SENZA CENSURA N.14

GIUGNO 2004

 

Sardegna, un avamposto della Nato

Pubblichiamo un contributo dalla Sardegna, del Centro di Documentazione KAPPA.

 

Giorno per giorno stanno portando avanti il loro perverso meccanismo eliminando spazi di aggregazione liberi e spontanei, per crearne altri basati sul consumismo e spersonalizzazione dell’individuo, radendo così al suolo comunità intere. Il loro obiettivo è quello di creare nuovi rapporti sociali mediati da merci e vendite, col supporto asfissiante dei media secondo i canoni del più sfrenato liberismo. Stanno saccheggiando l’istruzione pubblica, l’economia e i diritti fin qui conquistati, e il tutto con l’impunità che li contraddistingue.
Con la scusa delle varie ed eventuali emergenze, tipiche del sistema, stanno trasformando la società in una enorme galera, per agire con la massima violenza, discriminando o eliminando tutto quello che si muove e tutti coloro che dissentono.
Anche la Sardegna rientra appieno nei loro progetti di repressione e controllo, in quanto siamo il ponte di lancio verso la guerra in Medio Oriente, rappresentiamo la più grande area strategica di servizi bellici essenziali: con le varie esercitazioni, guerre simulate e sperimentazione di nuove armi.
Dagli inizi degli anni ‘90, è andato affermandosi un crescente processo di militarizzazione di ogni aspetto della società. Col pretesto di combattere la criminalità organizzata sull’onda emotiva suscitata da alcuni crimini eccellenti, il dispiegamento dell’esercito sul territorio, la blindatura di intere aree, e il varo di un’accurata legislazione, sono divenuti un dato costante del panorama meridionale, che subisce ora una netta impennata.
Il primo banco di prova è stata la Sardegna.
Sfruttando il clima ipocrita d’esacrazione contro i sequestri di persona, il governo inaugurò, in terra sarda, per la prima volta, l’utilizzo dell’esercito in funzione d’ordine pubblico. Con l’altisonante nome “Forza Paris” i corpi speciali dell’esercito hanno scorrazzato per l’isola invadendo zone di pascolo e campi coltivati, terrorizzando pastori e contadini ed imponendo, in alcuni paesi, un clima d’occupazione militare con tanto di rastrellamenti, fermi indiscriminati con interrogatori “pesanti”, il tutto con un atteggiamento di livore antiproletario e di aperta ostilità verso i disoccupati, precari a vario titolo e chiunque non rientrasse nei canoni borghesi “dell’onesto cittadino” con un buon conto in banca. Basta confrontare le zone interne dell’isola dove si registrano tassi di disoccupazione altissimi con le zone del turismo d’elite e balzano agli occhi gli squilibri sociali netti e polarizzati con il conseguente corollario di sfruttamento.

Installazioni e servitù militari.
Tradizionalmente con ruolo di caserma-scuola di guerra, la Sardegna oggi rappresenta la postazione chiave per il controllo del Mediterraneo, con funzioni che potenziano l’importanza strategica dell’isola come perno del sistema politico-militare dell’alleanza nord atlantica.
Sulla terra sarda per di più grava il 66% delle installazioni militari italiane-NATO.
Anche una vasta parte di spazio aereo del centro Sardegna è “asservita”. Il demanio militare permanentemente impegnato ammonta a 24.000 ettari a fronte dei 16.000 ettari di tutto il restante territorio della penisola italiana. A questa cifra si sommano i 12.000 ettari di terra gravata da servitù. L’estensione delle “zone di sgombero a mare” supera, con i suoi 2.800.000 ettari, la superficie dell’intera isola. Il volume degli spazi aerei sottoposti a restrizione o interdizione è incommensurabile (*). Un rapido calcolo: 2,5 miliardi per il danno provocato in 5 anni sono 500 milioni annui che, rapportati ai 7.200 ettari di territorio, danno la vertiginosa somma di £ 5.787 al mese per ettaro, quasi seimila lire mensili! A Perdasdefogu, la comunità con le “stellette” percepisce addirittura £ 8.333 al mese per ettaro!

