Senza
Censura n. 1/2000
[ ] Contro
la guerra imperialista
Intervento del Collettivo internazionalista
della Panetteria Occupata (Milano) sulla guerra in Jugoslavia
Qui di seguito pubblichiamo un intervento del Collettivo Internazionalista
della Panetteria Occupata di Milano sulla guerra contro la Yugoslavia.
Lo scritto risale al settembre 1999, ma secondo la redazione rappresenta
ancora oggi una delle posizioni più chiare ed articolate espresse
dal movimento contro la guerra nel nostro paese.
Attenuata l'attenzione mediatica su quello che è stato e continua
ad essere un massacro umanitario, distratto da un nuovo spauracchio spettacolare
(Haider) che ben sostituisce l'altra creazione del democratico imperialismo
euroatlantico (Milosevic), disorientato dalle provocazioni poliziesco-giudiziarie
il dibattito e l'iniziativa languono.
Intanto, fra "imbrogli di guerra", problemi di decontaminazione
dall'uranio impoverito, riallineamenti democratici (Croazia) o totalitari
(Yugoslavia) ai "valori europei", l'occupazione e la guerra
continuano.
Ma "gli affari militari sono un'importante questione di Stato; il
terreno su cui si giocano vita e morte; il Dao del permanere e del perire.
Non analizzarli è dunque impossibile" (Sun Tzu).
La guerra nei balcani ha rafforzato l'equilibrio instabile che è
alla base dell'ipotesi di costruzione dei "due pilastri" della
NATO e della Kerneuropa avanzata nel documento della CDU del '94, ribadita
dal Parlamento dell'UE (Documento Tindermas) e parzialmente formalizzata
nel recente Vertice di Helsinki. Il programma approvato dai quindici ad
Helsinki cerca di risolvere alcuni nodi centrali della cessione di sovranità
(legislativa, esecutiva, giudiziaria e monetaria) e concretizza la costituzione
di una forza di intervento rapido di 40.000-60.000 uomini per missioni
esterne di lunga durata, con un'autonoma capacità di trasporto
e, come già proposto dal ministero della difesa tedesco, con un
comando comune. L'esperienza balcanica ha dato i suoi frutti: è
il nocciolo del futuro esercito europeo.
Le uova del serpente imperialista si sono schiuse: i mostri che ne stanno
uscendo minacciano un orrore senza fine.
Brevi cenni storici
La storia della Jugoslavia è la storia delle grandi potenze che
si sono per secoli contese il dominio dei suoi territori. Nonostante la
composizione in 24 etnie su una popolazione di 23 milioni di persone,
dal dopoguerra agli anni 80 la Jugoslavia ha saputo gestire le diversità
etniche, culturali e geografiche presenti al suo interno.
Il Partito Comunista Jugoslavo di Tito, al potere dal dopoguerra, riorganizzava
il territorio in una coalizione di Repubbliche indipendenti su base paritetica
e con la discriminante antifascista, strutturate economicamente sull'autogestione
delle imprese nazionalizzate, sul decentramento del potere statale, sulla
rotazione nelle cariche all'interno degli organi direttivi (lega dei comunisti)
e sulla creazione di milizie nazionali. Venivano duramente represse, attraverso
l'erogazione di pene severe, le manifestazioni e la propaganda a carattere
etnico-religioso.
Questa unità politico-territoriale determinata dalla priorità
della difesa militare dall'influenza sovietica, dopo l'allontanamento
del Pcy dal PCUS di Stalin, veniva favorita e sostenuta dai paesi imperialisti
occidentali in quanto elemento strategicamente favorevole durante la "Guerra
Fredda".
Negli anni 70 la crisi economica seguita alla crisi del petrolio produceva
una ripresa, seppur sotto tono, dei movimenti di opposizione nazionalista.
Gli effetti di questa crisi mettevano in evidenza la fragilità
di questo sistema "misto" e di per se portatore di forti squilibri
strutturali. La Slovenia, che produceva con l'8% di popolazione 1/3 del
Prodotto interno lordo, e la Croazia, con un'economia maggiormente integrata
nell'area tedesco-austriaca e italiana, riuscirono a contenere gli effetti
della crisi; le altre federazioni, compresa la Serbia, vedevano l'aumento
della disoccupazione e la perdita del potere d'acquisto dei salari. La
ridistribuzione del reddito a favore delle economie più deboli,
fece salire la resistenza nazionalista dei Croati, per contenere possibili
conflitti vennero per modifica costituzionale ridotti i poteri di Belgrado
e ai governi nazionali vennero demandate tutte le questioni in materia
sociale ed economica. Questa operazione politica creava la base per lo
sviluppo delle nuove borghesie nazionali che saranno protagoniste della
dissoluzione di questo paese.
