Senza Censura n. 7/2002


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Fight capitalism! No NATO No nation!

Senza Censura esce con una periodicità che non sempre consente di essere tempestivi sulle scadenze. Abbiamo pensato che fosse comunque importante pubblicare, anche se a posteriori, questo intervento redatto in fase di convocazione della scadenza di Monaco da alcune realtà tedesche.
Ci sembrava ancor più significativo farlo alla luce dello spazio pressochè nullo “concesso” dai media ad un’iniziativa importante e rilevante come è stata quella di Monaco.
Tutti gli anni torna nuovamente a riunirsi a Monaco una piccola ma ben scelta truppa di altolocati ministri, militari, parlamentari, giornalisti ed esperti di tutto il Mondo. Questa volta da dibattere non c’è una cosa qualunque, bensì nuove strategie delle strutture di sicurezza dell’area euro-atlantica. E, in fondo, la sicurezza e la stabilità di quest’area possono essere influenzate da tutto ciò che accade nel Mondo. E questo deriva già solo dall’autodefinito scenario di minaccia, che va dalla diffusione delle armi ABC (Atomiche,biologiche,chimiche_ndT) e delle loro tecnologie di sostegno passando per il disturbo del trasporto delle materie prime vitali fino al movimento incontrollabile di movimenti migratori.

La “Conferenza per la Politica di Sicurezza” è il forum nel quale devono essere discussi piani di politica militare affinché possano essere adeguatamente affrontate le nuove sfide. Non a caso l’organizzatrice, la “Fondazione Herbert Quandt” (di proprietà della BMW) definisce la conferenza “il Davos per la politica di sicurezza”.

Colonna portante di questa politica di sicurezza è, da 52 anni, la NATO. Fondata durante la guerra fredda come alleanza difensiva, con l’Accordo di Washington è stata ripensata per i suoi nuovi compiti come “Alleanza per il 21mo secolo”. Che la possibilità di interventi militari di crisi al di fuori del territorio dell’Alleanza esistesse e fosse già percepita già prima della risoluzione di Washington, la NATO ne ha già dato prova con la Guerra offensiva in Jugoslavia. A Washington non solo è stata giustificata a posteriori questa Guerra con le basi del Trattato della NATO, ma soprattutto si è creata la possibilità di intervenire militarmente di fronte a tutte le “crisi che mettono in pericolo la stabilità euro-atlantica e che possono riguardare la sicurezza dei membri dell’Alleanza”.

Che questo non abbia più niente a che vedere con la difesa, appare solo quando la difesa viene ridotta ad un’idea di conflitto militare. Considerando l’idea di un mondo capitalistico globalizzato, la stabilità e la sicurezza sono certamente messe in pericolo da quasi ogni spostamento impercettibile dei rapporti di potere e naturalmente anche da un pur sensibile turbamento della indispensabile sicurezza dei traffici nello scambio di merci capitalista.

Di stabilizzare e difendere questo Ordine Mondiale, gli Stati membri della NATO lo hanno formulato come obiettivo a Washington. Ne consegue inevitabilmente che una tale concezione di una “Alleanza di difesa” non può e non ha più voglia di aver riguardo nei confronti dell’ONU, che deve essere vista nella sua forma come un relitto della Guerra Fredda, e questo si riflette nella prassi seguita nella Guerra in Jugoslavia. Non è sorprendente che la NATO abbia abbandonato ogni presupposto, finora esistente, di Diritto Internazionale. Questo fa parte della necessità di adattarsi all’attuale evoluzione. Che allo stesso tempo debbano essere evolute vecchie strutture, pur quando siano sacramente intoccabili perché giuridiche, si capisce da sé.