Per la Maddalena è in arrivo anche un progetto studiato dalla “Roger, Lovelock & Fritz Inc.”
Verranno riversati oltre cinquantamila metri cubi di cemento nell’isola di Santo Stefano, ufficialmente “per fornire più adeguate condizioni abitative e lavorative” al personale del Us Navy. Un investimento mica da poco: 37 milioni di dollari, poco più di 71 miliardi di vecchie lire. Tutto cominciò, infatti, 32 anni fa: Andreotti la regalò agli americani con un accordo bilaterale tra il governo italiano e Washington ( tutt’ora top secret!), poi mai ratificato dal Parlamento. Santo Stefano resta sempre, nella sostanza, una base di assistenza ai sommergibili nucleari d’attacco della classe Los Angeles, appartenenti al X Squadrone della 69ª task force della VI Flotta americana. Cioé i terribili “Hunter Killer” che portano nel loro ventre d’acciaio i missili da crociera Tomahawk: ordigni capaci di sfuggire ai radar e che possono trasportare anche testate atomiche. Non è infatti un segreto che la famosa rete di monitoraggio ambientale, che dovrebbe controllare il tasso di radioattività nel mare dell’arcipelago, non è mai entrata in funzione. La responsabilità di questo tipo di sorveglianza era stato demandato alla Provincia di Sassari, che si avvaleva della collaborazione della facoltà di Fisica dell’università. Ma la Us Navy non ha mai voluto che venisse attivata la centralina posizionata vicino al punto di ormeggio della nave-officina, che offre assistenza ai sommergibili a propulsione nucleare. Dunque, un discorso tabù. Come quello del cosiddetto piano d’emergenza. Cioé le procedure che dovrebbero essere attivate in caso di incidente nucleare per salvaguardare la popolazione civile.
Dopo trent’anni di segreto militare e ritardo, è stato reso noto il piano di emergenza per l’evacuazione della popolazione di La Maddalena (Nord Sardegna) in caso di incidente alla vicina base nucleare USA. Dirimpettaia della Costa Smeralda, rappresenta una stazione militare ad altissimo rischio per la popolazione civile. Tanto è vero che da oltre vent’anni è stato previsto (e tenuto nascosto) un vademecum dell’emergenza che coinvolge medici, vigili del fuoco, esercito, polizia, carabinieri. Che coinvolge traghetti per il trasporto dei contaminati, treni speciali, alberghi da requisire, ospedali in allerta e perfino supermercati da svuotare. Che coinvolge - in tempi brevissimi - specialisti del giorno dopo, gente capace di ridurre i danni provocati dagli isotopi radioattivi. Che coinvolge un servizio di marineria in grado di allontanare (“alla velocità non inferiore ai tre nodi”) il sommergibile in avaria. “Il presente Piano si attua automaticamente allo scattare dell’emergenza dichiarata dal Prefetto”. Vediamo quali sono i provvedimenti da adottare al volo:

1) chiusura della zona potenzialmente pericolosa.

2) interdizione del traffico marittimo, della pesca e della balneazione.

3) attivazione del Centro coordinamento soccorsi.

4) istituzione posti di controllo sanitario e decontaminazione.

5) controllo costante della radioattività nell’aria.

6) sgombero degli abitanti di Capo d’Orso.

7) invito agli abitanti di Palau di allontanamento “qualora l’unità navale interessata segua la rotta ovest o a rimanere nei posti chiusi per evitare l’eventuale irraggiamento”.

8) avvio in località di Arzachena e sistemazione degli eventuali sfollati in edifici scolastici e/o alberghieri.

9) allontanamento delle persone dal litorale di Caprera e degli altri litorali lungo la rotta seguita dall’unità in avaria.

10) distribuzione di viveri, acqua e vestiario.

11) raccolta di vestiti contaminati e fornitura di indumenti sicuri.

