SENZA CENSURA N.34

marzo 2011

 

Editoriale

 

La crisi si muove, agile, celere.

La osserviamo, standoci nel mezzo, cercando di tenere alto il livello di comprensione generale attraverso il nostro lavoro editoriale.

Da quando esiste il capitalismo, esiste la crisi che, indipendentemente dalla qualità espressa, necessita di strategie di gestione adeguate alle diverse fasi messe in campo dalla borghesia imperialista nelle sue forme di governo e potere, attraverso politiche economiche finalizzate di volta in volta a scaricare i costi della crisi stessa sulle categorie subordinate.

Fiat ha rappresentato, senza ombra di dubbio, uno dei principali contesti dove la sperimentazione, definizione e ridefinizione di nuovi modelli di rapporto tra capitale e lavoro ha espresso alcuni dei momenti più significativi della storia degli ultimi decenni.

Il recente referendum Fiat Mirafiori dello scorso 14 gennaio 2011, ha sancito, rendendolo esecutivo dopo anni di attività certosina, l’attuazione di un nuovo modello che, seppur contestualmente circoscritto, di fatto fissa e dispone, diventando metro e denominatore, nuove condizioni all’interno di uno schema che punta progressivamente a semplificare gli elementi in gioco (per cercare di facilitarne il più possibile il controllo). Hanno un piano denominato Marchionne, perché un piano per essere spendibile a livello comunicativo e di consenso necessita di un nome che sappia catalizzare l’attenzione. Non si tratta di un piano segreto. In una crisi sempre più debordante, le nazioni del centro fanno quadrato nell’ottica di una ristrutturazione che porti ad un consolidamento dei rapporti di forza a favore del capitale.

 

È da diverso tempo, ormai, che in Italia a fronte dell’avanzare di questa crisi stiamo assistendo ad una mobilitazione diffusa, positiva, articolata, che coinvolge vari spezzoni di classe attraverso scioperi selvaggi, occupazioni e picchetti, così come molteplici fasce sociali, dagli studenti agli immigrati, dalle comunità in lotta contro la Tav a quelle che si oppongono agli inceneritori in Campania.

Una conflittualità a “bassa intensità” che per forza di cose interseca tra loro continuità d’azione e debolezza. Un’intensità che spesso diventa velocemente fragile, o che fatica a riprodursi, a replicare una reale capacità di tenuta sulla distanza.

Le condizioni dentro alle quali si sviluppa l‘agire odierno (così come negli ultimi dieci-quindici anni) spesso lo portano a caratterizzarsi per una prospettiva a “scadenza giornaliera”, che opera nell’immediato per l’immediato, a fronte di un’analisi della realtà sviluppata nella maggior parte dei casi sulla base dei tratti più superficiali e immediati dei processi in atto.

Possiamo dire che, al di là dell’indubbia valenza per lo sviluppo di esperienze concrete di ricomposizione di classe, l‘iniziativa che emerge, in generale, è oggettivamente incapace di intaccare e indebolire l’azione del governo (e più in generale delle istituzioni sovranazionali) e le politiche della borghesia imperialista.

Non potrebbe essere altrimenti, in assenza di una prospettiva a lungo termine che a nostro modo di vedere presupporrebbe un piano soggettivo applicato ad una strategia.

Va però ribadito che questo vuoto oggettivo non è certo colmabile dal piano riformista, ormai azzerato nella dialettica dello scontro di classe e tutto attento a garantirsi una dimensione di sopravvivenza. Esaurita la sua funzione storica sul piano strutturale, i livelli di intervento che permangono sono finalizzati ormai principalmente al contenimento delle istanze di opposizione e di ribellione (per questa ragione, sempre sulla recente questione Fiat ci interessa poco centrare l’attenzione sul “redivivo” protagonismo Fiom).

 

È altrettanto evidente, lo diciamo per chiarezza, che non spetta a noi come rivista dare risposte su come riempire questo vuoto, sul “che fare” dal punto di vista della prospettiva.

La rivista è l’espressione di un lavoro di analisi, riflessione e sintesi di un collettivo politico redazionale, uno strumento che riflette e si riflette (e noi con essa) nel contesto generale. Come soggetti che compongono il collettivo redazionale siamo interni alle dinamiche di classe (siamo lavoratori, precari, sfruttati, marginalizzati) e nel contempo impegnati nei rispettivi territori all’interno dei processi di opposizione al piano del capitale; quindi viviamo in pieno positività e limiti di questa fase.

Lo sforzo che ci poniamo collettivamente come redazione, cioè il nostro piano soggettivo, è proprio quello di riuscire, in questi tempi difficili, a osservare, interpretando quanto più “profondamente” la realtà in cui siamo immersi. Riuscire a dotarci di strumenti di analisi e verifica che tengano conto degli elementi in gioco e ci consentano di andare oltre ad una visione che, in assenza di prospettive, rischia oggettivamente di rinchiuderci in una logica di sostanziale invarianza nella relazione tra piano strategico del capitale e dinamiche di classe, rendendo così inefficace il nostro stesso impegno politico nei territori.

La rivista cerca di essere lo strumento con il quale, come collettivo, “misuriamo” questa capacità di lettura, in un processo continuo di scambio rispetto alla realtà circostante.

Col tempo abbiamo individuato nella tensione all’autonomia e nella critica al riformismo le coordinate minime per una “navigazione a vista” in questa direzione; questo passaggio ci ha portato a cercare di evidenziare, nella loro parzialità, le forme di autonomia che si manifestano ma che, per le ragioni dette all’inizio, il più delle volte dimostrano incapacità di riproduzione e propagazione al di fuori del proprio circoscritto contesto socio-politico. Fuochi sparsi quasi sempre tra loro scollegati.

Lo sforzo ora deve essere quello di collocare nel piano generale questi fuochi sparsi, estraendo da queste esperienze il valore intrinseco che tale tensione all’autonomia rappresenta nei confronti delle strategie del capitale e delle soffocanti spire del riformismo.

Questo stesso sforzo deve obbligatoriamente essere fatto anche sul fronte “esterno”, mantenendo costantemente con esso un piano dialettico adeguato, soprattutto alla luce dei processi di trasformazione in atto, garantiti nell’immediato grazie alla normalizzazione violenta del centro così come della periferia, attraverso repressione e controrivoluzione preventiva in un’ottica di controllo e gestione di qualsiasi esperienza che non si collochi nella compatibilità prestabilita dalla borghesia imperialista (e che magari abbia anche qualche aspirazione rivoluzionaria).

 

La relazione con l’esterno si concretizza nella prassi perché il collettivo politico redazionale si colloca, indipendentemente da tutti i limiti del caso, in quelle che sono le dinamiche di classe nel presente: con le dinamiche si confronta, nelle dinamiche si riflette. E inoltre perché il dibattito e la capacità di sintesi, che per quanto ci riguarda trovano una loro traduzione tra le pagine della rivista e nelle iniziative di massa, possono e devono essere tra i fattori portanti (non gli unici, ovviamente) del lavoro di costruzione di un agire politico in grado di misurarsi col piano strategico del capitale, con la sua forza disgregatrice, con la sua necessità di annientamento di qualsiasi forma di organizzazione in senso proletario.



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