La morte di Tito, del movimento dei non allineati e il declino del blocco
sovietico (termine della guerra fredda), lasciavano al mercato capitalistico
la possibilità di collegarsi ai potenti gruppi di interesse presenti
nella federazione, che si contrapponevano al potere centrale Serbo e all'esercito
jugoslavo che voleva rafforzare la centralizzazione politico-economica.
L'inflazione al 100% annuo, il colossale indebitamento estero, il crollo
del mercato socialista (COMECON) che indeboliva ulteriormente la struttura
economica di produzione e scambio della Serbia, la fine del precario legame
di solidarietà tra repubbliche, costringevano la vecchia burocrazia
di stato a chiedere prestiti al Fondo Monetario Internazionale in cambio
della transizione al sistema capitalista; tagli ai salari, chiusura di
fabbriche obsolete, penetrazione del Capitale estero e privatizzazioni.
I grandi scioperi in Croazia, Serbia, Kossovo contro la politica recessiva
del governo generavano presso i nuovi investitori il timore dell'esplosione
di un conflitto di classe nell'Europa centro-orientale in corso di bonificazione
dall'ideologia e dal sistema economico prodotto dal socialismo reale.
L'esigenza inderogabile del capitalismo di integrare rapidamente questi
paesi nell'economia neoliberista occidentale, portava alla proclamazione
d'indipendenza della Slovenia e della Croazia e all'isolamento politico-economico
della Serbia.
Il modo più semplice usato dalla borghesia di Stato, guidata da
Milosevic per conservare il potere politico e mantenere il consenso della
classe operaia, è stato il ritorno al mai sopito elemento nazionalista
di avversione verso i non serbi.
L'incapacità dei sindacati, dei lavoratori, dei disoccupati e degli
studenti, pur resistendo al progetto di pianificazione economica neoliberista,
di unificare la lotta contro le nuove classi dirigenti in un progetto
comune di superamento a sinistra dei limiti del socialismo reale è
l'elemento chiave della successiva deriva nazionalista e delle sue conseguenze
sull'intera area. La capacità di colmare questo vuoto e di porre
un freno, quantomeno virtuale agli interessi del capitale, è stata
la prerogativa politica del nuovo nazionalismo serbo.
La guerra nin Kossovo
Lo strapotere del FMI e della Banca Mondiale ha imposto sull'intero pianeta
il ripensamento del ruolo, del senso e del significato dello stato-nazione
nel contesto della globalizzazione del mercato.
Tutti i paesi, ricchi e poveri, sono stati ammoniti a porre in atto riforme
strutturali e istituzionali per adeguarsi al nuovo mercato e alla nuova
logica di accumulazione e distribuzione del profitto.
L'integrazione al nuovo sistema capitalistico e alle sue esigenze di dominio
non ha risparmiato gli ex paesi del blocco socialista anche a prezzo di
nuove povertà, crisi dello stato sociale, distruzione dei legami
di solidarietà e divisioni etniche.
Nell'ex Jugoslavia si succedevano l'indipendenza Slovena, la guerra tra
Croazia e Federazione, la crisi mineraria del Kossovo, la guerra di Bosnia
(dopo il riconoscimento Europeo della sua indipendenza) l'embargo alla
Serbia e gli accordi di "pace" di Dayton imposti dagli americani.
La pace americana, ottenuta con il ricatto di pesanti rappresaglie contro
la Serbia, prevedeva la divisione della Bosnia in settori, la presenza
stabile delle truppe NATO come garanti degli equilibri etnici e la legittimazione
di Milosevic come intermediario politico degli sconfitti.
In questa prima fase di scissioni e ri-confederazioni in Croazia venivano
privatizzate il 60% delle industrie, in Macedonia il 50% e in Montenegro
l'80%.
La Serbia, riottosa ad abbandonare completamente la politica "dell'interesse
nazionale" e sottoposta ad embargo economico dal 92 al 96 promulgava
nel 1994 una legge di ri-nazionalizzazione. Solo nel 1997 dopo gli accordi
di Dayton la nomenclatura populista Serba, composta oramai da ex comunisti
come Milosevic e Nazionalisti come Draskovic e Sesely, dava spazio agli
investimenti stranieri per l'acquisto delle grandi imprese di Stato, ad
eccezione del Settore petrolifero.
