SENZA CENSURA N.34

marzo 2011

 

Alla base delle rivolte arabe

La lezione della rivoluzione tunisina ed egiziana, che in giordania non viene messa in pratica!

 

di Hisham Bustani *

 

Sembra che gli intellettuali e le élite d’opposizione sia in Giordania che nel mondo arabo non abbiano capito le lezioni della Rivoluzione tunisina e di quella egiziana. Tale negligenza rimarca l’enorme divario che separa quelle élites e lo stesso “popolo” che hanno sempre celebrato.

Per prima cosa, queste élite non hanno mai presentato ed elaborato teorie rivoluzionarie o fornito alcun argomento intellettuale o una vera e propria analisi come base per innescare e guidare una rivoluzione popolare, come è avvenuto nella rivoluzione francese (1789) o nella rivoluzione russa (1917).

Le élite inoltre non sono riuscite a creare leve organizzative in grado di spingere la condizione di silenziosa protesta e di rabbia interiore in una condizione di manifesta esplosione totale: in Tunisia e in Egitto, la trasformazione dal silenzio all’esplosione è stata in larga misura soggettiva e ‘spontanea’, mentre le leve sono state completamente soggettive (1).

Quelle élite non hanno saputo neanche prevedere o men che meno analizzare il potenziale popolare, i meccanismi di movimento, i limiti di tolleranza, il punto critico di esplosione e i fattori che lo guidano fino al punto di non ritorno, producendo martiri nella lotta a causa della feroce repressione dello stato.

Nessuno ha previsto gli eventi di Tunisi. Quando Muhammed Bu-Azizi si è dato fuoco il 17 dicembre 2010, scatenando le proteste a Sidi Bu-Zeid, nemmeno l’analisi più ottimista poteva prevedere che le cose si sviluppassero con tale drammatica accelerazione. Gli eventi sono precipitati, fino alla fuga del presidente dittatore e alla caduta del regime il 14 gennaio 2011, in meno di un mese. Lo stesso vale per la progressione dell’Egitto, dalle proteste del 25 gennaio alla rivoluzione vera e propria iniziata il 28 gennaio e culminata nel rovesciamento del regime egiziano l’11 febbraio, anche stavolta in meno di un mese.

Il principale propulsore che alcune élites in Tunisia ed Egitto hanno fornito è stato rivendicare a gran voce la necessità di un cambiamento completo da realizzarsi mediante l’eliminazione dei regimi al potere, una voce che ha giudicato tali regimi (con tutte le loro figure, pilastri, istituzioni e prodotti) illegittimi. Perciò, in entrambi i paesi, c’è stata un’opposizione interna al bando e un’opposizione in esilio. Mentre l’opposizione ufficialmente ammessa parlava di “riforma” borghese, questa opposizione radicale insisteva su “cambiare il regime e cacciare il tiranno”. Quest’insistenza può aver significato per il popolo un presupposto per liberarsi delle proprie paure e trasformare un momento critico in una massa pronta a opporsi apertamente all’intera piramide del regime, dalla sua testa (presidente/capo dello stato) alla base (partito di governo/cricche influenti/istituzioni governative).

 

Le lezioni di Tunisia ed Egitto possono essere riassunte nei seguenti nove punti:

1 - Il popolo arabo non è “morto”, come si riteneva in precedenza, oppresso dal peso di tanti secoli che non hanno visto alcuna grande rivoluzione popolare. Una lunga tradizione di sottomissione è stata rotta da imponenti insurrezioni civili. Questo ha anche cancellato la presunta maledizione di una storia araba priva di rivolte popolari.

2 - Il popolo, anche in assenza di una antecedente forza intellettuale trainante, può rovesciare un regime dominante qualora la situazione raggiunga un inevitabile punto di rottura.

3 - Il popolo è più avanti e politicamente molto più progressista, sia degli intellettuali che delle opposizioni ufficiale ed “alternativa” (più radicale).

