la contemporaneità con la feroce e criminale
aggressione di Israele a Gaza, abbiamo colto un cambiamento di prospettiva, se
così si può dire. Noi, infatti, giungevamo dall’esperienza delle grandi
manifestazioni milanesi in solidarietà con Gaza, e dentro di noi era dominante
lo sdegno, la rabbia, la pena. Ebbene, qui al Forum, se pure sdegno, pena e
rabbia erano presenti, e si concretizzavano anche in drammatiche informazioni
visive (con terribili foto delle distruzioni e dei massacri compiuti
dall’esercito israeliano), si respirava qualcosa di concretamente diverso: la
consapevolezza del carattere vittorioso della Resistenza di Gaza, e questo ci
faceva immergere in un altro mondo, passando dall’“esternità” di chi solidarizza
vivendo in quell’Occidente che opprime e violenta, al cuore di quel mondo che
resiste e combatte nella consapevolezza che la vittoria sul sionismo e
sull’imperialismo è possibile.
Altro elemento che ci ha fortemente impressionato è stata la comunanza di punti
di vista tra soggetti con formazioni ideologiche del tutto differenti.
L’intervento del religioso mussulmano, con tanto di turbante, che esordiva
invocando Allah il misericordioso, trattava della necessità di opporsi al
colonialismo e all’imperialismo, e legava questa lotta (come dice anche una
delle dichiarazioni finali) alla lotta contro il capitalismo globalizzato e la
distruzione delle conquiste sociali.
E così, era palpabile, pur nella diversità dei punti di partenza e della
formazione ideologica, la consonanza con l’intervento del professore francese
della Sorbona, che riferiva dei suoi seminari sul marxismo, inteso non come
bibbia della verità rivelata, ma come strumento per analizzare al meglio la
realtà.
E così agli interventi di Hamas, FPLP, Hezbollah, potevano seguire relazioni di
Ramsey Clark (ex ministro della giustizia USA durante la presidenza Carter, ed
ora promotore di tribunali sui crimini di guerra USA in Iraq), o dell’ex
segretaria del PTB (partito del Lavoro del Belgio) che ben descriveva le
difficoltà per i movimenti, in Europa, di essere a fianco delle resistenze, e
ciò anche per il formarsi di quelle specifiche normative repressive create
appositamente per impedire queste “saldature” almeno nella solidarietà.
Ma era poi il complessivo panorama degli interventi e delle nazionalità ad
impressionare: filippini esponenti di un partito di ispirazione maoista, cubani,
sudanesi, giovani marocchini, indiani, turchi, pachistani, egiziani, iracheni,
siriani, iraniani, ed una vivace delegazione venezuelana, ben impegnata a
sottolineare il legame tra la loro rivoluzione e la loro lotta contro
l’imperialismo USA e le lotte dei popoli mediorientali contro questo stesso
imperialismo ed il sionismo.
E, negli interventi, si poteva notare una significativa franchezza
nell’esprimere difficoltà e problemi: ricordiamo ad esempio come Alain Gresh,
giornalista di Le Monde Diplomatique, sottolineasse che per gli europei è
importante non offrire il fianco all’accusa di “scivolare” dall’antisionismo
all’antisemitismo, e ciò proprio per la nota specificità della storia d’Europa.
Questo complessivo quadro conteneva, poi, specifici interventi, alcuni molto
interessanti, come quello di Luis Britto, professore venezuelano di economia,
che approfondiva il tema della crisi economica globale, indicando diversi
scenari possibili, dalla guerra ad una ripresa dei movimenti rivoluzionari,
ovviamente insistendo su questa seconda ipotesi.
Con la loro specificità erano poi presenti rappresentanti di movimenti europei (inglesi,
greci, italiani, spagnoli, svizzeri, belgi, austriaci, irlandesi, norvegesi,
francesi), che, però, e finalmente, non erano più “il centro del mondo”, ma si
ponevano a fianco di un altro centro.
Secondo noi, infine, non è un caso che si sia richiamato, a premessa delle
dichiarazioni finali, lo spirito della Tricontinental. E non è un caso, perchè
forte è il legame con quello spirito, legame che supera le differenze, anche
profonde, che connotavano i partecipanti al Forum.
E proprio questa possibilità di unità nelle differenze ci è sembrato il
messaggio forte del Forum di Beirut, che ha manifestato quanto questa unità sia
ricercata dal mondo arabo-mussulmano, e anche reso evidente quanto miopi siano
coloro che, perchè situati all’interno dell’impero, si sentono ancora autonomo
centro del mondo intero.