SENZA CENSURA N.12
NOVEMBRE 2003
La Grande Rivolta del ’36-‘39
"La loro sfacciataggine aumentò ad ogni volo d’aeroplano militare ed a ogni scarica di fucileria…non si sentì da parte loro alcuna condanna per le uccisioni in massa degli arabi, contro lo stato d’assedio e la censura".
Giudizio del Partito Comunista Palestinese sull’atteggiamento sostanzialmente filo-inglese rivelato dai partiti ebraici sionisti-operai in occasione dei primi gravi scontri armati durante la Grande Rivolta.
Il console tedesco a Gerusalemme osservò che i nazionalisti arabi «di giorno protestano contro l’immigrazione ebraica e di notte vendono i terreni agli ebrei», a prezzi che erano aumentati, agli inizi degli anni trenta, nel giro di poco più di 5 anni, di circa 5 volte il loro valore, mentre la popolazione araba proletarizzata o in via di proletarizzazione viveva in condizioni sempre più misere in città come nei villaggi.
I prodotti agricoli palestinesi erano sottoposti alla concorrenza più sleale, oltre a una serie di restrizioni, imposte dal protettorato inglese, nel settore agricolo, attraverso nuove imposte sulla terra e sul materiale occorrente per la coltivazione.
Un esempio indicativo è costituito dall’olio d’oliva, prodotto principale dei contadini palestinesi, che veniva importato dall’estero poche settimane prima del raccolto immettendolo sul mercato a prezzi fortemente concorrenziali. In tal modo l’olio di produzione locale doveva venire smerciato a prezzi bassissimi e non remunerativi, costringendo spesso il contadino palestinese, preso dalle difficoltà economiche, ad abbandonare la propria terra per cercare altri mezzi di sopravvivenza.
Il movimento sindacale nacque nel settore ferroviario nel 1923 e dovette fronteggiare da un lato il boicottaggio attivo dell’Histadrut, che minacciava gli aderenti al “club dei lavoratori delle ferrovie” e che giungerà a “bollare” le merci prodotte da mano d’opera araba e a monitorizzare e denunciare gli imprenditori che utilizzavano mano d’opera araba, e l’ostilità britannica che vedeva in ogni fermento organizzativo una minaccia al proprio dominio, tanto che l’Associazione dei Lavoratori Arabi, nata nel marzo del ’25, non avrebbe dovuto assolutamente occuparsi di politica, pena il suo scioglimento, l’attività associata degli operai doveva essere solo di stampo tradeunionistico.
Le richieste sindacali spaziavano dalla riduzione d’orario di lavoro ad otto ore giornaliere, allo stabilimento di un minimo salariale, dalla richiesta di cessazione dei licenziamenti arbitrari alla richiesta d’indennizzi in caso di infortunio, dal diritto ad ottenere una liquidazione ed una pensione, alla lotta per l’alfabetizzazione e allo sviluppo di una coscienza sindacale e di una cultura operaia.
Il movimento sindacale si estese ai lavoratori dei panifici, dei trasporti pubblici, dei tabacchifici e degli enti locali.
Durante il protettorato inglese aumentò vertiginosamente l’immigrazione ebraica, così come il capitale sionista investito in Palestina, entrambi vettori della proletarizzazione delle masse palestinesi. Contemporaneamente, aumentò il risentimento non solo verso i sionisti e gli inglesi, ma verso gli stessi proprietari “collaborazionisti” arabi, futuri co-protagonisti della pacificazione della Grande Ribellione, così come si cementificò, in parte degli strati più abbienti della società palestinese, un senso d’identificazione nazionale che incominciò ad esprimere i bisogni di una parte di questa classe emergente in concorrenza con gli interessi sionisti e allo stesso tempo, come mostrerà la rivolta, in contrapposizione all’accelerazione del processo d’autonomia sociale del proletariato palestinese sviluppatosi durante la lotta stessa.
L’espressione più radicale della classe dirigente araba del periodo pre-rivolta, divisa al suo interno dalle sue tradizionali rivalità, era il partito dell’Indipendenza, l’Istiqlal, costituito nel 1932: indipendentista, panarabo e ostile alla dichiarazione di Balfour, ebbe una certa vivace influenza durante il suo primo anno di vita. Membri del partito pattugliavano le spiagge per impedire l’immigrazione illegale, e obbligavano i negozianti a aderire agli scioperi politici.