4 - Il popolo non è un serbatoio politico per chiunque, soprattutto per quelli che affermano di “rappresentare il popolo”.

5 - L’accrescimento delle divisioni di classe tra classe dominante e suoi soci in affari da un lato e la massa della popolazione dall’altro, con tutte le ingiustizie, oppressioni, povertà, disoccupazione, corruzione e violazione dei diritti che ne derivano, sono il principale motore per la rivoluzione.

6 - Un discorso rivoluzionario è in totale contraddizione con uno riformista. Questo fatto fondamentale è quasi sempre ignorato dalla élite intellettuale e di opposizione. Quando c’è riforma, non ci sarà nessuna rivoluzione, perché la riforma è stata progettata per svuotare la rabbia e il malcontento sociale. E’ programmata per tappare i buchi lasciati dalla corruzione, dallo sfruttamento e dalla subordinazione. Qualsiasi tentativo di realizzare un insediamento sociale, attraverso “riforme” e “partecipazione al governo” significa prolungare la durata della vita dei regimi corrotti e mantenere il loro status quo. L’assenza di influenza delle grandi correnti riformiste (come la Fratellanza Musulmana) dalla strada tunisina potrebbe aver giocato un ruolo importante nella maturazione delle proteste che hanno condotto a tale rapido culmine. Questo vale anche per la rivoluzione egiziana, che ha iniziato e progredito in spazi in cui Fratelli Musulmani e la loro influenza sono stati ben rimossi.

7 - Fino a questo momento le sfere culturali arabe si sono dimostrate incapaci di produrre teorie che possano prevedere, catalizzare o analizzare il movimento popolare, e gli intellettuali arabi finora sono stati in grado solo di seguire il movimento popolare e di analizzarlo post factum, dopo che è iniziato e ha agito. Gli intellettuali arabi sono scandalosamente dipendenti dai regimi. Viene loro richiesto di cambiar profilo.

8 - I grandi movimenti rivoluzionari coronati da successo non nascono da precedenti che dividono (di carattere religioso, etnico, regionale o confessionale), ma scaturiscono da una matrice che ruota attorno ad esigenze che uniscono e che sostituiscono tutte le divisioni.

9 - Il ruolo principale degli intellettuali e delle élite dell’opposizione è rompere le barriere della paura, denunciare apertamente la corruzione, la tirannia e la subordinazione e sostenere le opzioni che in ultima analisi amplificano lo spartiacque tra le classi.

 

In Giordania, nessuno sembra aver imparato dalle lezioni di Tunisia ed Egitto. L’opposizione ufficiale (i partiti di opposizione legalizzati e le associazioni professionali) cerca ancora fiacche scelte riformiste che rappresentano una continuazione del suo corso sempre più debole iniziato nel 1989 (anno che segna la fine della legge marziale in Giordania e l’inizio della cosiddetta “era democratica“). Questa opposizione (che assomiglia a tutte le opposizioni ufficiali in tutto il mondo arabo) è stata sottoposta a critiche sostanziali ed incisive nel corso degli ultimi due decenni e su questo tema non c’è bisogno di trattare diffusamente qui.

L’opposizione “alternativa” che si è presentata come l’opzione in grado di riempire il vuoto politico, non è molto migliore: ha un carattere isolazionista “giordano-orientale” (2), si basa su una identità post-coloniale che non gode di alcun consenso interno (3), ripropone la propaganda identitaria del potere politico (“Prima la Giordania” e “Siamo tutti Giordani”, entrambe campagne di Pubbliche Relazioni sponsorizzate dal regime per la costruzione di una “identità nazionale giordana”) (4).

