SENZA CENSURA N.37

luglio 2012

 

La battaglia di Basiano

Ancora una testimonianza dal “fronte” delle cooperative della logistica

 

11 giugno 2012, una data difficile da dimenticare per i compagni e i lavoratori presenti a presidiare i cancelli de “Il Gigante”, azienda lombarda che si occupa di grande distribuzione e ha la sede a Basiano, un piccolo centro in provincia di Milano. Come in altri stabilimenti della logistica, anche qui si è sviluppata una vertenza dovuta alle condizioni di sfruttamento a cui sono sottoposti i lavoratori, tutti immigrati in questo caso dal Pakistan e dall’Egitto. L’oggetto del contendere è la cassa integrazione prevista per i lavoratori di una cooperativa di facchinaggio, Alma, e la loro sostituzione con lavoratori di un’altra cooperativa, Bergamasca, che paga i dipendenti la metà di quanto percepivano i primi. La trattativa si articola su 4 punti fondamentali: 1) obbligo di mantenimento del posto di lavoro, alle stesse condizioni normative ed economiche, con vincolo per l’azienda subentrante a farsene garante; 2) adeguamento dei livelli d’inquadramento come da contratto di categoria; 3) parità di condizioni economiche per tutti i lavoratori presso l’impianto di Basiano; 4) tutte le misure di flessibilità di orario devono essere contrattate con i delegati dei lavoratori. Come in altri casi, nonostante ciò che viene richiesto è ampiamente previsto all’interno di un quadro normativo, anche i dirigenti del gruppo Gigante rifiutano la trattativa e si arriva allo sciopero. Come in altri casi, vengono fatti arrivare altri lavoratori per sostituire gli scioperanti: ma a differenza delle altre volte, carabinieri e polizia proteggono i crumiri con cariche, lacrimogeni, arresti, molti di questi effettuati direttamente negli ospedali dove i lavoratori feriti avevano ricevuto le cure necessarie. Le tensioni che in occasione di altre vertenze si erano comunque registrate, non avevano finora mai raggiunto un simile livello, e bisogna andare indietro di anni per ricordare arresti di lavoratori in sciopero...

Come abbiamo sottolineato in diversi numeri della rivista, la logistica è un settore strategico per il capitale: nessuna messa in discussione può essere tollerata che questa avvenga sul piano delle infrastrutture o su quello del costo della forza-lavoro, sono la violenza e la repressione dello stato a regolare le contraddizioni.

Nei giorni successivi agli arresti, l’impianto di Basiano è tornato a funzionare, seppure a regime parziale, attraverso l’utilizzo di una cinquantina di nuovi operai della cooperativa Bergamasca, nonostante in sede di trattativa in prefettura fosse emersa con chiarezza l’illegittimità di una simile operazione da parte di Italtrans (la nuova titolare dell’appalto lasciato vacante da Alma) che non solo avrebbe l’obbligo di assumere gli operai che già lavoravano a Basiano ma non è nemmeno in grado di sostituirli con propri dipendenti e deve rivolgersi a personale esterno, subappaltato alla cooperativa Bergamasca, già sua socia in affari (tanto poco chiari quanto redditizi) per mantenere gli impegni presi con Gigante.

L’intervista che segue è stata fatta ad un compagno del SI COBAS presente a Basiano come in molte altre mobilitazioni che hanno visto come protagoniste le cooperative di facchinaggio; come altri interventi sulla questione anche in questo caso, oltre a rappresentare una testimonianza puntuale sui fatti di Basiano, l’intervista è un’occasione per fare il punto su una realtà, quella delle lotte nella logistica che originatasi sul territorio lombardo si sta allargando ad altri poli logistici in Emilia Romagna e in Veneto.

 

Quali sono state le dinamiche che hanno portato alle cariche e agli arresti di lunedì 11 giugno ai cancelli del “Gigante” di Basiano?

Le dinamiche dei fatti partono da Esselunga. Il gruppo che ha messo in piedi il sindacato al Gigante è un gruppo di pakistani che abita a Pioltello, là dove si erano svolte manifestazioni. Due di loro hanno lavorato in Esselunga, in un consorzio chiamato Alma, utilizzato durante gli scioperi in Esselunga per favorire il crumiraggio (a questo scopo gli è stato allargato l’appalto). In questo consorzio hanno lavorato diversi pakistani di Pioltello: vedono i presìdi all’Esselunga, parlano con gli amici pakistani che lavorano lì, è nasce il contatto. Poi peggiorano le condizioni al Gigante e si decidono.