12) eventuale interruzione di fornitura idrica e alimentare.
Subito dopo l’allarme, è previsto il coordinamento della Marina militare italiana e l’arrivo di tecnici con strumentazione ed equipaggiamento legati alla bisogna: dalle tute anti-contaminazione monouso alla scorte di filtri di carta e al carbone attivo. Nel frattempo scattano iniziative che prevedono la requisizione dell’acqua minerale e l’interruzione dei prelievi dal bacino di Mongiardino. Il Piano, che deve essere rivisto ogni sei mesi, individua una lista di alberghi da requisire. Due sono a Santa Teresa: hotel Capo Testa (226 posti letto) e hotel Large Mirage (288). Gli addetti ai lavori chiamano queste liste annessi con la puntualizzazione di tenerli costantemente aggiornati. Questo spiega perché facciano parte integrante del Piano non soltanto gli alberghi ma anche le aziende di trasporto e i supermercati. L’annesso 9 prende in considerazione addirittura le aziende agricole (tre in tutto) che potrebbero essere interessate “dalla eventuale contaminazione”. Nel frattempo, Polizia, Carabinieri e Guardia di Finanza avranno il compito di informare la popolazione “avvalendosi dei propri mezzi con l’uso di trombe esponenziali”. Già pronto il testo del messaggio da diffondere: attenzione attenzione, la zona in cui vi trovate potrebbe essere interessata da contaminazione radiologica. Allontanatevi subito e raggiungete la strada per Arzachena. (*§)
Ci sono poi due episodi inquietanti che hanno contribuito non poco a far crescere la diffidenza nei confronti degli americani. Il primo è il caso del sommergibile Ray che, nel lontano 1977, attraccò a Santo Stefano dopo un incidente, violando così i protocolli di sicurezza che prevedono le riparazioni in alto mare. Un episodio analogo si è ripetuto nel novembre scorso, quando il sottomarino Hoklahoma City si è rifugiato nell’arcipelago, dopo una collisione con la motonave norvegese Norman Lady.
Ma ritorniamo al potenziamento della base. Oltre alle strutture e alle cubature annunciate, nel progetto della RLF Inc c’è un particolare che lascia molto perplessi: a fianco alla nave-officina vengono rappresentate altre due unità da guerra, classificate come Destroyer e Cruiser. Cioé, cacciatorpediniere e incrociatore….
Gennargentu
È’ importante constatare come i parchi naturali** imposti dal governo siano tutti interessati da importanti installazioni e intense attività militari. Fa eccezione il Gennargentu***: questo territorio, da sempre tutelato dalla popolazione, ha subito e subisce ancora oggi tentativi di un ulteriore inasprimento del controllo sociale ed economico attraverso l’istituzione di un parco nazionale. Il decreto, è stato sospeso ed è in attesa di nuova definizione anche se proclamato patrimonio dell’UNESCO; atteggiamento sempre più ambiguo e in odore di propaganda elettorale, testimoniato dal fatto che a distanza di diversi anni nessun atto istituzionale è stato fatto per recuperare e garantire una prospettiva di sviluppo e di salvaguardia ambientale nel rispetto delle comunità locali e del patrimonio culturale ed etnico.
Lo stato cerca in qualsiasi modo di conquistare il controllo delle campagne sarde, e di coloro che le popolano e vi lavorano.
Con il pretesto della tutela dell’ambiente e della prevenzione agli incendi organizza presidi militari ed espropria aree di terra, mare e cielo impedendo la libera circolazione.
Oltre ai sempre presenti barracelli e al corpo forestale, i diversi fatti di cronaca sono il pretesto per organizzare rastrellamenti a tappeto e fare irruzione in ovili e case criminalizzando intere comunità per la non totale accettazione del potere costituito.

Settore industriale
Il settore industriale sardo è nato morto, e questo lo sappiamo da sempre, anche se hanno sempre cercato di presentarlo come un atto obbligatorio e dovuto per abbattere la disoccupazione e come rimedio contro il banditismo. Da quando sono nati questi grandi poli industriali o meglio “cattedrali del deserto”, non si fa altro che constatare crisi, scioperi e cassa integrazione di ogni tipo. Per assistere dopo, a richieste di incentivi statali, a riaperture ad inaugurazioni in pompa magna per ricadere più o meno ogni due anni negli stessi fallimenti, è diventato ormai un giro vizioso. Senza dimenticare che la crisi industriale ha pesanti ripercussioni anche sulle altre attività economiche. Il reddito della cassa integrazione è ai limiti del livello di povertà. L’edilizia è ferma, gli autotrasportatori, gli studi tecnici e le attività commerciali idem, molti si son visti costretti a ridurre il personale per far fronte ad una crisi sempre più grande e che si è aggravata drasticamente negli ultimi due anni. E adesso infatti ancora una volta gli operai del comparto industriale sardo sono scesi sul piede di guerra, per far rispettare accordi, per chiede la cassa integrazione, per non perdere il lavoro, per non finire come molti altri nella voragine della disoccupazione.
Questo che segue è un breve scorcio della situazione attuale della nostra terra così come abbiamo appreso dai maggiori quotidiani sardi.
Alle banchine dei finanziamenti pubblici a costo zero sono approdati battelli di avventurieri, gente che ha messo in tasca denari e fatto sparire le tracce nel giro di pochi giorni. Molti parteciperanno ancora una volta alla corsa per accaparrarsi una fetta dei cento milioni di euro promessi dal governo con l’accordo di programma per la chimica.
Il 15 maggio del 1998 si firmarono in Sardegna, tra i primi in Italia, i contratti sulla flessibilità salariale, tra imprese e sindacati che insieme agli incentivi fiscali prevedono una riduzione del salario rispetto ai contratti nazionali, e con due clausole in più: gli assunti devono essere solo giovani e in imprese interne all’area di contratto. I contratti d’area, strumenti necessari per risollevare i sistemi in crisi, hanno creato come era prevedibile, delle piccole gabbie salariali con lavoratori retribuiti senza l’applicazione dei contratti nazionali. Nascono così ore di lavoro non pagate, straordinari imposti ed in nero, inquadramenti di contratto inferiori rispetto a quelli raggiunti, contratti di formazione lavoro per chi è già specializzato con conseguenti ore di formazione dedicate al lavoro vero e proprio e così via. Alla cartiera di Arbatax infatti anche quest’anno è stato un I° maggio di lotta. Negli stabilimenti si vivono ore interminabili di attesa. “Altro che I° maggio festa dei lavoratori, qui si ha la sensazione che vogliono fare la festa ai lavoratori”, dicono gli operai mobilitati, e ancora “ci siamo resi conto di quanto la solidarietà sia gratuita. Se fosse costata un solo centesimo non l’avremmo avuta, ci siamo resi conto di essere stati usati per uno spot pubblicitario politico. L’unica certezza è che siamo tornati al punto di partenza, senza risposte e senza certezze sul futuro, a dispetto del colore dei partiti che è sempre più nero”. Insomma nubi sempre più minacciose gravano sul futuro degli operai.
Davanti ad una prospettiva di questo tipo i nostri lavoratori cassaintegrati e non (ancora), si oppongono con l’orgoglio e la disperazione di chi è arrivato all’ultima spiaggia ma che non è disposto ancora ad arrendersi.
Quegli impianti nei quali hanno lavorato per 30 anni ai quali si aggrappano ancora per dare un futuro, se non a se stessi almeno ai loro figli.
“Ultimamente la situazione è davvero diventata straordinaria anche a livello nazionale, leggiamo nella Nuova Sardegna del 7 maggio ’04 in una intervista rilasciata dal segretario della provincia di Nuoro, della FIOM, nel senso che è peggiorato il quadro industriale, le normative contrattuali, le relazioni industriali e il rapporto col governo. In particolare, sono state approvate leggi sul mercato del lavoro e sulla flessibilità degli orari del lavoro, (leggi pure legge Biagi), che devono essere cancellate”.
Ma nell’intero settore industriale, a parte operai e sindacalisti, nessuno vuole davvero sanare la situazione forse perché anche secondo l’ordinario di Economia dello Sviluppo della Sapienza Ferruccio Marzano, in visita in questi giorni a Nuoro: “oggi il disoccupato non è più consumatore. Si tende ad emarginarlo dalla società in quanto non è più da considerarsi neanche come un potenziale consumatore”.
Ma il problema è che ogni volta che si sbatte il muso sulla crisi arrivano solo vane promesse e piccoli provvedimenti tampone. Ormai l’unica parola d’ordine per il settore industriale sardo è sopravvivere.