E’ significativo che questa “opposizione alternativa” abbia stretti legami con la “vecchia guardia”, una delle due “ali” concorrenti al regime giordano che è stata parzialmente emarginata quando il giovane re Abdullah II è salito al trono e ha introdotto una “compagine” nella classe dirigente composta da giovani imprenditori (chiamati in loco “i neoliberisti”). Non che la “vecchia guardia” sia meno “neoliberista”, giacché sono loro che hanno iniziato l’attuazione delle riforme del FMI, il percorso di privatizzazione e l’abbandono del ruolo sociale da parte dello stato.

 

Influenzata dalle proteste in Tunisia proprio al loro apice, venerdì 14 gennaio 2011 è stata lanciata in Giordania la prima “Giornata della Rabbia” (richiesta dall’”opposizione alternativa”), con una modesta raccolta di circa 500 persone. L’opposizione ufficiale ha boicottato la partecipazione a questo evento, ma quando la rivoluzione tunisina si stava avvicinando alla vittoria, il successivo venerdì 21 gennaio 2011 si sono mossi numeri consistenti, portando il totale a 10.000. Il terzo venerdì (28 gennaio), il numero delle persone è diminuito. Dal quarto venerdì (4 febbraio), la dimostrazione si è divisa in due parti distinte: una si è tenuta presso il solito posto al centro, l’altra a miglia di distanza presso gli uffici del Primo Ministro. Le divisioni probabilmente aumenteranno a causa della presenza di elementi “isolazionisti” all’interno delle forze di opposizione e del polarizzarsi di questi elementi nella basilare richiesta riformista prospettata dall’”opposizione alternativa” (e successivamente adottata dall’opposizione ufficiale): rimozione del Primo Ministro Sameer al-Rifa’i (licenziato, in seguito, come previsto) e formazione di un governo di “unità nazionale”.

 

Chi sono i componenti di questa “opposizione alternativa”?

I suoi elementi principali sono: il Movimento della Sinistra Sociale giordana [Jordanian Social Left Movement], l’Iniziativa Nazionale giordana [Jordanian National Iniziative], la Corrente Progressiva Nazionale [National Progressive Current], il Comitato Nazionale dei Veterani Militari [National Committee of Military Veterans], l’Associazione degli Scrittori giordani [Jordanian Writers Association], la Corrente Progressista Nazionale [Nationalist Progressive Current], oltre a piccoli gruppi come l’Unione della Gioventù Democratica [Democratic Youth Union], la Società Filosofica [Philosophy Society], il Foro del Pensiero Socialista [Socialist Thought Forum], l’Assemblea della Gioventù della Circassia [Assembly of Circassean Youth] e l’Associazione contro il sionismo e razzismo [Association Against Zionism and Racism].

Tutti questi gruppi (tranne il National Progressive Current, il National Committee of Military Veterans e il Nationalist Progressive Current) formano il cosiddetto “Movimento del popolo giordano” [Movement of the Jordanian People]. E tutti quei gruppi (senza eccezioni) formano “La Campagna giordana per il cambiamento - Jayeen” e sono strettamente collegati, politicamente e a livello di coordinamento.

Una breve rassegna di alcune osservazioni su questi gruppi ci darà un’idea più chiara di quello che effettivamente rappresentano: Nahed Hattar, attuale leader del National Progressive Current, ex leader del Jordanian Social Left Movement e una delle figure principali dell’”opposizione alternativa”, ha scritto un articolo in cui ha rivelato di aver avuto diverse “lunghe riunioni di brainstorming” con il Direttore del Dipartimento Generale dei Servizi Informazioni [General Intelligence Department] (5). Ha anche scritto un articolo sul giornale libanese al-Akhbar difendendo questo direttore dopo che aveva lasciato la sua posizione, considerandolo in entrambi gli articoli “uno dei simboli del Jordanian National Movement” (6). Omar Shaheen, attuale leader del Jordanian Social Left Movement, ha scritto che tali riunioni sono avvenute con il consenso e la benedizione del movimento (7). Inoltre, Hattar e il Jordanian Social Left Movement son stati tra i primi a promuovere l’identità isolazionista post-coloniale a base teorica da legittimare e qualcosa su cui poter basare un movimento di liberazione nazionale (8).