Governi di destra ed economie pienamente dipendenti dal Capitalismo euro-statunitense
sono al potere in Croazia, Bosnia, Slovenia. La nuova micro-confederazione
jugoslava (Serbia-Montenegro), restia a concedere l'apertura delle frontiere
per i traffici commerciali Ovest-Est, è percorsa dalla questione
del Kossovo.
La presenza di militari occidentali, sotto le spoglie di osservatori OSCE,
gli appoggi logistico-militari di Berischa e dell'Albania ai nazionalisti
dell'UCK, e la reazione Serba su un area di interesse strategico (controllo
sud del paese), portano all'intensificazione dello scontro e creano l'opportunità
di un intervento punitivo.
L'intervento militare dell'Alleanza Atlantica per "motivi umanitari,
in favore dei Kossovari" è sotto i nostri occhi. Tonnellate
di bombe di varia natura che hanno distrutto le infrastrutture economiche
della Serbia e raso al suolo il Kossovo, migliaia di morti, milioni di
persone senza lavoro, danni ambientali che si ripercuoteranno per anni
come i tossici chimici nell'aria, la distruzione delle reti idriche, l'inquinamento
del Danubio e danni sociali incalcolabili.
Questa azione infame mette sullo stesso piano, attraverso la partecipazione
militare attiva, i due poli imperialisti (USA e EU) innescando un processo
che ha tra i propri obiettivi la mobilitazione e il coinvolgimento ideologico
dei lavoratori europei per il sostegno della "guerra giusta".
L'apparato politico-culturale dell'imperialismo, proprio perchè
oggi rappresentato in Europa da governi socialdemocratici, ha messo alle
corde una sinistra, antagonista, pacifista o riformista, incapace ad andare
oltre alla richiesta di mediazione del conflitto per opera della Comunità
Europea, apparentemente disponibile al dialogo diplomatico, o nell'altra
ipotesi capace di legittimare l'UCK come parte integrante della storia
dei movimenti di liberazione nazionale.
Dopo 79 giorni di incursioni NATO (e di resistenza popolare) per isolare
territorialmente e commercialmente la Jugoslavia, le condizioni per la
pace imperialista, sancita dal vertice dei G8 a Colonia (accompagnato
dall'accordo sul "Patto di stabilità per l'Europa sudorientale"
che prevede lo stanziamento di 50/60 miliardi di dollari per la ricostruzione
dei Balcani, influenzando il bilancio dei Paesi Europei per il 2% del
PIL), sono state recepite dall'ONU e accettate dal governo serbo. Il bombardamento,
voluto, dell'ambasciata cinese di Belgrado e la promessa di integrazione
rapida nell'organizzazione del commercio mondiale hanno fatto cadere le
resistenze della Repubblica Popolare Cinese verso una risoluzione ONU
che legittima l'occupazione militare di un territorio appartenente ad
uno Stato sovrano.
Compiti dell'alto commissariato ONU (sotto il controllo NATO) riguardano:
la smilitarizzazione delle parti, la tutela delle etnie e la creazione
di un'amministrazione provvisoria dentro la sovranità e l'integrità
territoriale della Repubblica Federale Jugoslava. La realtà che
si nasconde dietro le parole è ben diversa; il Kossovo viene diviso
tra i paesi dell'alleanza atlantica, il disarmo riguarda prevalentemente
i serbi del Kossovo (costretti di conseguenza all'esodo di massa), vengono
insediate, sotto il controllo diretto dei militari, le nuove amministrazioni
centrali e locali e le nuove forze di polizia composte dai miliziani dell'UCK
e dai clan politici filoccidentali. Questa ripartizione del Kossovo è
affidata al comando Inglese (Gen. Jakson) che controlla il settore strategico
di Pristina.
I contingenti coloniali britannici la cui esperienza diretta in "contro-sovversione"
contro comunisti e movimenti di liberazione è stata in un recente
passato patrimonio comune delle borghesie europee e utilizzata in 18 paesi
(es. deportazione della popolazione repubblicana irlandese in "distretti
strategici", sperimentazione di nuove tecniche di interrogatorio,
uso di armi elettroniche e chimiche, detenzione di massa e introduzione
delle celle di "deprivazione sensoriale", legislazioni di emergenza,
creazione e addestramento di gruppi paramilitari fascisti, addestramento
dei reparti speciali spagnoli contro l'ETA) è diventano la punta
di diamante dell'operazione di pacificazione dell'area Balcanica.
