PEDRO: LO STATO BORGHESE UCCIDE UN MILITANTE COMUNISTA

DAL MOVIMENTO  

UNO COME NOI, UNO TRA DI NOI

Pedro è stato assassinato dalle SS del Ministero dell'Interno. Immenso è il dolore dei compagni che lo conoscevano e che avevano avuto la fortuna di apprezzarne la straordinaria umanità e l'inesausta determinazione nella lotta.
Immenso è il dolore di tutti noi, proletari e comunisti, che ci siamo visti brutalmente strappare dal nostro fianco uno di noi.

Ma ora è il momento di trovare la forza di andare avanti, di analizzare lucidamente i presupposti e le conseguenze di questa morte, perché il sacrificio di Pedro non sia stato inutile.

Innanzitutto non si possono considerare solo sinistre coincidenze i fatti politici precedenti l'esecuzione di Pedro. Con il pretesto dell'Euroterrorismo da mesi si infittiscono le riunioni internazionali degli aguzzini di tutta Europa e dei loro ministeri. E' stata montata tutta una campagna attraverso gli strumenti diplomatici e di informazione tesa a dare un'ulteriore stretta repressiva contro tutti i movimenti di liberazione e i loro esponenti, cercando soprattutto di mettere con le spalle al muro la Francia, finora terra d'asilo dei rifugiati politici di tutto il mondo. Il governo francese si è prontamente adeguato. Dalla copertura che la polizia francese assicura alle squadre della morte che continuano ad assassinare i dirigenti dell'ETA riparati in Francia, agli arresti di numerosi compagni italiani che rischiano l'estradizione.

In Italia: le dichiarazioni di Craxi tese a criminalizzare i movimenti d'opposizione di milioni di persone che abbiamo visto crescere e muoversi in questi ultimi anni; gli arresti di un mese fa [si tratta dell'inchiesta Ferrari - Dalla Costa - Mastelloni, che l'8 febbraio 1985 porta all'arresto per reati di opinione e di associazione i compagni del Coordinamento dei comitati contro la repressione - ndr], le decine e decine di perquisizioni, la criminalizzazione di organi di informazione come radio Gamma 5 e il Bollettino del Coordinamento dei Comitati controla repressione, a partire dalle posizioni che questi compagni e queste strutture avevano preso in favore della solidarietà al proletariato prigioniero e della ripresa dell'iniziativa di classe; infine, quasi un macabro annuncio della sentenza di morte di Pedro, le dichiarazioni di Craxi della settimana scorsa che esprimevano preoccupazioni del governo per la ripresa del "terrorismo" nel Veneto.

Ecco il "terrorismo" veneto: un movimento proletario ampio che riesce a comprendere le più diverse aree sociali, da quelle più sovversive a quelle dell'opposizione di classe, che riesce a connetterle tra loro nel dibattito e nella lotta producendo iniziativa dispiegata come quella per la libertà di Claudio Cerica, come quella contro la NATO, producendo iniziativa nei settori, nelle scuole, nelle fabbriche, nell'università, tra i disoccupati, producendo un radicamento capillare nel territorio. Nonostante i blitz, nonostante gli arresti, nonostante le continue provocazioni.

Diventa allora più chiara anche la dinamica dei fatti che ha portato all'assassinio di Pedro [...].

Per la sua determinazione testarda Pedro faceva paura a questo Stato. Uno stato che da decenni si dibatte in una crisi che non ha soluzioni, perché è la crisi strutturale, storica, del modo di produzione capitalistico. Uno stato che da decenni cerca disperatamente di ricostruire i margini di accumulazione ristrutturandosi in ogni suo aspetto, finanziandosi attraverso il continuo rastrellamento di reddito proletario: 3 milioni di disoccupati, centinaia e migliaia di licenziati e di cassaintegrati, pensioni da fame, riduzioni salariali, tagli della contingenza, dei servizi...

Uno stato che dell'attacco al reddito dei proletari ha fatto la malta con cui costruire i profitti, ma anche uno stato che teme un semplice referendum sui punti di contingenza.
Una stato che attua una politica aggressiva in campo internazionale, che cerca di aprirsi i mercati con le operazioni militari, uno stato che avvalla e sostiene l'imperialismo assassino nordamericano e l'occupazione Nato del nostro paese.
Uno stato che rinchiude in galera 110.000 proletari all'anno perché dieci volte tanto sono quelli che non possono più vivere se non al di fuori della legalità.
Uno stato che poi attraverso i suoi mezzi di comunicazione ha pure la pretesa di nascondere tutto questo, le milioni di vite che vengono distrutte dallo sfruttamento e dalla repressione, e di ridurlo a un problema di sociologia, di devianza e quindi di cura e di rieducazione.
Uno stato che poi, invece, decide freddamente l'esecuzione di quanti proletari extra-legali, non sono rieducabili, non sono riducibili, di quanti, anche se segregati in galera, costituirebbero un problema; uno stato assassino che annienta gli evasi di Pescara, così come i pastori di Orgosolo, così come i Shinti di Udine, così come i due proletari bruciati vivi nel carcere di Monza.

Uno stato diviso in corporazioni, impegnate in una faida senza alcuna esclusione di colpi, in una guerra non dichiarata che prende il nome di strage di stato. Uno stato che si trova a dover garantire con la forza il proprio perpetuarsi giocando tra facciata democratica e brutalità repressiva delegando al sistema dei partiti la prima e alle sue bande armate la seconda.