Questa visione è condivisa dalla Jordanian National Initiative (9), che invita nella sua produzione teorica (10) alla cristallizzazione di un’”identità giordana piena e completa”, e chiede di formare un movimento nazionale giordano separato da quello palestinese. Questo è costruito per occuparsi della “società giordana” e della “società palestinese”, come entità separate che condividono interessi comuni. La prima versione del sito web della Jordanian National Initiative era decorata con i simboli del “Prima la Giordania” e “Siamo tutti giordani”.

La Jordanian Writers Association è uno dei maggiori destinatari di finanziamento statale attraverso il Ministero della Cultura e il Comune di Amman, con la maggior parte dei suoi leader e personalità di spicco impiegati anche nell’apparato mediatico e culturale governativo o dal quale ricevono una serie di prestazioni diverse.

Il leader della Nationalist Progressive Current ha partecipato alle recenti elezioni parlamentari ampiamente boicottate, considerate una continuazione della frammentazione del tessuto sociale giordano in clan, famiglie e regioni. Le elezioni e la legge elettorale sono stati anche considerate come un knock-out nei confronti di qualsiasi possibilità di un’effettiva riforma (11).

Un altro aspetto importante è che molti di questi gruppi hanno diversi modi di indirizzarsi allo stesso gruppo di persone. Si può tranquillamente affermare che la Jordanian National Initiative, la Jordanian Writers Association, il Socialist Thought Forum, la Philosophy Society e l’Assembly of Circassean Youth sono facce diverse dello stesso gruppo di individui fondamentalmente organizzati nel Jordanian National Initiative, strettamente seguiti dalla Democratic Youth Union e dal Jordanian Social Left Movement.

Nessuno ha lavorato seriamente per integrare il campo profughi palestinese nell’ambito dell’iniziativa dei “Giorni della Rabbia”. L’unica volta che un campo profughi ha partecipato modestamente (campo di Al-Baq’a nella prima “Giornata della Rabbia”), non è stato tenuto in gran conto nella chiamata alla protesta lanciata dalla Jordanian National Initiative che citava tutte le altre località (12). Alcune organizzazioni della coalizione Jayeen considerano i palestinesi come serbatoi del neoliberismo e li collocano nel conflitto di classe con i giordani orientali..

 

Come già accennato, i problemi principali di questa opposizione sono in gran parte concentrati nell’obiettivo principale che ha individuato e che è stato successivamente adottato dall’opposizione ufficiale: l’eliminazione del governo di Sameer al-Rifa’i e la formazione di un governo di “unità nazionale”.

E’ risaputo che in Giordania i ministri sono “esecutivi”. Non sono persone autorizzate ad elaborare politiche e strategie. Esigere un cambiamento ministeriale non produrrà nulla a livello strategico ed è considerato uno scaltro tentativo da parte di coloro che stanno rivendicando il cambiamento per sostituire le persone che vogliono cacciare. Nessuno discute la legittimità del potere politico in Giordania. Infatti, ciò che accade è l’opposto: sia l’opposizione ufficiale che quella alternativa considerano il capo del potere politico una sorta di saggio moderatore, nonostante il fatto che egli sia davvero il capo di tre poteri dal punto di vista costituzionale. Entrambe le opposizioni chiedono “un cambiamento nelle politiche, non un cambiamento di regime” (13): Fratellanza Musulmana ha dichiarato che: “gli islamici in Giordania reclamano le riforme, non un cambiamento totale. Noi riconosciamo la legittimità del regime” (14), mentre la Jordanian Campaign for Change (Jayeen) che include tutti i gruppi di opposizione alternativa ha dichiarato che “il re è l’unica costante nella politica giordana” e ha sottolineato la sua immunità costituzionale (15).