Carcere e repressione
Le uniche risposte al malessere sociale sono investimenti in sale operative, videosorveglianza e poliziotti di quartiere e nei paesini che vanno spopolandosi la costruzione di nuove caserme.
Nuoro è stata uno dei centri pilota per l’avvio dell’accordo sulla sicurezza tra stato e regione per il quale sono stati stanziati poco più di 103 milioni di euro (200 miliardi in vecchie lire). L’accordo tra il ministero e la Regione sulla sicurezza prevede un maggiore sforzo tecnologico (videosorveglianza e interconnessione delle sale operative ), la revisione della legge urbanistica per una migliore dislocazione nel territorio delle forze dell’ordine e il collegamento con la polizia locale.
Una task force di esperti coordinerà le attività di intelligence e di polizia, in stretto rapporto con la Direzione Distrettuale Antimafia della Procura della Repubblica, nelle indagini sulla serie di attentati e intimidazioni messe in atto negli ultimi tempi in Sardegna contro sedi istituzionali, organizzazioni sindacali, banche, attività commerciali e redazioni degli organi di informazione.
Il tutto per la sicurezza, garanzia indispensabile per lo sviluppo.
Un’ulteriore esempio: il ministro della Giustizia sta per indire una gara di concessione, costruzione e gestione di due nuovi penitenziari. Uno sarà realizzato a Sassari, l’altro nel nord-Italia con un sistema che si avvicina molto al “progetto di finanza”. In pratica il privato che si aggiudicherà l’appalto, oltre che a realizzare la struttura, prenderà in gestione quei servizi che non ricadono direttamente sotto le competenze della polizia penitenziaria (pulizia della struttura, lavaggio della biancheria e altri che solitamente vengono affidati a società esterne ). L’area dove sorgerà il nuovo carcere è stata individuata in una borgata di Sassari, (non più al centro della città dove al suo posto sorgeranno parcheggi interrati ); il terreno, di proprietà di un privato dovrà essere acquisito dall’impresa che si aggiudicherà i lavori (con i finanziamenti messi a disposizione dallo stato).
Ma non si possono scordare le nefandezze dei secondini e direttori verificatesi sia a Sassari il 3 aprile 2000: pestaggi dei detenuti decisi arbitrariamente dalla direttrice dell’istituto con “l’aiuto dei GOM” e il beneplacito da parte del direttore del DAP regionale, son diventati un drammatico caso nazionale e purtroppo non sono poi così lontani; a San Sebastiano (carcere di Sassari) mancano 50 unità e “gli agenti non riescono più a garantire le competenze istituzionali. Sono demotivati (!!!), non possono recuperare lo stress psicofisico (!!!) e vengono costretti a coprire più posti in sevizio nel tentativo di garantire (!!!) alla popolazione detenuta quanto stabilito dalla legge” (dichiarazione dirigenti della UIL-penitenziari pubblicata ne “La Nuova Sardegna” dell’11/05/04).
Come pure a Badu’e carros (2000): il direttore, discrezionalmente, decise di revocare tutte le opportunità che consentivano una minima attività di socializzazione, venne soppressa la pubblicazione del giornalino del carcere, vennero ridotte le ore d’aria, le telefonate, venne inibito l’uso del campo di calcio, numerosi trasferimenti di detenuti sardi dal carcere di Nuoro verso carceri della penisola, in violazione del principio di territorializzazione della pena, morti “sospette” di detenuti, ed altre iniziative che hanno alterato il clima già teso all’interno di Badu’e carros. Il direttore è stato trasferito e da allora c’è un alternarsi di direttori che cambiano ogni 3 mesi, ma le condizioni di vivibilità ambientali non sono migliorate di molto; stanno ristrutturando il carcere ( cioè, reinstallando i “blindi”), il carcere speciale c’è ma non si vede…