Nel 1935 ormai gli ebrei da 84.000 che erano nel 1922 erano arrivati a 320 mila, con una crescita negli anni ’30 di 32.000 unità l’anno, e i capitali sionisti investiti in Palestina ammontavano nel ‘35 a 11.000.000 di Lire Palestinesi, quasi il doppio di quelle investite solo tre anni prima!
L’immigrazione ebraica nel ’35 toccò il picco delle 60.000, quando le conseguenze della recessione mondiale seguita alla crisi del ’29 si abbattevano anche sulla Palestina.
Come disse Ben Gurion nel ’36, parlando degli arabi: «Essi vedono un’immigrazione su larga scala… gli ebrei rafforzarsi economicamente… e le terre migliori finire in mano nostra. Vedono l’inghilterra identificarsi con la causa sionista».
Il progetto sionista si stava sempre più marcatamente tracciando, considerando ogni possibile parziale riconoscimento territoriale dell’entità come transitorio, non il :«punto di arrivo, ma di partenza», come scrisse Ben Gurion al figlio; all’interno di questa logica ogni prospettiva espansionista poneva come consequenziale la necessità del trasferimento in Transgiordania di una parte della popolazione palestinese che si fosse trovata all’interno dei confini israeliani, così come la necessità di una contiguità territoriale dell’entità sionista: tutto questo alternando l’iniziativa diplomatica alle conquiste sul campo, sempre sentendosi fieri esponenti della “civiltà occidentale” in contrapposizione con l’arretratezza della popolazione araba.
Il funerale – celebrato ad Haifa nel novembre del 1935 - del primo apostolo pubblico della resistenza armata contadina, il siriano Shaykh ‘Iz al-Din al-Qassan – da cui prendono il nome le Brigate martiri di Hamas e i missili terra-terra di fabbricazione palestinese, che visse e lavorò per quindici anni in mezzo ai fellahin senza terra emigrati nei quartieri poveri di Haifa e morì combattendo contro le truppe inglesi, si trasformò in una grandiosa manifestazione popolare, che fu a sua volta, la scintilla da cui scaturirono lo sciopero generale del 1936 e la rivolta arabo-palestinese del ’36-’39.
Alcuni degli stessi dirigenti del partito nazionalista laico Istqlal, collocati all’estremo opposto della scala sociale, rimasero profondamente impressionati dall’enorme corteo popolare che seguì il feretro di Al-Qassam.
La spina dorsale dello sciopero furono i primi nuclei di operai che lavoravano nel porto e nelle raffinerie ad Haifa e a Giaffa, come il proletariato marginale da poco urbanizzato che aveva conosciuto l’umiliazione dell’allontanamento forzato dal proprio tradizionale ambiente e dalla propria attività; poi diverranno protagonisti dell’insurrezione i molti abitanti delle campagne oberati di debiti dai mercanti delle città e dagli usurai.
Al-Qassam aveva fatto appello soprattutto ai contadini poveri, sradicati dalla loro terra, che avevano lasciato la Galilea e si erano diretti a nord, emigrando nella città portuale di Haifa. Queste prime reclute della resistenza armata organizzata erano, in molti casi, le stesse persone che erano spossessate, o dislocate, dalla prima ondata di colonizzazione dei sionisti in Galilea.
A qualche mese dal funerale, continuando gli scontri tra arabi e ebrei, venne creato un Comitato Nazionale Arabo nella città di Nablus che, sotto la pressione dei portuali del porto di Jaffa entrati in sciopero per protestare contro il sostegno britannico all’immigrazione ebraica, propose subito lo sciopero generale. Il giorno seguente fu formato un Supremo Comitato Arabo, composto dai rappresentanti dei maggiori partiti arabi, tutti legati all’aristocrazia fondiaria, e presieduto dal Mufti di Gerusalemme. Questo comitato decise di continuare lo sciopero generale chiedendo per prima cosa agli inglesi di bloccare l’immigrazione ebraica ed inoltre di proclamare il divieto dell’immigrazione stessa, la proibizione di vendere terre agli ebrei, l’instaurazione di un governo nazionale responsabile dinanzi ad un’assemblea nazionale.