Ciò che ci si aspettava è poi accaduto: il governo di al-Rifa’i è stato destituito ed è stato nominato primo ministro una figura della vecchia guardia, Ma’rùf al-Bakheet, ex generale ed ex ambasciatore in Israele. Inoltre, come previsto, c’è stato un sollievo generale in entrambi gli ambienti dell’opposizione. Il National Committee of the Military Veterans e la direzione della National Progressive Current hanno apertamente salutato il nuovo Primo Ministro (16). Il portavoce della Jordanian Campaign for Change (Jayeen) ha descritto le destituzioni come “un passo nella giusta direzione” (17), mentre al-Mahdi Sa’afin (giovane leader sia della Jayeen che della Jordanian Social Left) ha dichiarato che “la Jordanian Campaign for Change darà al Primo Ministro designato la possibilità di eseguire il programma di riforma” (18). Sul fronte dell’opposizione ufficiale, “le parole d’ordine per la rimozione del governo precedente sono scomparse” (19), insieme ai sit-in da parte degli islamisti e altri partiti legali, poiché hanno scelto di dare al governo di al-Bakheet un “periodo di prova” (20).

I partecipanti ai “giorni della rabbia” giordani pensano che l’estromissione di un ministro o un primo ministro o l’applicazione di un qualche tipo di cambiamento governativo, saranno sufficienti a produrre un cambiamento economico/politico/sociale nel paese? Ricordano la vasta campagna contro l’ex ministro della Pianificazione Basem Awadallah, un funzionario individuato come il principale e unico motivo del crollo economico e della corruzione in Giordania? Awadallah è stato licenziato, ma nulla è cambiato, la situazione economica continua a peggiorare, i prezzi hanno continuato la loro scalata alle stelle. Più tardi, Sameer al-Rifa’i, il giovane novello arrivato al governo dagli affari, è stato additato come l’unico responsabile di decenni di corruzione. La sua rimozione (come quella di Awadallah) è stata giocata come la soluzione magica per qualsiasi cosa. Non si deve trascurare il fatto che questi processi di demonizzazione manifestano la tendenza isolazionista dell’opposizione alternativa. Nonostante la presenza di una vasta gamma di influenti “neoliberisti”, quelli selezionati per la demonizzazione provengono quasi sempre da uno scenario palestinese e non collegato ai grandi clan o famiglie giordane orientali. In un recente sviluppo senza precedenti, la regina Rania (che è di origine palestinese) è stata individuata da personalità dei clan come un simbolo di corruzione ed è stata paragonata a Laila Tarabulsi, moglie del deposto dittatore tunisino Ben Ali (21).

Se dovesse riuscire a formare un governo, l’opposizione alternativa pensa di poter trasformare il paese dalla dipendenza alla sovranità e all’indipendenza, nonostante il fatto che la Giordania si basi fortemente sugli aiuti esterni, e possa essere facilmente strangolata come la striscia di Gaza?

All’interno delle formule esistenti, chiunque si unisca al governo sulla base di un’agenda “nazionale” locale avrà davanti solo una delle due scelte: dimissioni o “misurarsi con la realtà”. La realtà dello stato post-coloniale e l’identità che ne risulta è intrinseca subordinazione, corruzione e funzionalità. Formare un governo o aderirvi è il primo passo per entrare a far parte dell’élite politica le cui regole e meccanismi sono stati stabiliti dal potere politico, ed è impossibile sfuggirvi.

Non dobbiamo dimenticare che il potere politico durante il regno del defunto re Hussein aveva l’unica nota distintiva di assorbire l’opposizione. Essa ha assorbito persino coloro che hanno tentato un golpe contro di lui, trasformandoli in ministri, ambasciatori e addirittura direttori dei servizi di intelligence. L’assorbimento dell’opposizione costituisce un pilastro importante scomparso nel corso del nuovo regno, quando le priorità si sono mosse verso i giovani uomini d’affari fedeli solo al profitto e sganciati da qualsiasi ancoraggio regionale o di clan.