Complessivamente un sistema, un modo di produzione, che non ha più alcuna legittimità, che produce solo miseria e guerra, e che per questo non può sopravvivere se non reprime brutalmente ogni forma di determinazione antagonista al sistema dei partiti: dalle leggi speciali alle fucilazioni in piazza, a via Fracchia [in via Fracchia, a Genova, vennero assassinati nel sonno 4 militanti delle Brigate Rosse: Lorenzo Betassa, Riccardo Dura, Annamaria Ludmann, Pietro Panciarelli - ndr], a Pedro.

E' chiaro allora perché proprio Pedro.
Perché Pedro era un comunista. Perché Pedro con vent'anni di militanza alle spalle rappresentava una continuità che si vorrebbe a tutti i costi interrompere con pentiti, dissociazione e repressione.
Perché Pedro sapeva interpretare con lucidità le contraddizioni di questo stato, di questo sistema, e a partire da questo sapeva coagulare intorno a sé centinaia di proletari e guidarli nella lotta per il loro superamento.

Ma noi siamo ancora qui, caparbi, e dobbiamo porci il problema di come andare avanti.

Innanzitutto noi non chiediamo giustizia, quella giustizia che lo ha assassinato! Non ci interessa la condanna dei suoi carnefici da parte di quella magistratura e di quello stato che prima lo ha perseguito e poi lo ha condannato a morte. Perché, e noi non ci stancheremo mai di ripeterlo, la sua morte è stata decisa e pianificata da questo stato che è fino in fondo fascista.

In questo senso la morte di Pedro non deve essere una morte inutile, nel riprendere ovunque e con più forza la lotta, questa coscienza deve animarci e questa coscienza dobbiamo sedimentare tra i proletari: che questo stato è fascista, che questa morte segna un confine netto, non sindacabile né mistificabile tra chi ha voluto quest'esecuzione e la giustifica, e noi, il movimento, la classe, che ha lottato con lui e continuerà a lottare fino alla vittoria per il comunismo.

Padova, 14 marzo 1985

I compagni di Pedro

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LA NOSTRA RABBIA E' GRANDE QUANTO IL NOSTRO DOLORE

Apprendiamo in questo momento la notizia della morte del compagno Pietro Maria Greco "Pedro", costretto alla latitanza dall'inchiesta del P.M. Calogero, "blitz di quaresima".

Testo Ansa:

Trieste 9 marzo - Pietro Maria Walter Greco, di 38 anni, nativo della provincia di Reggio Calabria, un ricercato ritenuto appartenente - come comunicato dalla questura - all'area di autonomia operaia, è morto dopo un conflitto a fuoco con la polizia avvenuto poco prima di mezzogiorno a Trieste.
L'uomo, colpito da provvedimenti restrittivi emessi dall'autorità giudiziaria di Padova e Venezia, perché imputato di banda armata, associazione sovversiva e detenzione d'arma, nell'atrio dello stabile al n. 39 di via Giulia, avvicinato da agenti della Digos, aveva reagito: c'è stata una sparatoria a seguito della quale Greco è stato colpito in più parti del corpo, trasportato immediatamente all'ospedale maggiore.
L'uomo è morto poco dopo nel reparto di rianimazione.
Alla Digos era giunta notizia della presenza a Trieste di un ricercato ed era stato attuato un servizio di appostamento.
Le indagini, coordinate dal sostituto procuratore della Repubblica di Trieste, dott. Claudio Coassin, sono in corso e si prevedono ulteriori sviluppi."

Da notizie che abbiamo raccolto, la dinamica dei fatti sembra ben diversa: pare infatti che agenti della Digos abbiano fatto contemporaneamente irruzione in tutti gli appartamenti di uno stabile dove da indicazioni doveva trovarsi un "ricercato".
Pedro sarebbe stato trovato e colpito a freddo nonostante fosse disarmato (come più voci confermano) e non avesse reagito. Un inquilino del palazzo afferma inoltre di aver udito prima dei colpi di pistola, le grida di Pedro che diceva "vogliono ammazzarmi, vogliono ammazzarmi!".
La morte di questo compagno, stimato da tutti i comunisti per la sua coerenza e militanza, ci rattrista e ci addolora profondamente.

La nostra rabbia è grande quanto il nostro dolore davanti a questo omicidio compiuto in nome delle leggi di emergenza e del terrorismo di stato.

Non permetteremo a nessun assetato di vendetta contro il movimento di speculare sulla morte di questo compagno.

Responsabili della morte di Pedro sono coloro che lo hanno inquisito, costretto alla latitanza e ora assassinato, coloro che in nome dello sfruttamento vogliono annientare e distruggere i comunisti.

Pedro vivrà nelle nostre lotte

9 marzo 1985

Tutti i compagni del movimento

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COL SANGUE AGLI OCCHI

"I deboli non combattono,
quelli più forti lottano forse per un'ora,
quelli ancora più forti lottano per molti anni,
ma quelli fortissimi lottano per tutta la vita
costoro sono indispensabili..."

Bertold Brecht

Il compagno Pedro è stato assassinato.
Tutto quello che c'era da dire sulla crudezza e sulla evidenza dei fatti ormai è stato detto.

Il significato politico dell'accaduto è chiaro a tutti, a tutti quelli che vogliono capire: questo è un avvertimento per tutti quei compagni e proletari che hanno sempre lottato e tuttora lo fanno per risolvere i propri bisogni, per garantirsi un reddito, una casa , un sapere "altro", una qualità di vita migliore comunista.