La fine della Guerra Fredda non ha messo la NATO sotto pressione di giustificarsi, al contrario: ha dato all’Alleanza lo spazio per modernizzarsi. Si è compiuta la trasformazione dall’Alleanza di difesa dei poteri occidentali all’Alleanza di difesa dell’Ordine Mondiale capitalista senza grossi ostacoli. Anche la forza di Intervento Rapido Europea in costruzione, in cui la Germania è in testa, è un pezzo di questa difesa e non sta in contraddizione con il nuovo ruolo della NATO, esattamente tanto poco quanto la prestazione individuale di USA e GB in Afghanistan. Chi deduce dalla costruzione di strutture parallele e dalla non partecipazione della NATO ad operazioni militari, un indebolimento od una totale perdita di importanza dell’Alleanza, commette un grosso errore - la riduzione di questa Alleanza al diretto intervento militare.

Tant’è vero che questa fino ad oggi è intervenuta solo un’unica volta nella sua storia con una guerra offensiva e ha decretato solo una volta il “Caso di Alleanza” secondo l’art..5. Ciononostante la storia successiva alla Seconda Guerra Mondiale non può essere pensata ed immaginata senza l’organizzazione militare più potente di tutti i tempi.

“PESC: Progetto chiave dell’unificazione europea”

La costruzione di un’autonoma “Politica per la Sicurezza e la Difesa Europea” (PESC) è probabilmente il più rapido progetto della politica europea. Deciso solo nel 1999, già nel 2003 una Forza di Intervento di 60000 soldati effettivi deve avere capacità operativa. La Germania fornirà la parte maggiore, probabilmente 18000 soldati, seguono la Francia e la Gran Bretagna con 12000 ciascuna. Che con questo l’UE raggiunga un’autonoma capacità di azione, come sottolineano sempre più insistentemente i suoi sostenitori, non è certamente casuale anche se lo scopo è proprio quello di essere in grado di agire quando non partecipa la NATO nella sua totalità.

Difatti il ricorso alle capacità della NATO rimane fino ad ora necessario di fronte ad ogni potenziale intervento, non esistendo, né essendo tantomeno in costruzione, alcuna pianificazione e alcun sistema di informazione propri dell’Europa. E, nel caso di utilizzo delle istituzioni NATO, si deve procedere in consultazione con la NATO stessa. Un rafforzamento della politica militare dei membri europei è d’altronde espressamente auspicata anche dall’altra parte dell’Atlantico. Così da diversi anni gli USA richiedono una più forte responsabilità militare dell’Europa e sostengono perciò la creazione dell’ESVP. Questo si è tra l’altro chiaramente rivelato con il diretto intervento diplomatico in Turchia, per portare anche l’ultimo membro NATO sulla rotta dell’ESVP. L’Europa deve essere in grado di mantenere pulito da sola il suo “cortile di casa” (la parola non è facilmente traducibile, viene usata dai compagni tedeschi per indicare le aree geopolitiche di diretta influenza dei paesi occidentali_ndT), naturalmente solo dopo la precedente approvazione degli USA.

L’obiettivo centrale è “promuovere sicurezza e sviluppo in Europa e nel Mondo”, il che spiega la possibilità di intervento non solo regionale di queste truppe. E questo non vuol dire altro che ampliare ed assicurare militarmente in tutto il Mondo gli attuali meccanismi di sfruttamento.
Che in questo la Germania possa finalmente di nuovo partecipare e rafforzare alle fondamenta gli interessi propri od europei anche militarmente, in una posizione di guida, viene ora messo in evidenza dalla responsabilità nella politica mondiale dell’Europa e della Germania.

Per l’UE esiste però anche un’ulteriore componente che deve rafforzare le Truppe di Intervento Europee. Nonostante tutti gli Alti Rappresentanti la politica estera europea non è né comune, né tantomeno si può parlare di una unitaria. Questo perché attraverso la politica estera, cioè il rivolgersi a qualcuno all’esterno della comunità, si forma sempre nel più forte dei modi un’identità della comunità nazionale. Questo continua ad essere uno dei momenti più importanti che danno identità al moderno Ordine Mondiale basato sulle nazioni. L’UE cerca in modo spasmodico una forma simile di identificazione della popolazione con questa unione di Stati. L’EURO è solo un passo di questo processo, ma non basta. Se non sarà allora nessuna politica estera unitaria a generare una tale identificazione, ci riuscirà ad ogni modo un intervento di guerra europeo. Questo progetto viene infatti definito nell’ambito della NATO “Identità di Difesa e Sicurezza Europea “ (ESDI).