Quando lo sciopero cessò e il comitato venne sciolto con la forza dai britannici che instaurarono la legge marziale, preparando la contro-offensiva, non ci fu più uno strumento di direzione della rivolta.
Lo sciopero si propagò a macchia d’olio agli altri porti, alle città ed ai villaggi, venne organizzata una campagna di disobbedienza civile di massa e bloccato il pagamento delle tasse alle autorità inglesi, mentre le milizie Qassam, attaccavano obbiettivi britannici e sionisti in tutto il paese.
I sionisti sostituirono gli operai palestinesi nelle aziende strategiche, e collaborarono attivamente, con la loro milizia, nella repressione della rivolta.
L’oleodotto della Anglo-Irak Petroleum company venne sabotato, le linee telefoniche tagliate, le strade minate o ostruite, le colonie ebraiche attaccate, i loro campi e i loro raccolti distrutti.
La competizione nel mercato del lavoro tra arabi ed ebrei doveva essere risolta a favore di questi ultimi: «l’obbiettivo fondamentale dell’Histadrut» dichiarò il responsabile sindacale di Giaffa «è la “conquista del lavoro”…Non importa quanti arabi siano senza lavoro, essi non hanno diritto a nessun impiego che potrebbe essere svolto da un ebreo. Nessun arabo può vantare diritti sui posti di lavoro nelle imprese ebraiche. Se poi gli arabi possono essere sloggiati anche da altri impieghi, tanto meglio».
Di fronte al perdurare dello sciopero durato sei mesi e all’acutizzarsi dello scontro, emersero le preoccupazioni delle élites palestinesi, legate alle classi dominanti arabe filo-britanniche e la concorrenza delle grandi famiglie palestinesi in lotta tra di loro per accaparrarsi il sostegno dell’autorità britanniche.
Incapaci di svolgere fino in fondo la propria funzione di borghesia nazionale trainante, ma pronte a rispondere all’appello dei principi arabi pedine della gran Bretagna: Saud d’Arabia, Ghazi d’Irak e Abdullah di Transgiordania, aderirono «all’appello delle loro maestà e altezze i re e gli emiri arabi a chiamare la nobile nazione araba in Palestina a ritornare alla quiete e di porre fine allo sciopero e ai disordini».
La rivolta mobilitò nel ’38 più di 150.000 palestinesi e arabi attorno ad un nucleo di 1.500 combattenti, che conquistarono per breve tempo il controllo di gran parte del paese, comprese città come Gerusalemme e Nablus, gli inglesi decisero nel ’38 di raddoppiare i propri effettivi che divennero 20.000 e di utilizzare numerose squadriglie aeree per ristabilire l’ordine: 5000 palestinesi vennero uccisi e 14.000 rimasero feriti.
L’Haganah nacque ufficialmente durante il congresso del maggior partito socialista sionista nel giugno del 1920, dopo lo scioglimento dell’ Ha Shomer, sotto la supervisione di una commissione nazionale di difesa composta da tre veterani della disciolta milizia sionista e due ex membri della legione ebraica, nel dicembre dello stesso anno passo sotto l’autorità dell’ Histadrut.
La rivolta del ’29 mostrò l’efficacia della milizia in ambito cittadino e la sua sostanziale inadeguatezza a livello rurale, suggerendo la necessità di una autonoma forza di difesa: Histradut venne quindi posto direttamente sotto la supervisione dell’Organizzazione sionista e delle autorità civili della comunità ebraica.
Contemporaneamente nel 1930-31 un gruppo di ufficiali della Haganah creò una propria organizzazione chiamata Irgun Bet, partendo dal presupposto che si dovesse abbandonare una strategia puramente difensiva e adottarne una molto più incisiva, ricorrendo anche alla rappresaglia. Di lì a qualche mese l’organizzazione assunse una decisa connotazione di destra e nell’aprile 1937, nel corso della rivolta araba, fu ribattezzata Irgun Zevai Le’umi, o IZL, o Irgun, legandosi strettamente al movimento revisionista e diventando in effetti il suo braccio armato.
Le azioni dell’Irgun iniziarono a seminare il terrore tra i civili arabi dal Novembre del ’37 e durarono fino alla fine della rivolta, è interessante notare che le azioni di questa formazione erano per la maggior parte costituite da esplosioni nei luoghi pubblici della vita quotidiana palestinese.