Cosa dire di un compagno per noi indispensabile?
Pedro lo ricordiamo sempre accanto a noi dalle lotte degli universitari, a partire dal '68, alle lotte in mensa come lavoratore dell'Opera, a quelle dei precari della scuola.

Per questo, per la sua internità alle istituzioni di Movimento, a quelle stesse lotte che ci hanno uniti e che tuttora ci uniscono, Pedro ha subito varie inquisizioni da parte di Kalogero (inquisizioni suffragate solo dalle parole dei pentiti, puntualmente crollate).

Ancora una volta in prima fila, al primo posto pronto a pagare di persona, duramente, con ulteriori anni di latitanza, sospensione dal lavoro, riduzione del proprio reddito strappato con le unghie a questa società di merda, per creare migliore qualità di vita.

Pedro, 38 anni, Pedro accanto ai giovani del centro sociale "Nuvola Rossa", accanto a quella che era la sua classe di appartenenza, quella degli sfruttati, dei senza-casa, dei senza reddito, di chi non si lascia sconfiggere , di chi continua comunque a lottare.

Lo ricordiamo durante le lotte del censimento con noi proletari disoccupati, con noi per solidarietà, per internità, perché Pedro era così.

E così lo vogliamo vivere, nelle nostre lotte, non come un ricordo ma come una presenza sempre viva, in mezzo a noi, indispensabile fino in fondo, ricordando anche il suo sforzo estremo.

Ci piace immaginarlo così: che corre fuori dall'atrio di quel condominio-tomba di via Giulia a denunciare a voce forte, ancora una volta, purtroppo l'ultima per lui, che lo Stato uccide ma che questa volta non sarà possibile mistificare, non sarà possibile creare la montatura, il "mostro".

Pedro si è trascinato fuori dall'atrio, di sicuro volutamente, nonostante le ferite, per denunciare questo barbaro omicidio premeditato.

Pedro non è morto, non per noi almeno: vive e vivrà all'interno della nostra storia, delle nostre lotte per garantirci quello per cui lui è caduto... una vita migliore, una vita comunista

Grazie compagno Pedro per quello che ci hai saputo dare, grazie compagno per la forza che ancora ci tiene vivi, incazzati e mai arresi, insieme a te e adesso anche per te.

A pugno chiuso compagno nostro, col sangue agli occhi, tu ci mancherai molto perché tu sei per noi tutti uno degli indispensabili.

Testo di un tatze-bao apparso sui muri di Padova

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LA VIOLENZA SEMBRAVA DIMENTICATA

La violenza sembrava dimenticata
Sembrava tutto rimosso e dimenticato.
Chi era rimasto a Padova, comparsa o spettatore, aveva continuato a vivere, a cercare nuove ragioni od interessi.
E invece di nuovo la morte. Violenta, inutile.
Pedro ammazzato su di una strada come un cane.
Pedro pericoloso terrorista? Minaccia per questo Stato?

Pedro, "personaggio di secondo piano" dicono i giornali. Come sono di "secondo piano" migliaia di proletari che da sempre hanno lottato ed hanno dato la vita.

Certamente lui la vita non avrebbe voluto finirla così anche se l'aveva messa in conto, con quella serietà tragica con cui i veri proletari fanno politica.

Per noi che rimaniamo acquattati nelle pieghe della realtà resta il disagio, l'angoscia e la domanda: quando finiranno queste morti inutili?

Chi paga?

Tutti noi "compagni" popolo disperso e stupefatto.
Paga "la democrazia", maschera rinsecchita dietro cui c'è solo il ghigno del potere.
L'opposizione tace narcotizzata.
Certo "si farà luce", "si chiariranno le responsabilità" bla bla bla.

Noi vecchi amici di un tempo ci guardiamo con rabbia e dolore. Pedro, personaggio scomodo ed "incazzato" sei morto nel momento sbagliato. Empia ironia della storia.
Per te forse pochi cortei e bandiere.

Ti diamo la nostra memoria e il nostro affetto.
Tu, come sempre, qualcosa di più: uno scossone alla nostra coscienza politica.

I vecchi amici

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DENUNCIAMO L'OMICIDIO DEL COMPAGNO PIETRO GRECO

Conoscevamo Pedro perché come noi, lavoratore della scuola e perché come noi ha condiviso la lotta contro il precariato, contro i decreti anti sciopero, contro lo straordinario.

Dopo una lunga storia di persecuzioni giudiziarie aveva usufruito del diritto di sottrarsi alla carcerazione preventiva con la latitanza (una sentenza del T.A.R. gli riconosceva l'assegno alimentare).

Pedro tornava in Italia dopo tre anni di latitanza in procinto di costituirsi, convinto che la sua situazione si stesse risolvendo. Sabato 9 marzo è stato ammazzato dalla Digos di Trieste. Era disarmato.

Si tratta di omicidio, ulteriore atto di terrorismo perpetrato da uno stato che vuole mantenere ed anzi alimentare il clima di emergenza usando uomini in divisa, magistrati, poliziotti.

Ci mancano le parole e i mezzi per esprimere il dolore ma soprattutto la rabbia per un episodio che è ingiustificabile e che non deve assolutamente passare sotto silenzio e rimanere impunito.

Denunciamo l'attacco all'area democratica triestina che è stata oggetto di fermi e perquisizioni allo scopo di trovare chissà quali covi, quali fiancheggiatori.

Non esistono scuse per questo delitto!