Cominciano a lavorare dentro il Gigante insieme ad altri lavoratori pakistani ed egiziani di Alma (loro nel frattempo erano passati dall’Alma a un’altra cooperativa, la Bergamasca), e s’intensificano i contatti con i lavoratori dell’esselunga: ai presidi il gruppo di Basiano si presenta sempre compatto,  s’ingrossano le file con l’arrivo di un’altra trentina di pakistani dall’Alma e parte uno sciopero, il gruppo degli egiziani, un centinaio di persone, decide di fermarsi. Questo è stato il primo segnale all’interno dello stabilimento del Gigante. Qui per l’appunto lavorano due cooperative: una è Alma che paga 8,50 euro all’ora, l’altra è la Bergamasca che ne paga 4,50...

C’era già questo doppio regime all’interno, e quando gli egiziani entrano in sciopero lo fanno in solidarietà, dicono: “in questo stabilimento gente che guadagna la metà di  noi non ne vogliamo”. Dopo 10 giorni gli arriva la lettera di licenziamento perchè Alma dà la disdetta dell’appalto; quindi abbiamo una parte di Bergamasca che è in sciopero perche guadagna una miseria, e una parte dell’Alma che aveva scioperato in solidarietà che entra in subbuglio per la lettera di licenziamento,e venerdì occupano il magazzino, non escono dal posto di lavoro a fine turno.

I carabinieri entrano e picchiano, già venerdì. Si decide di fermarsi davanti ai cancelli e di fare sciopero a oltranza e in effetti si arriva a lunedì. Il magazzino lunedì mattina era pieno di merci, 100 lavoratori su 120 in sciopero; decidono di fare arrivare dalla Bergamasca un pullman di crumiri (poi scopriremo che questa cooperativa dovrebbe rilevare Alma nell’appalto lasciato vacante e nell’ambito della trattativa con la prefettura, scopriremo anche che non è la Bergamasca ad aver preso l’appalto  ma Italtrans che è un’azienda con migliaia di camion e gestisce il facchinaggio, la movimentazione merci in magazzino attraverso le cooperative, quindi un subappalto dal momento che Italtrans ha solo autisti e impiegati).

Quella mattina, tra compagni e operai eravamo oltre un centinaio. Ci eravamo organizzati per presidiare i due cancelli principali che erano affiancati; poi verso le 4 abbiamo notato movimenti presso una piccola entrata sul retro, abbiamo mandato lì un gruppo che ha visto gente che scavalcava e la vigilanza interna che portava una scala...abbiamo pensato che avrebbero cercato di fare entrare i crumiri da lì.

Di fatto per l’azienda l’esigenza fondamentale era quella di tornare a produrre, visto che c’erano i magazzini pieni da venerdì, e nei punti vendita del Gigante (aperti anche la domenica) cominciava a scarseggiare la merce sugli scaffali, mentre esigenza secondaria era quella di cominciare a sostituire il personale liquidato con nuovo personale. La situazione andava sbloccata, ecco spiegato il pullman di crumiri, che comunque rimane fermo a 70 metri dai cancelli. Parte una trattativa con la digos, ma quando questa era ancora in corso pur in mancanza di risposte, i carabinieri si mettono il casco e attaccano. Noi coprivamo entrambi i cancelli su tre file, loro arrivano verso un angolo del primo cancello e iniziano a bastonare; qualcuno va a terra ma si resiste. Quelli del secondo cancello, visto che l’attacco si era concentrato sul primo corrono a dare manforte e si riesce a respingere i carabinieri che arretrano velocemente. Poi però l’attacco successivo lo fanno con i lacrimogeni, e lì si è sbandato quel tanto che bastava per regalargli i cancelli e 20 persone; dopo la seconda carica, quelli rimasti a terra li hanno direttamente arrestati lì, gli altri che avevano fatto ricorso alle cure in ospedale, su segnalazione della croce rossa, sono stati piantonati e dopo le cure li hanno portati in carcere.

 

Com’è attualmente la situazione rispetto ai feriti e agli arresti?

C’è un ragazzo italiano con il femore rotto, l’unico a non essere arrestato tra i feriti; un altro quando è stato trasportato in ospedale era in codice rosso per un trauma cranico, gli hanno dato 16 punti in testa ma ora sta bene. Per il resto non ci sono danni gravi da un punto di vista fisico.