Di conseguenza, il potere politico in Giordania ha fondato una identità di classe, laddove l’opposizione sta lavorando per diluire il divario tra le classi, cercando di unirsi alla struttura del regime e di spingere indietro la vecchia guardia e le personalità che ancora una volta cercano di legare la classe dirigente alle componenti tradizionali della società.

Questo oscurerà la struttura delle classi emergenti ed alimenterà le tensioni tra le classi, con conseguente prolungamento dei cicli di subordinazione e corruzione. La richiesta di un governo di ”unità nazionale” riflette anche il desiderio degli esclusi dalla struttura di potere di riguadagnare le proprie posizioni al suo interno e di accaparrarsi la propria fetta di torta. Sicuramente non riflette un desiderio in un “cambiamento totale” che avrebbe prosperato se fossero rimasti fuori dalla struttura di potere.

 

Per concludere: alla “opposizione alternativa” manca il requisito fondamentale di essere indipendente dal potere politico: ed essa ha adottato un discorso isolazionista a livello di identità e a livello di possibilità di liberazione. Cosa che lo trasforma in discorso che stempera qualsiasi tentativo reale di maturazione di un conflitto di classe.

Tuttavia, le lezioni della Tunisia e dell’Egitto hanno trovato interlocutori attenti: in particolare il potere politico! Esso ha reintrodotto i sussidi per i prodotti di base che in precedenza erano stati tolti (22), ha annunciato un aumento del salario mensile dei lavoratori del settore pubblico (23), ha ospitato esponenti dell’opposizione nella stazione televisiva di proprietà dello stato (24). Inoltre, non ha vietato le dimostrazioni della “Giornata della rabbia” né ha richiesto l’autorizzazione per continuarle (25). Non c’era presenza della polizia durante tali manifestazioni, infatti, alcuni poliziotti hanno distribuito succhi di frutta ed acqua ai manifestanti (26).

Il regime in Giordania ha capito la lezione dalla Tunisia e dall’Egitto. L’opposizione no!

 

* Hisham Bustani è uno scrittore e attivista marxista che vive ad Amman, in Giordania.

L’autore ringrazia Bill Templer per aver gentilmente curato l’edizione inglese dell’articolo.

L’autore può essere contattato a: hbustani2@yahoo.com

 

NOTE

1) Soggettive qui significa che le “condizioni di maturazione” erano interne (all’interno delle masse popolari), non esterne (prodotte dall’élite intellettuale).

2) La massa sociale giordana è composta da due grandi segmenti: la metà della popolazione (3 milioni) è di origine palestinese. Questa divisione è stata accuratamente disegnata dal potere politico per separare i “giordani dell’est” (quelli di origine giordana) dai “palestinesi” (quelli di origine palestinese). Sul piano degli sport popolari, ci sono due squadre di calcio nel campionato principale che rappresentano questa divisione ufficiale.

3) La divisione territoriale del “Bilad al-Sham” (ora Siria, Libano, Palestina, Giordania) è stata realizzata dalle potenze coloniali inglese e francese. Prima di questa divisione, la regione era uno spazio socio-economico unito. Gli “stati” risultanti e le corrispondenti “identità nazionali” sono stati disegnati per essere liberi da ogni potenziale di liberazione e privi di qualsiasi vera indipendenza. Vedi: Hisham Bustani, The Deleted Memory: ‘Inventing’ Palestine and ‘Discovering’ Lebanon, http://www.nodo50.org/csca/agenda05/misc/bustani_2-09-05.htmlb, e Joseph Massad, Colonial Effects: The Making of National Identity in Jordan, New York: Columbia University Press, 2001.

4) Curtis Ryan, ‘We Are All Jordan’…But Who is We?, Middle East Report Online, http://merip.org/mero/mero071310.html, e Marc Lynch, No Jordan Option, Middle East Report Online, http://www.merip.org/mero/mero062104.html.