Negli attuali penitenziari sardi le carenze strutturali impediscono spesso il normale funzionamento di un organismo umano: si è accertata la presenza di bocche di lupo alle finestre, bagni alla turca non appartati ed in celle con sei-otto detenuti, quartini per il passeggio costituiti da cubicoli di cemento armato di pochi metri quadrati; si è potuta riscontrare l’assenza di servizi igienici, di locali di accoglienza per i parenti dei detenuti, di spazi per i colloqui con operatori, avvocati e volontari, di spazi per attività ricreative, di formazione, sportive, ludiche, ricreative, scolastiche; il sovraffollamento di numerose strutture, la promiscuità nelle celle, con assenza di circuiti differenziati e di separazione tra categorie di detenuti (giovani, adulti, malati di mente, tossicodipendenti, malati di AIDS, soggetti ad alta pericolosità sociale, ecc…).
Si infliggono a migliaia di esseri umani pene e maltrattamenti, nell’umiliazione continua; si tollera (o si consiglia?) che le persone si stordiscano con l’assunzione abnorme di psicofarmaci o addirittura di gas, per sfuggire dall’angoscia dell’ozio e delle costrizioni materiali, alla disperazione per la mancanza di prospettive.
Quasi tutti i detenuti stanno per ventidue ore al giorno in una cella di pochi metri quadrati: nella palese mancata applicazione della legge di riforma del sistema penitenziario e del suo ampliamento con le leggi Gozzini e Simeone; nella assoluta assenza o insufficienza di scuola, formazione professionale, attività sportive, culturali, ludico-ricreative, senza alcun contatto con la collettività fuori le mura, senza attività di socializzazione; nella assoluta assenza di lavoro, con lo stato che taglia continuamente i fondi per far lavorare i detenuti e quindi di fatto impedisce anche il lavoro interno al carcere, che è oramai divenuto un miraggio, visto che lavora una piccola percentuale di detenuti, secondo criteri del tutto dicrezionali rimessi al direttore.
I parenti dei detenuti, oltre ad essere costretti a viaggi massacranti quando il congiunto si trova lontano dalla residenza, o a viaggi aerei, spesso debbono aspettare per ore sotto il sole o sotto la pioggia, al freddo, fuori dalle carceri sarde, facendo la fila per poter svolgere il colloquio.
La carcerazione preventiva ha tempi intollerabili in qualsiasi paese civile, e i detenuti imputati vengono trattati esattamente come i detenuti “definitivi”, nel totale dispregio del principio generale di presunzione di non colpevolezza. I malati di mente entrano in carcere e, non trattati né curati né dentro né fuori, tendono a recidivare ed a rientrare.
Vorremo ribadire ancora una volta che il carcere è quel luogo fatto di mura e di sbarre dove dentro stanno uomini e donne a cui è stato tolto tutto cioè la libertà. Il carcere nasce e vive per placare il desiderio di vendetta, punizione, espiazione e odio per chi non sa dare risposte al disagio e incertezza di vita. Le mani e le menti di tutti i soggetti militanti attorno alla problematica carceraria sono più che mai necessarie non solo a rilanciare il dibattito ma a lavorare attivamente e concretamente per fermare gli scempi, le umiliazioni, le torture e gli assassini che si perpetuano impunemente dalle amministrazioni carcerarie e dai suoi aguzzini. Questo in Sardegna come in Italia, per le condizioni di vita dei detenuti non sono poi così diversi.