Per quanto riguarda le conseguenze penali, il g.i.p. ha ridimensionato tutte le misure cautelari richieste dal p.m. convalidando gli arresti, tutte di un grado inferiore rispetto a quanto aveva chiesto il p.m.: domiciliari invece che custodia cautelare, obbligo di dimora invece che domiciliari, obbligo di firma piuttosto che obbligo di dimora. Siamo in attesa che parta il processo vero e proprio.

 

Rispetto alla vertenza  quali sono le conseguenze sull’immediato?

La vicenda è diventata nazionale perchè ci sono state interrogazioni parlamentari, è intervenuta la prefettura, il ministero del lavoro, i mass media..e poi la questione è oggettivamente nazionale perchè riguarda un fenomeno che tende a dilagare: il fatto di sostituire mano d’opera già a basso costo con mano d’opera ancora più a basso costo e ricattabile; con un livello alto di mobilità interna, lavoro a chiamata, il ricatto spesso del permesso di soggiorno, un vero e proprio schiavismo che viene utilizzato in un settore strategico come quello della logistica, della grande distribuzione, soprattutto al nord. Si può collegare con quanto è successo a Castelvolturno o a Rosarno, ma qui le conseguenze economiche per il grande capitale sono più massicce.

C’è anche un portato internazionale dal momento che le due comunità egiziana e pakistana che compongono la forza lavoro dello stabilimento di Basiano si sono rivolte ai rispettivi consolati che hanno comunque preso posizione. Sappiamo che il ministero del lavoro egiziano ha scritto alla Fornero, mandando una lettera di cui non conosciamo ancora il contenuto in cui si chiedono chiarimenti sull’accaduto e il rispetto dei diritti dei lavoratori; paradossalmente anche il ministero del lavoro e la prefettura sono stati costretti ad ammettere in sede di trattativa che le richieste del SI COBAS corrispondono a quanto previsto dalla legge...

 

Rispetto ad altre vertenze, a Basiano si può parlare di un salto di qualità a livello repressivo o rimane un fatto estemporaneo?

Da una parte è evidente che il movimento di lotta nelle cooperative preoccupa un po’ tutti: i padroni, la CGIL, in generale va ad incrinare la logica della compatibilità che porta lo stato ad intervenire. Due anni fa c’era stata una circolare della questura in cui tra i vari fenomeni a cui prestare attenzione veniva citato espressamente il movimento delle cooperative; ma sappiamo anche che esistono ad esempio delle connivenze tra i carabinieri locali e i capi del magazzino nel senso che questi entrano tranquillamente e portano via merce, cosa denunciata dai lavoratori. Il dato di fatto è che in ogni caso c’è una legislazione che si adegua al fatto che le lotte tendono ad aumentare e quindi prevede la creazione di strumenti per fermarle, attraverso la criminalizzazione di certi comportamenti come i picchetti o i blocchi stradali. Poi contano anche le dimensioni dell’azienda: Il Gigante non è così potente, ma ha comunque 60 punti vendita, in Brianza dove ha la sua filiera ha il suo peso...Qui il salto di qualità è dato dal fatto che hanno sparato lacrimogeni ad altezza d’uomo: c’erano già state manganellate a Cerro Lambro, all’Esselunga, c’erano state le scorte per fare entrare i crumiri; qui non li hanno nemmeno scortati, hanno direttamente sgomberato i cancelli per poi farli entrare, probabilmente non si aspettavano una reazione del genere da parte dei lavoratori.

Di sicuro però stanno cercando delle contromisure per le lotte che stanno scoppiando nei poli logistici, un fenomeno che non è riconducibile solo al lavoro strutturato del sindacato che ovviamente è sempre presente ma è frutto soprattutto di un tam tam, di scambi di conoscenza e di esperienze in comune tra i lavoratori, che spesso hanno girato in ognuno di questi luoghi poi soggetti a vertenze, incontrando comunque fermento; c’è una circolarità di esperienze, i lavoratori delle cooperative non sono comparse dell’ultimo minuto: spesso sono stati in altri sindacati prima di entrare nel SI COBAS, quasi tutti sono passati dalla CGIL, dalla CISL, dalla UIL, c’è una sindacalizzazione, una traiettoria politica, prima esclusivamente di delega ora non più.