“La nostra guerra contro il Terrorismo inizia con Al-Qaeda ma non finirà lì”

Quasi nessun’altra frase mostra in modo più chiaro come è cambiato l’Ordine Mondiale con l’11 settembre. Anche se questa frase rivela chiaramente che sarà una guerra di lunga durata e approfondita, essa contiene tuttavia una bugia. La guerra non comincia con Al-Qaeda, questa guerra non ha nessun “starting point”. L’inizio, cioè l’imposizione della pretesa di potere di una o più nazioni, non può trovare una collocazione temporale. Se si tratti di una campagna militare di rappresaglia, di interessi geostrategici o direttamente dei giacimenti petroliferi, non fa alcuna differenza.
L’eccezionalità della situazione attuale non sta nell’atto bellico in sé, bensì nella sua legittimazione. Non nella legittimazione della rappresaglia per i fatti dell’11 settembre, ma nella legittimazione che le Superpotenze o le Grandi Potenze hanno da ora di imporre i propri interessi in tutto il Mondo in qualsiasi momento non più solo con mezzi di intelligence, economici o politici, ma anche con mezzi militari. Le risoluzioni 1368 e 1373 del Consiglio di Sicurezza dell’ONU spianano la strada agli interventi dovunque esiste o si sviluppa qualcosa che contrasta l’attuale Ordine Mondiale. Queste risoluzioni, insieme alla pratica degli Stati imperialisti, stabiliscono il Nuovo Ordine Mondiale.

Il fatto che in questo organo (il C.d.S._ndT) sono rappresentate quasi tutte le grandi potenze, fa immaginare quale grado di militarizzazione e di brutalizzazione devono aspettarsi quelle forze che non vogliono cedere. Di questa evoluzione non si può comunque accusare solo gli USA, perché loro a causa dell’attuale emotività ne sono i primi beneficiari, poiché la NATO ha già fatto questo in Jugoslavia e anche il suo orientamento si trovava già da tempo su questa strada e, sicuramente, nell’interesse di tutti i suoi membri.
Le opportunità di condizionamento militare di Stati e regioni, finora avvenuto soprattutto sul piano economico per mezzo del FMI e della BM, darà una nuova spinta agli interessi e alle ambizioni geostrategiche. Il fatto che la possibilità di intervenire militarmente senza problemi abbia come conseguenza la rivalutazione della statualità e dei suoi strumenti fondamentali, dimostra che la statualità non contraddice la globalizzazione, ma al contrario è necessaria alla sua imposizione e stabilizzazione. La speranza di una parte del movimento “Anti-global” di trovare un alleato nello Stato nazionale contro la globalizzazione, deve spaventarla (questa parte_ndT) vista la brutalità degli stessi Stati nazionali.

No one here gets out alive!

Essendo stati fino ad ora al centro della critica della sopracitata parte del movimento il Neoliberalismo, definito anche “capitalismo puro”, i mercati finanziari senza più vincoli o cose simili, questa critica ha sempre presupposto la possibilità di un miglioramento all’interno del sistema. Adesso però il potenziale Salvatore, cioè la nazione come regolatrice e capace di statualità sociale, si rivela come il prossimo “malvagio”. La rivendicazione della Tobin Tax o di simili provvedimenti regolatori, che dovrebbero indurre i mercati finanziari in investimenti nel capitale “produttivo”, potrebbe adesso realisticamente portare ad investimenti nell’industria degli armamenti, comunque portatrice al momento di molto profitto. Oppure potrebbe rendere superflua la tassa sul tabacco per la “Sicurezza interna” o finanziare la ristrutturazione della Bundeswehr. La ricerca di alternative, di una società più umana e i suoi primi segni all’interno degli esistenti Stati nazionali, devono far rizzare i capelli, anche senza un’analisi più profonda.
La contrapposizione di Stato e Capitale, di capitalismo selvaggio e capitalismo renano (keynesiano_ndT), miseria e rovina a causa della ristrutturazione o a causa delle bombe, non solo appaiono nell’analisi come differenze quasi impercettibili, ma non devono neppure essere viste come differenze, piuttosto come 2 facce della stessa medaglia.