Servitù di pattumiera?
Per smaltire 50.000 mc di scorie radioattive, il governo italiano ha affidato alla società SOGIN la ricerca di un sito unico nazionale di stoccaggio.
Pare che le caratteristiche migliori e più adatte allo scopo le abbia la Sardegna.
Se così fosse non farebbero altro che aggiungere una servitù di pattumiera alle già esistenti servitù militari di cui la nostra isola è già largamente gravata. Si utilizzerà ancora una volta la logica del dominatore coloniale, sarà l’ennesimo atto di ostilità, di sopruso e occupazione, che mai sarà fermato da firme, manifestazioni e interrogazioni parlamentari dei falsamente indignati nostri politicanti. Perciò ribellarsi diventa più che mai doveroso e necessario!
Più specificatamente le zone “candidate” allo stoccaggio sarebbero: “le miniere abbandonate, in zone scarsamente popolate, esenti da terremoti e con una forte presenza militare che intervenga prontamente in difesa e protezione armata in caso di eventuali attacchi.”
Questa descrizione sembra fatta a posta per la Sardegna.
Le miniere da noi sono simbolo di lavoro e sofferenza, dove si è scavato per km. e km. in cambio di pane e silicosi. Sacrificio questo che non può essere pagato con nessun risarcimento in vile denaro da parte dello Stato.
La Nostra isola non ha mai ricevuto neanche un kilowatt da quei generatori, perché mai dovrebbe raccoglierne i mortali avanzi?
50.000 mc di scorie equivalgono ad un grattacielo di 60 piani. No grazie!
Per le nostre miniere vogliamo un futuro diverso, migliore, perché per quel che ci riguarda è già stato fatto di troppi dolori e troppi morti.

Servitù
Non si placa l’ondata di reazioni e richieste di chiarezza suscitate dalla scoperta dei lavori sul mare del Golfo di Marinella, al margine dei 50 ettari di Villa Certosa. “La zona è sottoposta a vincolo assoluto di inedificabilità in forza delle leggi nazionali e regionali che precludono in maniera assoluta l’edificazione fino a 300 metri dal mare, in qualsiasi forma, per qualsiasi ragione a tutela dell’ambiente e del paesaggio. I lavori in corso non possono aver ottenuto le prescritte autorizzazioni regionali e conseguentemente la concessione edificatoria da parte dell’amministrazione comunale territorialmente competente”(esposto inviato alla Procura di Tempio da “Amici della Terra” e Gruppo di intervento giuridico”, intervista a La Nuova Sardegna dell’08/05/04).
Un provvedimento che adesso è al vaglio della Procura di Tempio (costretta a sospendere l’indagine sui lavori) e che tuttavia è stato smentito indirettamente da Paolo Bonaiuti, portavoce del presidente del consiglio che parla di semplici migliorie in una proprietà privata per le quali -assicura- ci sarebbero le autorizzazioni, anche se non si capisce quali visto che il comune ha negato di aver rilasciato alcunchè.
Lavori per la costruzione di un approdo coperto (stile 007 con tanto di ascensore che porta al piano superiore e forse a un tunnel collegato con una delle ville del parco), secondo quanto è stato possibile ricostruire nei giorni scorsi, ma sui quali il ministero delle infrastrutture ha fatto cadere il silenzio con un decreto che invoca la sicurezza nazionale.
Sia il lago artificiale che l’anfiteatro (300 posti) dovrebbero far parte del progetto complessivo di sistemazione degli oltre 50 ettari su cui si estende la proprietà del cavaliere, che al rustico e della villa e ai sette ettari comprati a suo tempo da Flavio Carboni, ha aggiunto alcuni anni fa i 40 rilevati da Tom Barrack e, l’anno scorso un’altra fetta acquistata da una famiglia del posto.
Non c’è solo l’aspetto paesaggistico, c’è anche quello della trasformazione in luogo istituzionale di una proprietà privata, qual è la villa al mare di Silvio.
Ci chiediamo, inoltre se Berlusconi abbia già presentato domanda di condono e chi pagherà le tasse…

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I nostri deputati regionali si son assicurati il diritto a un “vitalizio di privilegio” legato ad infermità fisiche maturate nel corso dell’attività amministrativa. Una delibera-scandalo del 13 giugno 2002, firmata dall’ufficio di presidenza e annullata dopo una sorta di sollevazione popolare, resta valida fino al giorno in cui è stata annullata, il 14 ottobre scorso. Le superpensioni assegnate in precedenza saranno pagate. Le istanze per la pensione di invalidità coinvolgevano quasi tutti i gruppi politici del consiglio regionale. Fra le infermità lamentate anche semplici slogature, distacchi parziali di retina, traumi vari: tutti considerati invalidanti e comunque legati all’attività pubblica di amministrazione. Un esempio fra tutti: il presidente del consiglio regionale Efisio Serrenti si apprestava ad incassare un assegno di 400mila euro e un vitalizio di 15mila al mese per via di un intervento al cuore subito nel 1993 che gli aveva cagionato un invalidità pari al 90% ……