10 marzo 1985

Coordinamento Lavoratori della Scuola di Padova

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NULLA RESTERA' IMPUNITO

Abbiamo appreso dagli organi di informazione che ieri, sabato 9 marzo è stato assassinato a Trieste Pietro Maria Greco "Pedro" un compagno costretto alla latitanza in attesa della chiusura e della fine dell'inchiesta nei suoi confronti.

Dai quotidiani di oggi apprendiamo come si siano svolte le cose e pensiamo che valga la pena di riportare alcuni brani significativi:

"Era disarmato e sembra avesse tentato di fuggire. Secondo alcune testimonianze, il latitante, già ferito, avrebbe cercato di ripararsi sotto un'auto in sosta e sarebbe stato nuovamente colpito da una pallottola alla nuca. In attesa dell'ambulanza mentre agonizzava sarebbe stato quindi...ammanettato con le mani dietro la schiena".

"Greco sarebbe stato colpito da fuoco incrociato. Raggiunto da 7 o 8 pallottole l'uomo avrebbe tentato di nascondersi sotto un'auto...un agente gli si sarebbe allora avvicinato, sparandogli ancora alla nuca e quindi ammanettandolo."

(Corriere della Sera)

"...i poliziotti hanno preso sotto un fuoco incrociato di pistolettate un uomo...che fuggiva urlando, fino a quando non si è accasciato al suolo morente".

(Il Piccolo di Trieste)

"Un negoziante l'ha visto sfrecciare davanti alle sue vetrine gridando -mi vogliono accoppare, mi ammazzano-. Racconta la lattaia: Gli altri 4 o 5 in borghese sono usciti anche loro di corsa, si sono piazzati dietro le macchine in sosta e si sono messi a sparare contro l'uomo che scappava. Un vero e proprio tiro al bersaglio".

(La Repubblica)

Tutte le testimonianze concordano quindi in almeno due dati:

1- che Pedro era disarmato;
2- che è stato raggiunto da numerosissimi colpi di arma da fuoco.

E' stato quindi un vero e proprio assassinio!

Denunciamo inoltre la provocatoria posizione del Gazzettino, che arrogandosi compiti che non ha, emette una sentenza che nessun tribunale finora ha pronunciato definendolo nei titoli come "Terrorista".

Pedro, in realtà, compagno abitante a Padova, ha sempre lottato alla luce del sole impegnandosi sulle lotte dei precari della scuola e per una migliore qualità della vita, è stato sempre assolto con formula ampia da varie imputazioni e solo la volontà persecutoria di Calogero lo ha costretto alla latitanza.

Questo omicidio non può e non deve restare impunito!

10 marzo 1985

Comitato Controinformazione Carpenedo

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ONORE A PEDRO, A FRANCESCO E A TUTTI I PROLETARI CADUTI

La divisione selettiva è ancora lo strumento che lo stato si da nell'approcciarsi al problema della devianza.
In un contesto caratterizzato da profonde contraddizioni sociali: dall'attacco al salario, ai licenziamenti, all'abbassamento della qualità della vita, l'oggetto della divisione selettiva è rappresentato dal rigonfiamento delle aree emarginate, nelle quali l'unica possibilità è la pratica illegale.

110.000 sono i proletari che sono transitati nelle carceri nel 1984! Questa cifra è senz'altro una misura di queste contraddizioni.

Il riversarsi di questa moltitudine di detenuti mette in crisi la concezione della funzione del carcere come rieducazione e base per il reinserimento, e definisce invece il carcere come ulteriore appendice dello sfruttamento, dell'oppressione e del controllo sociale.
Il carcere è sempre di più quindi "luogo sociale", esemplificazione delle contraddizioni tra le classi.

Resta urgente comunque il problema della relazione tra l'area di trasgressione sociale ed i prigionieri politici che ancora in 1500 si trovano nelle galere di stato. Questi all'interno del carcere vivono un doppio isolamento: uno dovuto alle diverse storie politiche spesso in dura battaglia e l'altro relativo agli spazi e ai tentativi dell'amministrazione carceraria di tenerli separati dai comuni (bracci/celle per soli politici - bracci/celle per soli comuni, creazione di aree omogenee, gruppi di studio, a partire da una rinuncia di una collocazione di classe).

La selezione e l'integrazione che sono così scientifiche e sfumate nei rapporti sociali fuori tra istituzioni e classe, assumono nel carcere significati e pratiche estreme: selezione e logica premiale rispetto alla destinazione dei detenuti e alla socialità accordata, sono le armi che lo Stato usa per neutralizzare e screditare i compagni detenuti dividendoli con ricatti e vuote promesse.

Tutto questo ha portato ad una paralisi completa.
Sempre meno c'è disponibilità alla politica una volta verificata errata l'analisi che vede i proletari prigionieri come figure centrali delle lotte dentro il carcere, con il pericolo che il rifiuto della politica si trasformi in rassegnazione o, peggio, in attesa di decisioni istituzionali (avvicinamento alla comunità d'origine, uso degli spazi della riforma del '75).

La caduta di conflittualità si accompagna con un ceto politico imprigionato sempre più chiuso in sé stesso, o che si astiene, o che teorizza relazioni e socializzazione solo con comunità politiche esterne, saltando il passaggio che vuole che la loro socialità esterna sia condizionata dalla loro internità ad esigenze e contraddizioni che i prigionieri sociali vivono all'interno delle carceri.

Rimane comunque il problema della rivendicazione da parte del movimento dei compagni detenuti, ma questa rivendicazione per essere produttiva deve spingere verso l'internità alle dinamiche di classe in cui i compagni detenuti si trovano a vivere.