Esse terminarono con lo scoppio della guerra e l’appoggio dei sionisti dato alla Gran Bretagna contro le potenze dell’Asse, che si concretizzo con l’arruolamento di circa 150.000 ebrei-sionisti insediati in Palestina e la creazione di una unità speciale di membri scelti dell’Hanagah.
Solo, il Lehi o gruppo Stern, composto da una parte distaccatasi dall’Irgun, che aveva comunque lanciato una campagna anti-britannica dopo la pubblicazione del Libro Bianco, non aderì al cessare delle ostilità.
Nel corso del mandato britannico aumentò la capacità militare della milizia sionista: l’Haganah, ‘difesa’ in ebraico, sviluppò delle reti per stabilire dei contatti con dei fornitori d’armi in Europa, mentre l’addestramento dei suoi membri veniva effettuato con la collaborazione degli ufficiali britannici, come Orde Wingate.
Alla fine della rivolta del ’36-’39 questa milizia, nata per difendersi dalla resistenza palestinese e sviluppatasi come co-artefice della repressione anti-araba durante gli anni della rivolta, raddoppierà i suoi membri e le sua strutture, preparandosi per essere l’embrione del futuro esercito sionista: da forza di polizia diventerà forza militare vera e propria. Le officine clandestine in cui venivano fabbricate le armi iniziarono a fornire alle forze sioniste dei fucili, delle granate a mano e dei piccoli mortai; i villaggi palestinesi venivano minuziosamente studiati da gruppi di scouts (i Gadna) che si accampavano in prossimità e monitorizzavano le terre appartenenti ai contadini palestinesi; già prima della fine del mandato britannico sulla Palestina, il Piano Dallet, che servirà per l’occupazione e la pulizia etnica nel ’48, era stato elaborato.
Proprio durante e dopo la rivolta l’Hanagah mutò la sua strategia difensiva passando alla “difesa aggressiva”, formando squadre che monitorizzavano di notte gli obbiettivi sensibili della guerriglia palestinese, facendo ricorso alla rappresaglia contro la popolazione araba, rafforzando l’intelligence che doveva, attraverso una rete di collaboratori, individuare gli autori delle azioni e ricostruire la catena di comando, per permettere di smantellare i quadri politico-militari della resistenza palestinese e il loro supporto logistico.
L’opera di repressione dei britannici, che consisteva anche nella distruzione delle case e dei villaggi ritenuti focolai della rivolta e nelle esecuzioni sommarie della popolazione, si avvalse dalla metà del ’38 delle preziose informazioni dell’intellicence dell’haganah.
La sconfitta palestinese, dovuta al tradimento delle sue élites, alla spietata repressione, al rudimentale equipaggiamento delle sue milizie, alla sua mancanza di direzione e al suo isolamento a livello internazionale, preparò, anche a causa della decimazione del suo quadro politico-militare, ucciso, imprigionato o esiliato, il terreno al progetto sionista.
Il sionismo non poteva certo permettersi di concedere in futuro ai palestinesi la possibilità di esercitare la propria potenzialità sociale come lavoratori salariati, Come osservò Ben Gurion: «la prima e principale lezione dei disordini è che dobbiamo liberarci di ogni dipendenza economica nei confronti degli arabi. Non dobbiamo dare ai nostri nemici la possibilità di ridurci alla fame, bloccare i nostri accessi al mare, privarci di ghiaia e pietre da costruzione».
Allo stesso tempo non potevano permettere che i palestinesi godessero di basi sicure per la propria azione guerrigliera, come era stato durante la seconda fase della rivolta del ‘36 nelle campagne, né di trovare dei potenziali reali alleati nei regimi arabi fratelli o nelle popolazioni che avevano dimostrato di fraternizzare attivamente con la causa arabo-palestinese contro il nemico sionista, andando a combattere in Palestina o mobilitandosi nei propri paesi.
Allo stesso tempo la Grande Ribellione, esperienza in cui si fusero lotta di massa e guerriglia, culmine della resistenza palestinese, sarà un parte importante della formazione delle giovani leve di combattenti palestinesi degli anni ’60, prima generazione a risollevarsi dopo anni di dura esperienza contro-rivoluzionaria.