Senza contare il fatto della provenienza: ho sentito racconti di partecipazione alla lotta di strada, di scontri con la polizia in Pakistan o in Egitto, alcuni hanno parenti o amici che trasmettono notizie da piazza Tahir, in questo senso l’operaio immigrato non è solo lo schiavo da sfruttare facilmente per il padrone ma è portatore di qualcosa che ha un suo spessore internazionale, che oggi facciamo fatica ad inquadrare e a ragionarci sopra.

Piuttosto, va notata una differenza rispetto all’Esselunga: lì era lo sciopero di una minoranza che ha avuto l’appoggio in una prima fase della maggioranza e la dirigenza che non sempre licenzia ma sa anche leggere la situazione, ha individuato il motore di un qualcosa che poteva dilagare ma ha anche verificato che questo motore viaggiava con tempi di scoppio differenti e ha tagliato la testa alla leadership. Quindi ci troviamo di fronte ad una lotta di una minoranza, con appoggi esterni che dura da 8 mesi e per ora il dato sono 25 licenziati e 700 facchini che ancora lavorano; a Basiano abbiamo 85 licenziati e 15 sospesi su 130, qui la maggioranza dei lavoratori è in lotta e deve essere sostituita da personale esterno. Poi non è che sono coinvolti tutti allo stesso modo: c’è chi traina, chi è più titubante, chi si pone più dubbi...

 

In generale, quali prospettive intravedi rispetto alle lotte nelle cooperative della logistica?

Da una parte, è un dato oggettivo, le vertenze si stanno moltiplicando; avverto che ci sono sempre più lavoratori che per motivi e condizioni diverse vogliono scendere in campo: perchè vogliono migliorare le loro condizioni, perchè li attrae l’idea che si possono unire e contare qualcosa, varie motivazioni confluiscono nel produrre questo movimento. Dall’altra sta cominciando ad emergere un fattore più soggettivo, circa la necessità di provare a darsi una strutturazione. Ragiono soprattutto sulle avanguardie che emergono non solo perchè sul posto di lavoro sono punto di riferimento per gli altri ma perchè si pongono un problema di sviluppo del movimento e dell’organizzazione, partecipano, s’informano, cercano di muovere i propri compagni di lavoro anche rispetto ad altre vertenze, ecco, visto che si sta parlando comunque di gruppo più ristretto sulla totalità degli iscritti ma pur sempre di un centinaio di persone, forse bisognerebbe trovare il modo e il tempo di darsi delle strutture per esempio territoriali, per esempio rispetto a medesime cooperative che incontriamo in vari posti di lavoro in modo da concentrare le battaglie sullo stesso avversario aggredendolo da più postazioni o per la stessa motivazione rispetto a medesimi committenti, ad esempio la DHL che nei vari depositi utilizza diverse cooperative.

Sarebbe importante ragionare su questi tre aspetti: le committenze, le cooperative e il territorio. E’ necessario dotarsi di strutture più stabili in cui si abbia anche la possibilità di fare ragionamenti di più ampio respiro, collocare la battaglia che si conduce sul posto di lavoro o come categoria all’interno di un panorama più generale che è quello della crisi, di una guerra contro i proletari, per cercare di posizionarsi e di reggere in questo senso anche nei momenti di “rinculo”.

Non è che stiamo parlando di lotte sempre vinte; ci sono lotte parzialmente o del tutto perse che comunque hanno prodotto gruppi di lavoratori che hanno cominciato a dare un senso più generale alla loro battaglia. Questa è l’urgenza che abbiamo come organizzazione sindacale ma è riduttivo, perchè poi intorno alle mobilitazioni che abbiamo costruito come SI COBAS tendono a partecipare dei compagni che trovano interessante quello che sta accadendo, quindi una strutturazione territoriale potrebbe favorire la costruzione di un circuito di protagonismo, di punti di forza in un territorio che comunque comincia a diventare ampio, da Varese a Bologna, stiamo parlando di centinaia di chilometri e in mezzo decine di vertenze che iniziano a svilupparsi, anche in Veneto: a proposito, abbiamo anche avuto la possibilità di condurre delle battaglie comuni come nel caso della GLS. Il fatto che da Verona e Padova abbiano fatto pressione dicendo “se non risolvete la vertenza a Piacenza e non riammettete al lavoro quelli che hanno fatto sciopero, scioperiamo anche qui”, ha contribuito a piegare la GLS che alla fine ha firmato l’accordo. Sono ancora sperimentazioni, ma lasciano intravedere quella che è la strada da tentare di percorrere in prospettiva.

 



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