A partire da questa internità e a partire dalle contraddizioni esplicite in cui si colloca l'istituzione carceraria, è possibile riproporre un discorso politico all'interno delle carceri. Oggi quello che si esprime sul carcere è invece un insieme di sociologismi che stanno alla base della cosiddetta "politica della fine dell'emergenza".

Le parti istituzionali, riconosciuta la gravità delle contraddizioni, cercano di darne lettura in termini di "devianza" e quindi di "cura".
Da qui le diverse politiche, da Amato che abolisce formalmente (ma solo formalmente) l'articolo 90, alle comunità terapeutiche per tossicodipendenti, al largo uso degli arresti domiciliari, al PCI che, sperimentando il decentramento del carcere nel sociale, vuole liberarsi non certo del carcere, ma dei "problemi" che esso rappresenta.

Di pari passo viaggia le repressione e la criminalizzazione di chiunque contrapponga a queste letture sociologiche "verità altre", antagoniste, di classe: criminalizzazione dei familiari, dei comitati contro la repressione, chiusura di spazi politici, rastrellamenti nei quartieri, criminalizzazione del dissenso.

Gli arresti dei 5 compagni, i pestaggi della PS il 22 febbraio nella zona universitaria si inseriscono in questo contesto, evidenziando la funzione di un'amministrazione comunale che da una parte da l'avvallo alla costruzione di un nuovo super carcere e dall'altra opera una discriminazione ed un controllo sociale (tra i compatibili e non) attraverso politiche come quella del piano giovani.

L'immediata mobilitazione culminata nella manifestazione del 27 febbraio ha dimostrato la capacità del movimento di rispondere a questa logica del bastone e della carota, riproponendo con forza il punto di vista del Movimento Antagonista. La scarcerazione di 4 dei 5 compagni è solo una vittoria parziale. La logica per cui Marco è ancora in galera è quella della discriminazione per pericolosità sociale: Marco è un compagno più che conosciuto a Bologna per la sua pratica e la sua collocazione di classe.

Ma per fermare, colpire il dissenso la repressione non si ferma certo ad arresti, fermi, perquisizioni, identificazioni di massa.

Ormai raggiunge il suo livello più alto: l'omicidio legalizzato, l'instaurazione di fatto della Pena di Morte: dall'esecuzione dei proletari sardi ad Oliena, alla fucilazione sul campo degli evasi di Pescara ed ora un altro feroce assassinio, quello del compagno di Padova Pietro Greco. Questo ennesimo, infame omicidio, parto diretto delle elucubrazioni di Craxi sulla "ripresa del terrorismo" fa pensare ad una soglia di non ritorno dello stato di polizia.

L'annientamento è la strada che vogliono perseguire.

Siamo stanchi di sopportare queste cose, bisogna avere il coraggio di dire basta, di cominciare ad organizzarsi in maniera capillare, di ricostruire un tessuto di opposizione di classe che ponga le basi per la liberazione del proletariato!!!

Onore a Pedro, a Francesco ed a tutti i proletari caduti sotto il fuoco dello stato dei padroni.

Libertà per Marco e per tutto il proletariato prigioniero.

Per la costruzione degli organismi di massa proletari.

Bologna, marzo 1985

Comitato Proletario Territoriale

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11 MARZO '77: FRANCESCO LO RUSSO 9 MARZO '85: PIETRO GRECO

Assasinati dalla Polizia

Sabato 9 marzo, Pietro Greco, appartenente all'Autonomia padovana, è morto. Ricercato da 5 anni (ma il processo è solo ora), accusato come al solito da un pentito, è stato ucciso da agenti di polizia. La dinamica dei fatti, così come è riportata dai giornali (Corriere della Sera, Repubblica), è agghiacciante: Pietro si divincola, si mette a correre per sottrarsi all'arresto, è disarmato; lo raggiunge il fuoco incrociato di 4/5 agenti, almeno sette proiettili lo colpiscono; mentre sta morendo i poliziotti lo ammanettano.

Esistono molti modi per fermare un uomo che scappa a piedi, gli agenti della Digos hanno usato il più facile, il più rapido: lo hanno assassinato!

11 marzo 1977- 9 marzo 1985: otto anni di barbarie poliziesca, di barbarie giuridica.

Da Francesco Lorusso a Naria a Pietro Greco, questo stato non cambia metodi: rimane uno stato di polizia.

Da Andreotti a Craxi sono tutti responsabili di quanto è successo e di quanto sta succedendo: noi li condanniamo come mandanti dell'assassinio di Pietro Greco e di tutti quelli che sono stati liquidati in questo modo.

Ma sono responsabili anche i Cattolici Popolari che si riempiono la bocca della parola Uomo e poi fanno la campagna elettorale per la DC, e si guardano bene dal protestare perché un Uomo è stato assassinato; è corresponsabile anche il PCI, che nel '78 ha votato in Parlamento le Leggi Speciali che legittimano comportamenti "democratici" come l'ergastolo preventivo (vedi Naria) e le esecuzione sommarie da parte della polizia.

Noi condanniamo costoro per concorso morale nell'assassinio di Pietro Greco.

Infine condanniamo questa sporca società per costituzione di banda armata legalizzata.

Democrazia Proletaria sez. universitaria Bologna

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CORRI PEDRO VERSO LA LIBERTA'

Tre anni fa abbiamo conosciuto il compagno Pedro nel Centro Sociale "Nuvola Rossa".
Questo centro sociale, occupato e poi più volte sgomberato, è stato per molto tempo un luogo di ritrovo importantissimo per i giovani proletari di questa città.