Il nazionalismo
La questione nazionale e il concetto di "autodeterminazione"
sono riemersi nel dibattito collettivo in modo confuso e contraddittorio.
In un quadro mondiale precedente dove esistevano o coesistevano due mercati
(socialista e capitalista) la lotta anticoloniale (e i movimenti di liberazione
nazionale che vi si ispiravano) si è evoluta, in molti casi, nella
lotta rivoluzionaria per la trasformazione sociale. Queste lotte hanno
visto al loro interno scontrarsi correnti ideologiche diverse e spesso
conflittuali, l'influenza delle organizzazioni rivoluzionarie socialiste,
hanno spesso determinato lo spostamento del baricentro dell'azione, dalla
lotta indipendentista alla lotta di classe contro lo sfruttamento imperialista.
Paragonare i nuovi movimenti nazionali su base etnica e interclassista
con quelli storici ancora presenti, che si identificano con l'internazionalismo,
appoggiano la lotta anticapitalista dei popoli oppressi del mondo e che
ancora combattono contro il neocolonialismo è un grave errore di
lettura. Sebbene il sistema capitalista si presenti come unico modello
possibile, e nelle attuali lotte d'indipendenza (irlandese, basca, kurda,
ecc. ) le direzioni politiche mostrino la tendenza ad accettare i processi
di pacificazione imposti dall'imperialismo, è altrettanto vero
che all'interno di questi movimenti si va sviluppando una riflessione
sui limiti delle passate esperienze nel tentativo di riqualificarle e
rilanciarle.
L'assenza sulla confusa scena balcanica di un identificabile referente
di classe, la consapevolezza che deboli stati nazionali (come la Serbia)
non possano dare risposte adeguate all'attacco neoliberista e che la via
d'uscita da queste crisi (che continueranno a susseguirsi nell'Europa
Orientale), è il rafforzamento dei legami del proletariato internazionale,
non giustifica la collocazione impropria del movimento di liberazione
kossovaro tra i nostri referenti. E' proprio questo "artificiale"
movimento nazionale autoproclamatosi "unico rappresentante del popolo
kossovaro" con il progetto della Grande Albania su base etnica, alle
dirette dipendenze del Pentagono, che vorrebbe vanificare ogni speranza
di reale autodeterminazione ed emancipazione sociale del proletariato
kossovaro.
NATO
Nonostante gli stati imperialisti abbiano più volte dimostrato
una certa flessibilità nel fare concessioni politiche a paesi "amici"
anche se accusati di violare sistematicamente i diritti civili e umani
(vedi Turchia) e storicamente abbiano beneficiato di un atteggiamento
favorevole dell'ONU nel mantenimento delle politiche coloniali, in questa
occasione hanno preferito superare i preamboli diplomatici, costituiti
dal possibile veto di Cina e Russia, spostando l'attenzione sulla pianificazione
della distruzione della Jugoslavia.
Il primo intervento coordinato dei paesi aderenti al Patto Atlantico per
imporre la stabilizzazione dell'area, o per meglio dire, attuare la distruzione
delle forme socio-economiche esistenti e sostituirle con altre, nonostante
una sua apparente omogeneità nel colpire senza tregua le strutture
civili e industriali Jugoslave, mostra alcune contraddizioni.
Questa nuova divisione dell'Europa in micro Stati e zone di libero scambio
con il controllo diretto delle dogane impone un ripensamento della "
dottrina della sicurezza", che delegava agli USA la pratica della
coercizione bellica contro gli oppositori del modello capitalistico. La
crescita dell'imperialismo Europeo in termini qualitativi e quindi espansionistici
costringe le superpotenze ad accelerare un processo di riequilibrio dei
poteri anche sotto l'aspetto militare.
Due nuove ipotesi si contrappongono nel sotterraneo conflitto inter-imperialista
per la divisione delle aree di controllo, per la bonifica delle zone distrutte,
nella lotta per il monopolio delle vie commerciali di flusso. L'asse angloamericano,
auspica sia un rafforzamento della capacità deterrente dei paesi
Europei, attraverso nuovi stanziamenti alla difesa verso il livello americano,
sia una radicale riforma delle forze armate sotto il controllo logistico
e strategico degli Stati Uniti.
Viceversa, altri paesi europei dopo avere partecipato all'operazione vedono
nell'immediato la possibilità di un rafforzamento del progetto
di difesa comune europeo. Dopo Maastricht e l'unità monetaria,
il coordinamento delle forze di polizia e il controllo comune delle frontiere,
la guerra diventa il nuovo motore della difficoltosa integrazione europea.