5) Nahed Hattar, Farwell to al-Thahabi: A Strategic Mind that Leads the Intelligence and Changes its Picture (in arabo), www.allofjo.net, 29/12/2008. Archiviato dallo scrittore (quest’articolo è stato rimosso dal sito web).

6) Nahed Hattar, A Jordanian Phenomenon: The Director of Intelligence as a Citizen and a Political Activist (in arabo), al-Akhbar (Libano), 3/2/2009.

7) Omar Shaheen, What Brought Nahed Hattar and the Director of the Intelligence Together (in arabo), www.joleft.net, 31/12/2008, Archiviato dallo scrittore (quest’articolo è stato rimosso dal sito web).

8) Hisham Bustani, The Isolationist Illusions of the Jordanian Social Left (in arabo), Kan’an e-Bulliten, issue 1583, 2/7/2008, http://www.kanaanonline.org/articles/01583.pdf

9) Qui va fatta una distinzione per il lettore straniero tra il termine “nazionale” (in arabo ‘watani’) inerente le identità nazionali degli attuali Stati arabi creati dal colonialismo e il termine “nazionalista” (in arabo ‘qawmi’) relative a una identità pan-araba pre-coloniale.

10) Jordanian National Initiative, Basi teoriche: studi ed articoli (in arabo), Amman, 2009.

11) Jillian Schwedler e Josh Sowalsky, Jordan’s Boycott and Tomato Woes, Foreign Policy, 7 nov 2010 http://mideast.foreignpolicy.com/posts/2010/11/07/jordan_s_boycott_and_tomato_woes.

12) Vedi http://www.almubadara-jo.org/2010-05-04-05-32-03/129-2011-01-12-21-54-33.html.

13) Oaraib al-Rintawi, Change and the Three Stratas of the Regime (in arabo), ad-Dustour newspaper (Giordania), 2/2/2011.

14) Hadeel Ghabboun, Islamists Call for a Change of Government (in arabo), al-Ghad newspaper (Giordania), 1/2/2011.

15) Ruba Karasneh, ‘Jayeen’ holds Marches Next Friday in Amman (in arabo), al-Arab al-Yawm newspaper, 2/2/2011.

16) Abdel Nasser al-Zo’bi, “Will the Assigned PM Fulfill the Requests and Aspirations of the Jordanian Popular Groups? (in arabo), 2/2/2011, http://www.allofjo.net/index.php?option=com_content&view=article&id=8429

17) Muhammad al-Najjar, The Assigning of al-Bakheet Between Acceptance and Refusal (in arabo), al-Jazeera Net, 1/2/2011, http://www.aljazeera.net/NR/exeres/88A32052-ECDD-4E38-876C-5F63E8F94D72.htm

18) Hadeel Gabboun, Marches Demand Total Reform (in arabo), al-Ghad newspaper (Giordania), 5/2/2011.

19) Ibid. Ibid.

20) Majed Toubeh, The Royal Meeting with the Leaders of the Islamic Movement Marks a Period of Political Openness that Increases the Opposition’s Optimism (in arabo), al-Ghad newspaper (Giordania), 7/2/2011.

21) http://www.guardian.co.uk/world/2011/feb/15­­/bedouin-accuse-jordan-queen-corruption

22) Jumana Gneimat, Playing in Extra Time (in arabo), al-Ghad newspaper (Giordania), 23/1/2011.

23) Mahmud Tarawneh, Twenty Dinar Raise by the End of this Month (in arabo), al-Ghad newspaper, 23/1/2011.

24) Ahmad abu-Khalil, On the Appearance of the Minister and the Sheikh (in arabo), al-Arab al-Yawm newspaper (Giordania), 22/1/2011.

25) Jumana Gneimat, ibid.

26) Al-Ghad newspaper (Giordania) 17/1/2011 e 29/1/2011, al-Arab al-Yawm newspaper (Giordania) 22/1/2011.

 



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