L'impegno di Pedro nell'occupazione di questo stabile, il suo impegno per riempirlo di iniziativa, è stato grosso.
Non passava giorno che Pedro insieme ai Punks, ai giovani, alle famiglie del quartiere non discutesse, non parlasse delle cose da fare, non desse il suo contributo materiale per dare vita a questo spazio, per riempirlo di contenuti politici.
Sempre in prima fila ad affrontare gli sgomberi della polizia senza alcuna paura di esprimere le proprie idee.
Con lui abbiamo lavorato duramente per rendere accessibile quello stabile abbandonato al degrado, con lui abbiamo ascoltato concerti, abbiamo visto rappresentazione teatrali, assemblee ed altre cose ancora.

Oggi non ci rimane solo il ricordo di questo compagno, rimane viva in noi la consapevolezza che Pedro ha fatto l'ultimo sforzo, l'ultimo sacrificio prima di perdere la vita: una corsa verso la libertà, per impedire che le bande armate di questo Stato montassero nei suoi confronti una provocazione.

Se Pedro non fosse uscito in strada probabilmente la Digos avrebbe fatto trovare un'arma, una prova della sua colpevolezza (che mai sono riusciti a provare finora!).
Pedro è uscito in strada gridando, cosciente di questo!
Anche in questa situazione drammatica questo grande Compagno ha dimostrato tutta la sua rabbia, la sua determinazione contro questo stato democratico.

Questo stato dei partiti che oggi sulla morte di Pedro speculano per i loro sozzi interessi!
Contro questa giustizia che prima lo ha costretto alla latitanza per due volte nel giro di quattro anni, e oggi apre un'inchiesta sui poliziotti che lo hanno giustiziato. Non c'è bisogno di nessuna inchiesta per fare luce sulle responsabilità dei fatti!

Sappiamo tutti che questo Compagno è stato assassinato premeditatamente per impedirgli di lottare, di correre per le strade, di alzare il pugno chiuso! Le nostre grida però sono più forti delle leggi di questo stato, la nostra rabbia e il nostro dolore sono più grossi della paura e del terrore che questo stato vorrebbe diffondere tra la gente che lotta.

Compagno Pedro ti giuriamo che lotteremo sempre di più, che continueremo a ribellarci a questo stato infame!

Abbiamo il sangue agli occhi, abbiamo la testa che ci scoppia, le nostre mani oggi tremano! Le nostre certezze non vacillano, sappiamo come ricordare e vendicare questo Comunista, Compagno, Proletario, Nostro Amico.

Con il Sangue agli Occhi

13 marzo 1985

i ragazzi del Nuvola Rossa

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PEDRO VIVE E LOTTA INSIEME A NOI

Siamo alcuni compagni della lista disoccupati nata dalle lotte del censimento. In merito a quanto è successo vogliamo esprimere alcune cose. Questo è l'ennesimo tentativo, il più infame, di distruggere ogni livello di antagonismo qui a Padova, ennesimo tentativo di zittire chi, come noi proletari, disoccupati e precari, lotta e rivendica una qualità di vita migliore.

Ricordiamo Pedro che in questi anni ha sempre lottato con noi in prima fila per il diritto al reddito garantito per tutti. Lo ricordiamo con noi al collocamento, in piazza, nei quartieri; lo ricordiamo al censimento, appena tornato prosciolto da ogni accusa, da un anno di latitanza, senza più lavoro e reddito.

Al censimento con noi, diceva NO alla discriminazione di escludere chi, con precedenti penali veniva escluso da questo lavoro (tra cui lui), diceva NO ai doppi lavoristi del Comune, diceva NO ai quattro soldi che il Comune voleva pagarci, ed era con noi quando occupando la Gran Guardia rivendicavamo il diritto ad uno spazio fisico e politico dentro questa città che ci vuole spersi e divisi nei quartieri-dormitorio, che ci vuole vinti ad elemosinare un lavoro e un reddito sempre precario.

Ricordiamo anche che durante la lotta sul censimento fu tra quelli che la polizia provocatoriamente portò in questura.
Quanto livore e accanimento contro un compagno!!!!

E poi di nuovo un mandato di cattura ancora più infame e labile del primo. Di nuovo costretto alla latitanza, di nuovo perde il posto e il reddito con cui manteneva la famiglia proletaria al Sud.
Pedro sarebbe ritornato con noi, al nostro fianco se i killer di Stato non lo avessero ammazzato.

Pedro è stato assassinato premeditatamente!
Oggi non siamo solo addolorati per la perdita di un nostro compagno, ma la nostra rabbia ci trova e ci rende più uniti e più determinati per riprendere la lotta con più forza.

Pedro vive e lotta insieme a noi!

Comitato Precari e Disoccupati
ed alcuni ex rilevatori del censimento

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UNA CONDANNA ESEGUITA SENZA PROCESSO

La morte di Pietro Maria Greco, costretto alla latitanza da ordine di catture del p.m. Calogero in seguito al blitz di quaresima, è una morte assurda, immotivata, incomprensibile.

A chiunque abbia letto le cronache dei giornali sembra una esecuzione a sangue freddo, una condanna senza processo.
Era disarmato: certamente non ha fatto gesti sospetti perché, per lunga esperienza, Pedro sapeva bene come comportarsi davanti a un "alt" della polizia.
Non è accettabile la tesi che dei poliziotti abbiano scambiato un ombrello per un mitra: se così fosse possiamo solo consigliare ad essi di cambiar mestiere!