I capi di stato maggiore insistono sullo sviluppo immediato di un progetto
di difesa, industriale e tecnologica, che preveda la creazione di un comitato
politico per la sicurezza, una sala operativa comune e un servizio di
informazioni della difesa Europea e una capacità militare autonoma
dalla NATO. Questo risvolto del conflitto che vede opporsi i paesi orbitanti
nell'area del dollaro e quelli dell'euro ricadrà dentro gli assetti
futuri della NATO ancora sotto il controllo angloamericano. L'Italia per
il suo posizionamento strategico sull'asse Adriatico-Albania-Mar Nero,
riveste un ruolo primario nelle strategie di penetrazione imperialistica
ad Est. Anche l'ONU dopo avere legittimato la NATO come organismo di intervento
Regionale e avere svelato la sua vera natura si prepara a diventare da
forza di interposizione a contingente di pronto intervento con poteri
coercitivi in Asia e Sudamerica.
Il governo italiano
Non destano stupore gli atteggiamenti assunti dal governo di centrosinistra
italiano, dai laburisti inglesi, dai socialdemocratici tedeschi, dai socialisti
francesi, nei confronti della guerra.
Queste forze della sinistra riformista hanno ereditato dai governi conservatori
precedenti il compito di portare i rispettivi paesi nell'area della moneta
unica e della globalizzazione economica.
Lo slogan "sviluppo e uguaglianza" lanciato strumentalmente
dalle centrali sindacali e perno centrale dell'agire del governo D'Alema
è il paradigma di questa fase che vede mondo politico, sistema
industriale e organizzazioni dei lavoratori convergere sulla necessità
imperativa di allargare i mercati per le imprese italiane e controllare
le dinamiche del lavoro. Dai sistemi conservatori che hanno fatto la politica
dell'impresa negli anni 70/80 hanno ereditato gli uomini di punta, tecnici
come Dini, Fazio, Ciampi, e dalla propria esperienza e conoscenza la capacità
e l'intelligenza di imporre senza apparenti scosse sociali la subordinazione
del lavoro al capitale.
Questi partiti eredi di una fase storica che offriva la possibilità
oggettiva alla crescita del riformismo, dopo aver tenuto legata la lotta
di classe alla società borghese e dimostrato l'incapacità
di attaccare il peso sociale del capitalismo sono stati legittimati a
diventare gruppo dirigente in una nuova fase.
Il PDS e le organizzazioni sindacali confederali dopo essersi attivati
in ogni modo per organizzare la classe operaia a lottare contro gli elementi
rivoluzionari e a integrarsi nella società borghese sono diventati
il referente privilegiato di un mondo industrial-finanziario che affida
ad essi il processo di riforma strutturale del mercato del lavoro.
Il patto sociale, la concertazione sindacale, la fine della scala mobile,
le privatizzazioni, la flessibilità, la riduzione del diritto di
sciopero, la legge sulle pensioni sono gli obiettivi politici messi sul
vassoio di CONFINDUSTRIA per continuare abusivamente a rappresentare la
classe operaia e il mondo del lavoro nel nostro paese.
Non stupisce quindi che chi ha rifiutato in passato di partecipare alla
distruzione del capitalismo e delle sue leggi di dominio e oppressione
lavori per condurre le masse ad accettare e a subire passivamente le conseguenze
della guerra. Ai lavoratori, costretti dalla disinformazione diffusa dal
sindacato dentro le fabbriche, e dai media dentro le case, ad assentarsi
dal movimento contro l'intervento militare italiano in Jugoslavia, non
è stato ricordato che l'isolamento del proletariato serbo è
la cartina tornasole della sconfitta delle forze operaie in Italia.
Questo tentativo, sorretto dall'insieme degli apparati ideologici di potere,
dal sindacato all'istituzione universitaria, non solo si è reso
funzionale all'aggressione bellica ma è anche strumento per preparare
il proletariato delle metropoli imperialiste alle ricadute sociali ed
economiche di questa guerra.
Questa guerra servita ad accumulare esperienza per le nuove sfide del
capitalismo contro i poveri, gli immigrati e gli sfruttati e a rilanciare,
attraverso la ricostruzione, economie in crisi di paesi come l'Italia,
ha decretato il rilancio in grande stile dell'economia militare.
Il Ministro della Difesa ha in progetto di aumentare le spesi militari,
che già impongono sacrifici popolari per 21000 miliardi, dell'1,5%.