Compagnie barracellari

“Endemismo Sardo”
(Barracello, termine derivante dal latino baricellus o dallo spagnolo barrachel, indica la guardia campestre)
Sono le guardie armate a tutela della proprietà agro-pastorale, hanno lo scopo di impedire furti e danneggiamenti nelle campagne, perseguirne gli autori ed indennizzare i proprietari. Funzionano quindi come polizia rurale e allo stesso tempo come società di assicurazioni. Vengono anche utilizzati per il controllo degli scarichi civili ed industriali, salvaguardia del patrimonio boschivo e idrico, controllo dei parchi, prevenzione e repressione degli incendi. Devono collaborare inoltre con le forze di polizia dello stato, quando ne sia stata fatta richiesta al sindaco dal quale dipendono. Hanno avuto un importante ruolo, specialmente ai primi del 1900, nel tentativo di repressione del banditismo, partecipando a sanguinose azioni militari, unitamente ai carabinieri, e lo hanno oggi nel controllo delle zone rurali per la ricerca di latitanti. Trovano le proprie radici, almeno per alcuni aspetti, nel periodo giudicale (la Sardegna fu divisa in quattro “province” dette appunto Giudicati – Gallura/Logudoro/Arborea/Cagliari a partire dall’XI sec.) ma si presentano con denominazione caratteristiche attuali a partire dalla seconda metà del XVI sec. Il servizio barracellare fu reso obbligatorio dal 1799, (durante la dominazione sabauda), al 1853, anno in cui ridivenne facoltativa e basata sul volontariato. Il servizio svolto oggi in molti comuni della Sardegna è regolato dalla legge regionale n. 25 del 1988. Attualmente, si prevede un loro utilizzo in un campo molto più ampio, con compiti di polizia giudiziaria, attraverso la riunificazione di tutte le compagnie barracellari, (che fino ad oggi hanno operato a livello di ogni singolo comune, sotto il coordinamento dei sindaci), in corpi di polizia provinciale, in stretta collaborazione con polizia dello stato e municipale, corpo carabinieri, guardia di finanza e corpo forestale. La loro trasformazione da milizia armata privata in corpo di polizia giudiziaria, costerebbe al governo sardo svariati milioni di euro, sia per l’addestramento di vecchie guardie e l’arruolamento di nuove reclute, che per il mantenimento dello stesso corpo, che sarebbe interamente composto da professionisti, con la possibilità di operare all’interno di zone urbane. In alcuni comuni sardi si parla già di “barracelli metropolitani”. L’ennesimo esempio di come i governanti investano le risorse di un popolo, nel controllo del territorio e nella repressione, chiudendo gli occhi davanti alle possibilità di sviluppo che il popolo stesso avrebbe, garantendogli il diritto allo studio e all’occupazione.