L'averlo poi ammanettato ormai morente aggiunge una nota agghiacciante a una vicenda già tanto grave. Si può ben parlare di un assassinio voluto, deciso, perpetrato da chi vuole che l'emergenza continui.

E' una delle conseguenze delle leggi speciali e della famigerata legge Reale che dà alla polizia la possibilità di sparare senza alcuna conseguenza per eventuali eccessi o errori.

In Pedro rivediamo i nostri figli latitanti la cui sorte, a questo punto, ci sembra quella di far da bersaglio col tiro a segno della polizia. A questo punto non c'è più alcuna certezza del diritto e di questo tutti i cittadini devono rendersi conto: chiunque anche se non latitante può trovarsi in questa situazione.

Comitato parenti degli imputati
del processo "7 Aprile" - troncone veneto

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E' STATO ASSASSINATO UN ALTRO COMUNISTA

E' stato assassinato un altro comunista, un compagno che noi abbiano conosciuto, con cui abbiamo lottato e vissuto insieme.

Non è facile parlare con lucidità di un fatto così grave, così sconvolgente per tutti noi. Vogliamo però dire alcune cose, vogliamo parlare noi di questo compagno, di questo amico per non lasciare che altri (che di fatto hanno legittimato questo brutale omicidio) oggi ciancino su questo episodio richiamandosi alla democrazia e alla giustizia borghese.

Noi non chiederemo giustizia a questo Stato che ha premeditato l'omicidio di Pedro, non ci basterà leggere gli articoli del sig. Garzotto (tra l'altro responsabile di grosse campagne diffamatorie nei confronti delle lotte in questa città), non ci basteranno i piagnucolii dei partiti per ricordare la figura di Pedro, di questo compagno così forte e schietto. Con lui abbiamo occupato gli appartamenti qui al condominio "Sereno", con lui abbiamo passato intere giornate a presidiare le nostre case per non essere sgomberati dalla polizia.

Lui sempre presente, lui sempre in prima fila, lui con l'amore del suo agire comunista, lui con noi: la nostra storia. Storia non solo politica, costruita si sulle nostre idee ma vissuta nel quotidiano con davanti un piatto di pastasciutta, insieme, a discutere del nostro vivere comunista, di come affrontare la giornata successiva colma di lotte, rabbia, fermezza e amore. Siamo legati a Pedro da una vita in comune...dai bisogni, dalle aspirazioni, dalla ricerca di nuovi spazi di crescita per una migliore qualità della vita, di quella vita che vogliono ogni giorno mutilare, minare... la nostra vita di proletari e comunisti che era anche la vita di Pedro!! Per questo l'hanno ammazzato! Perché con coerenza e con forza ha sempre lottato... e noi continueremo a farlo, ora anche per lui.

Noi continueremo la lotta di Pedro
Continueremo a gridare come lui,
Continueremo a parlare di lui!

"Per il vostro Stato fondato sulla merda,
per il vostro potere cattivo, sporco e brutto
Pagherete caro, pagherete tutto!"

13 marzo 1985

Gli occupanti del condominio "Sereno"

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I FUNERALI DI PEDRO

Chiamo da Melito Porto Salvo il paese del compagno Pedro dove oggi alle 15 si sono svolti i funerali.
Volevo fare un po' il resoconto: quando siamo arrivati qua il paese praticamente straripava di persone, c'era una grande folla che era venuta a salutare il compagno Pedro.

Una folla con chiarezza di idee mai vista, nel senso che in questo paese e nei paesi vicini è palpabile non solo il dolore, quanto la necessità di chiedere giustizia.
C'era grande manifestazione di gente ma non solo, i lontani si sono fatti vivi con fiori, con comunicati.
Il Comune di Brancaleone Calabro e di Bova Marina questa mattina erano in lutto cittadino.
Il Sindaco di Bova Marina e l'on. Mancini hanno detto alcune cose sulla morte di Pedro.
Hanno parlato chiaramente di assassinio.

A margine di questa grossissima manifestazione che c'é stata, purtroppo la provocazione non si è fatta aspettare. Da stamattina tutta la gente che cercava di entrare in paese veniva fermata e identificata e la Digos ha avuto l'arroganza di seguire il corteo! Erano presenti Radio locali e televisioni private.

La cosa che più ci ha colpito e impressionato è la chiarezza con cui questa gente ha denunciato l'assassinio di Pedro.

13 marzo 1985

Telefonata di una compagna a Radio Gamma 5

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CONTINUA IL TERRORISMO DI STATO

Prima o poi doveva succedere. Questa è l'ennesima prova di quanto possa valere la vita umana per i "tiratori scelti" che giorni fa hanno crivellato di colpi e poi ammanettato Pietro Greco, imputato nel processo 7 aprile, latitante in attesa di costituirsi. Il carattere "inaspettato" di questa esecuzione è solo apparente: oltre ad inserirsi in un continuum di episodi di questo genere (Lo Muscio, Giorgiana Masi, Franco Serantini, Francesco Lo Russo, ma sono solo alcuni nomi, oltre a tutti i ragazzini, ladruncoli o semplici persone impaurite freddate ai posti di blocco e dimenticate per sempre), questo ultimo fatto dimostra quanto la cultura dell'emergenza ed il binomio "emergenza-repressione" siano strutturali e radicati nel sistema di potere "democratico", e di quanto sia improprio il tentativo da parte di alcuni intellettuali di "uscire dall'emergenza", ristabilendo una condizione preesistente-inesistente rispetto all'evidenza storica del potere come "emergenza permanente" e della repressione.