Il settore militare in Italia vede attualmente occupati 34000 lavoratori;
FINMECCANICA e Fiat concentrano il grosso della produzione, ma emergono
altre aziende in forte rilancio come la Beretta, il Gruppo Macchi, Alenia,
Marconi. La Cagiva sta sperimentando la produzione di una linea di motociclette
speciali, adatte ad essere paracadutate dagli aerei. La FINMECCANICA e
la British Airwais hanno concluso un accordo per la costruzione di velivoli
da caccia. Il governo Italiano e quello Statunitense stanno cooperando
per la progettazione di nuovi e sofisticati missili terra -aria.
Le aziende che si convertono al settore militare sono in continuo aumento
e in Parlamento è pronto un disegno di legge per costituire un'agenzia
di supporto che aiuti le piccole e medie aziende ad accedere ai finanziamenti
pubblici per la ricerca, l'export e lo sviluppo di nuovi prodotti.
Il Governo Italiano in questa fase sta rivestendo nel settore del mercato
militare una triplice funzione: AZIONISTA, CLIENTE E VENDITORE.
Le ipocrite giustificazioni umanitarie di questo intervento militare nel
Kossovo nascondono in realtà una corsa al riarmo funzionale agli
impegni presi dal governo nei confronti degli industriali e delle politiche
comunitarie.
Riflessioni
Il limite del fronte antimperialista e anticapitalista sta nel non essere
riusciti a riconoscere in questa aggressione un attacco contro il proletariato
mondiale.
La minima e minoritaria consistenza dei movimenti rivoluzionari Europei
ha lasciato mano libera alle azioni militari e alle imposizioni politiche.
Nonostante ciò nel nostro paese si sono sviluppate numerose forme
di lotta e resistenza.
I momenti organizzati nelle metropoli come i coordinamenti, le manifestazioni
e i presidi, la capacità di portare a risultato lo sciopero generale
del 13 maggio, la solidarietà diretta ai lavoratori della Zastava,
sono alcuni esempi che andranno in seguito valorizzati e capitalizzati,
evidenziandone ed innalzandone il carattere politico.
L'aspetto nuovo all'interno del movimento contro la guerra imperialista
sta nell'essere stato capace a differenza del recente passato ( es. Guerra
contro l'Iraq) di esprimere forme di critica autonomamente organizzata,
azioni dirette contro i responsabili ed i sostenitori dell'intervento,
in primo luogo il Governo D'Alema , i sindacati confederali, la presenza
NATO in Italia.
Il lavoro di ricostruzione del movimento rivoluzionario metropolitano
e un reale progetto di critica e trasformazione dello stato capitalista
è una delle priorità che dobbiamo affrontare per rovesciare
le tendenze di retroguardia come l'esasperato pacifismo o l'accomodamento
dentro il potere costituito.
L'apertura di una discussione fra le diverse situazioni che esprimono
quotidianamente forme di resistenza alle politiche padronali e del governo
è il preludio alla creazione di un movimento di vasta portata che
voglia essere protagonista nello scontro di classe che appare oramai irrimandabile.
E' sul terreno delle ricadute che immediatamente colpiscono il proletariato
europeo ed internazionale, conseguenza diretta ed indiretta dei costi
di guerra, che occorre mantenere viva la mobilitazione e la critica cercando
di dare a questa una dimensione di ampio respiro , mettendo in evidenza
le similitudini degli attacchi alla classe nell'intero pianeta.
Questo lo cogliamo da subito negli elementi contenuti nel documento di
programmazione economico-finanziario presentato dal Governo Italiano del
tutto simili a quelli contenuti nella legge finanziaria del Governo tedesco
di Schroeder anch'esso socialdemocratico; delibere e leggi che intensificano
l'attacco allo stato sociale , ai lavoratori, ai salari, alle pensioni.
Sviluppare momenti comuni di lotta e mobilitazione, anche a dimensione
transnazionale, sul terreno delle politiche del lavoro , evidenziando
l'antagonismo tra gli interessi primari del Capitale e quelli della forza
lavoro, con la critica delle politiche neoliberiste di privatizzazione
delle aziende pubbliche e la lotta contro la flessibilità e la
precarietà diffusa, è l'obiettivo che dobbiamo iniziare
a porci collettivamente.
Milano, 1 settembre 1999
Collettivo internazionalista della
Panetteria Occupata
Via Conte Rosso 20 - 20100 MILANO Italia
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