Quale ruolo hanno gli Stati nazionali, nonostante l’economia “globalizzata”, lo rivela non solo la politica estera, ma anche quella interna e perfino questa resta un’insufficiente semplificazione.

Lo scenario di minaccia permanente evocato in tutto il Mondo viene alla fine utilizzato per la militarizzazione della “Sicurezza interna”. Della figura dei “terroristi in sonno”, delle lettere all’antrace, della rivelazione di combattenti talebani americani o dell’agente FBI doppiogiochista (che ha scritto con tutte le probabilità il “manuale del terrore”) non è più interessato solo l’Arabo, ora ognuno ed ognuna è un sospetto.
Che non solo i terroristi islamici siano al centro del mirino diventa palese quando, ad esempio, i cosiddetti anti-global vengono presi come la più grande minaccia della “Sicurezza interna”, come è successo a Genova o come risuccede ora prima di Monaco.

Non sorprende che in questo processo la Germania precede ancora una volta la comunità dei valori occidentale. Il fatto che il governo rosso-verde non ripercorre soltanto strade già sperimentate in passato, come l’indagine computerizzata (moderno metodo di indagine esistente in Germania, che prevede l’automatica indicazione dei possibili “sospetti” da parte di un computer-archivio dopo aver immesso una serie di criteri di ricerca basati su caratteristiche socio-razziali; in poche parole una grande anagrafe in cui si possono dividere i soggetti in gruppi per eseguire “indagini a campione”_ndT) e l’impunità per i pentiti o la messa a disposizione per scopi investigativi dell’archivio centrale degli stranieri, ma procede verso la schedatura biometrica di tutta la popolazione, mostra che esso non porta avanti solo la politica estera tedesca, bensì che si trova un passo più avanti anche rispetto alla “Sicurezza Interna” degli Schill o dei Kanther vari (politici populist-nazistoidi_ndT).

What to do?

Le azioni contro la “Conferenza di Monaco per la Politica di Sicurezza” sono da questa prospettiva un allargamento indispensabile del fronte di scontro del cosiddetto movimento anti-global. La concentrazione avvenuta fino a questo momento soprattutto sui vertici della politica economico-finanziaria sarà completata con la politica militare e i suoi pilastri, gli Stati nazionali. Subito dopo l’11 settembre e le sue conseguenze la politica militare degli Stati imperialisti deve tornare ad occupare il centro della critica di un movimento della sinistra antagonista.

Parallelamente alla costituzione di un nuovo “Ordine Mondiale di Guerra” è, dal nostro punto di vista, indispensabile la critica pratica e teorica allo Stato nazionale, come pilastro della politica civile e militare interna ed estera, come ingranaggio indispensabile dell’imposizione dei meccanismi capitalistici di sfruttamento ed oppressione. Articolare questa critica, cosicché diventi un’espressione antagonista e non possa più essere intesa come immanente al sistema: questo si tratta di fare a Monaco.

Agli ultimi vertici questa espressione c’è stata nella pratica nella forma del Black Blok. Non c’è stata oltre a ciò una presa di posizione contenutistica. Superare questa mancanza sarà un compito che la sinistra radicale deve darsi a Monaco -e non soltanto là. Mentre sembra trovata una prassi radicale collettiva, la differenza negli orientamenti contenutistici non può neppure essere discussa, per la mancanza di punti di riferimento e di strutture unitarie, per non parlare di strumenti comunicativi o di qualcosa di simile.

Monaco sta non solo in continuità con gli altri vertici, e anche non solo come semplice allargamento del campo tematico, ma è anche un punto per riallacciarsi alla prassi comune nella lotta contro Stato, Nazione e Capitale. Allo stesso tempo è un’occasione per riprendere la discussione sui contenuti.

Gennaio 2002

Göttingen Autonome Antifa [M]
e Bündnis gegen Rechts Leipzig
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