Un altro aspetto di questo omicidio riguarda il modo di amministrare la giustizia: l'usanza del sistema giuridico di condannare l'imputato-sospettato prima ancora di averlo sottoposto a processo e di considerare la latitanza (il tentativo di sottrarsi alla macchina inquisitoria) un'aggravante tale da trasformare il sospetto in colpa e legittimare quindi qualsiasi azione verso l'inquisito si dimostra strettamente connaturata all'esecuzione sommaria avvenuta nella pubblica via di Trieste il giorno 9 marzo 1985.

La barbarie dei cecchini prezzolati dalla Digos non è violenza inconsulta o fatto accidentale ma ha alle spalle una sua cultura, una sua istituzione legalizzata, sacra ed intoccabile. I fautori del "processo civile e democratico" si portano appresso fascismi vivi e vegeti e non hanno l'aria di volersene liberare.

Insieme a Pedro è stata uccisa una parte di tutti noi, anche di quelli che non sanno niente o se ne fregano e si illudono di potersi costruire un futuro in una società di questo tipo. Con la parte viva che resta si può recuperare la volontà di liberarsi dal potere. A noi non interessano smentite o interrogazioni parlamentari quando questa democrazia insegna che non c'è bisogno di creare "desaparecidos" perché gli assassinii di stato vengono fatti alla luce del sole.

16 marzo 1985

Gli anarchici

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ECCO LO STATO "DEMOCRATICO"

Il governo Craxi, degno rappresentante dei padroni, sta accentuando sempre di più la propria politica che (oltre agli interventi di carattere economico) tende a restringere gli spazi che i movimenti di lotta sono riusciti a strappare alle istituzioni

In questi giorni siamo stati costretti ad assistere ad avvenimenti che altro non sono che la dimostrazione della politica e degli strumenti contro i proletari. Basti ad esempio prendere in considerazione alcuni fatti:

- Sabato 9 marzo a Trieste, in un agguato della cosiddette "forze dell'ordine" è stato ucciso con sette colpi alle spalle, nonostante fosse disarmato, Pietro Greco "Pedro", militante comunista. Questo è potuto accadere anche grazie alla "Legge Reale", così cara a tutti i partiti che la lasciano volontariamente in vigore. La versione data dalla questura tenta di legittimare questa esecuzione. Ora ci diranno che questo omicidio serve per la "difesa della collettività e dell'ordine civile". Poi di questo "inevitabile incidente" non parlerà più nessuno, come di tanti altri ormai dimenticati.

- Un mese fa cinque compagni del Coordinamento dei Comitati contro la repressione sono stati arrestati per la loro militanza comunista e antagonista (il Coordinamento raccoglie decine di comitati di operai, disoccupati e studenti che lottano contro le spedizioni militari, contro i governi borghesi e la ristrutturazione capitalista).

- Con la stessa logica due detenuti del carcere di Monza, che stavano attuando una manifestazione di protesta contro le condizioni carcerarie, sono stati lasciati morire asfissiati nella loro cella.

- Mentre le stragi di stato continuano (23/12/84) a Bari si sta tenendo nel disinteresse generale l'ennesimo processo farsa sulla strage di stato di Piazza Fontana. Questo è già il terzo che si svolge e sarà quello che servirà alla "giustizia" per mettere la parola fine ad un episodio di cui è stata smascherata la partecipazione diretta degli apparati statali.

- A Roma il 2 marzo un corteo di studenti che voleva protestare contro le provocazioni dei fascisti, i quali hanno ripreso terreno grazie ai partiti che si sciacquano la bocca parlando di democrazia aperta a tutti, è stato caricato. Come se non bastasse in occasione dell'8 marzo alcune studentesse sono state aggredite dagli squadristi. Lo stesso è accaduto durante un'assemblea studentesca il 10/3. Questi due ultimi assalti sono avvenuti con la presenza benevola della polizia, che ovviamente si può capire quali interessi difenda.

- A Milano 15 operai dell'Alfa, di cui alcuni del C.d.F., sono stati denunciati per aver partecipato a cortei interni e picchetti di protesta contro la cassa integrazione che ormai colpisce migliaia di lavoratori e che non è altro che l'anticamera del licenziamento. Contemporaneamente aumentano a ritmo impressionante i suicidi degli operai in CIG, e i morti sul lavoro insieme con l'aumento dei ritmi produttivi e dello sfruttamento.

- Ma la provocazione continua: lunedì 11 marzo decine di agenti hanno fatto irruzione nell'ex Ospedale Psichiatrico di Trieste intimidendo gli ex ricoverati che ancora vi trovano alloggio e danneggiando seriamente le strutture, giustificando queste azioni con il fatto che l'appartamento in cui viveva il compagno Pietro Greco era intestato ad un infermiere dell'USL che aveva lavorato nell'Ospedale. I lavoratori delle USL di Trieste hanno indetto ed attuato uno sciopero di 4 ore contro questa provocazione.

Appare chiaro che chi non accetta la logica delle istituzioni borghesi, chi non china la testa davanti allo sfruttamento, alla miseria e alla repressione, non è socialmente utile e quindi deve essere annientato, in carcere o per strada.

Riprendiamo il dibattito e l'iniziativa esprimendo la nostra volontà con la lotta!

Pietro Greco vive e lotta al nostro fianco

Firenze, 21 marzo 1985

Collettivo Controinformazione Firenze Sud

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