Conclusioni.
Se l’illecito è un male endemico della società di massa industrializzata, è bene dire anche che la stessa, soprattutto nei gradini più alti dell’ordine sociale, ha saputo adeguarvisi a proprio tornaconto. In Italia i connubi tra potentati politico-economici e criminalità organizzata sono scandalosamente documentati, attuali e tollerati, tanto che parlarne diventa sempre occasione per fare altro; quel “altro” che al nord vuol dire chiudere un fabbrica, al sud costruire un ponte da migliaia di miliardi e… in Sardegna rafforzare la presenza dello stato con una bella sfornata di divise. Non propriamente tutte uguali, se alle forze della repressione poliziesca si sommano i rambo dell’imperialismo occidentale (americani, inglesi, ecc.); uomini addestrati tra il campidano e la gallura per catapultarsi con il loro bagaglio di morte, ovunque vi sia l’esigenza di dominare e controllare il non allineato di turno.
Sotto questo profilo, la nuova ondata politico-repressiva nell’isola è in perfetta continuità con le tendenze che sempre hanno contraddistinto il suo rapporto con lo stato italiano. Perché se altrove la presenza di polizia e carabinieri serve per gestire, in linea di massima, uno status quo, in Sardegna questa si manifesta come vera e propria spedizione punitiva, mirata a scardinare il tabù di un’“illegalità” tanto diffusa quanto ingombrante e avversaria a uno stato da sempre impegnato a fare dell’isola il porticciolo turistico del capitale.
Anche attraverso la militarizzazione del territorio, lo stato impone ingiustificatamente la sua presenza al fine di inculcare una mentalità globale-omologata e perciò più facilmente controllabile.
Di fronte ad una terra, oggettivamente resistente e refrattaria all’incombenza poliziesca, a nulla valgono il moltiplicarsi delle divise, i corsi “scolastici” sulla legalità: anzi, l’inasprirsi del conflitto sociale ha ossigenato gruppi e individui armati rivoluzionari, che da diverso tempo mettono in discussione la stabilità e l’ordine sociale decretato dallo stato capitale. Altre sono, semmai, le priorità: la mancanza di prospettive per le zone dell’interno, che sempre più si connotano come “riserva indiana” entro i recinti della cementificazione selvaggia delle coste; la lentezza di uno sviluppo locale che arranca per la mancanza di infrastrutture adeguate a un’economia che non sia di dipendenza; la necessaria liberazione di tutte le risorse umane e naturali dallo sfruttamento per uscire dal sottosviluppo.
E’ a partire da questo contesto che la Sardegna crea il proprio profilo; a partire cioè dall’esperienza, da quel “connottu” (conosciuto) inteso come conservazione di un’identità sicuramente nemica a un progresso virtuale, fatto di speculazioni e costellato da tante incompiute (non importa che si chiamino petrolchimico o turismo di massa). Ed è ancora in questo contesto che la Sardegna, tagliata fuori dall’ “Europa dei popoli” quando si tratta di svilupparne le potenzialità, viene recuperata come base d’addestramento e appoggio delle barbarie guerrafondaie occidentali… un modo come un altro per far entrare dalla finestra ciò che esce dalla porta.
Noi che siamo fuori dal potere, noi che siamo oppressi dal potere e che lottiamo contro il potere, non accettiamo la criminalizzazione di nessuno perché non possiamo appoggiare l’intenzione dello stato di addebitare a chiunque non segua le “regole costituite” i danni che lui stesso ha prodotto.
Contro la repressione non si tace!


Resistentzia!
A pugno chiuso!
c. doc. K.A.P.P.A.


*Quella che segue è una lista delle installazioni militari e impianti T.L.C. in Sardegna di cui siamo a conoscenza:


Cagliari: (quartieri di Cagliari)
Monte-Urpinu: depositi combustibili per l’aviazione NATO, collegato mediante un oleodotto alla base di Decimomannu ed Elmas.
S.Elia: deposito carburante della NATO ad uso della marina.
S.Ignazio: i mpianto T.L.C. della marina italiana.
Provincia di Cagliari:
Serrenti: deposito munizioni aeronautica militare
Siliqua: deposito munizioni esercito
Villasor: deposito munizioni aeronautica militare
Decimomannu: aeroporto utilizzato dalla NATO per le esercitazioni nei vicini poligoni di Capo Frasca, Capo Teulada e Capo San Lorenzo / Quirra /Perdasdefogu con 7200 ettari
Capo San Lorenzo / Quirra / Perdasdefogu: poligono missilistico sperimentale e d’addestramento interforze per la Sesta flotta USA Utilizzato fin dal 1956 per la sperimentazione di nuove armi del settore aeronautico e missilistico dalle ditte private costruttrici di sistemi d’armi. È il più vasto poligono in Italia con 12000 (Salto di Quirra) + 2000 (Capo San Lorenzo) ettari.
Capo Teulada (CA): da Capo Teulada (CA) a Capo Frasca (OR): all’incirca 100 km di costa, 7.200 ettari di terreno e più di 70.000 ettari di zone Off Limits: poligono di tiro per esercitazioni aeree ed aeronavali della Sesta flotta americana e della Nato.
Aeroporto di Elmas: Base aerea dell’US-Air-Force
Salto di Quirra (CA): poligoni missilistici.
Provincia di Oristano:
Monte Arci: stazione di T.L.C. della NATO per l’addestramento aereo
Sinis: base radar NATO, Centro elaborazioni dati (NSA).
Santu Lussurgiu: stazione di comunicazione di supporto al sistema NATO per l’addestramento aereo che fa capo alle basi aeree di Decimomannu / Capo Frasca
Siamaggiore: impianto T.L.C. dell’esercito
Torre Grande di Oristano: Base radar NSA.
Capo Frasca (OR): eliporto ed impianto radar USA
Provincia di Nuoro:
Macomer /Tuvoi: deposito munizioni esercito
Perdas de Fogu (NU): base missilistica sperimentale.
Sassari e provincia:
SS: impianti T.L.C.
Campomela: deposito munizioni.
Capo Poglina: base d’addestramento guastatori Ex base GLADIO
Olmedo: impianti di T.L.C.
Isola di Tavolara: impianti di T.L.C., Stazione radiotelegrafica di supporto ai sommergibili della US Navy.
Monte Limbara: (tra Oschiri e Tempio, Sassari): Base missilistica USA. stazione T.L.C. dell’aeronautica militare,
La Maddalena / Santo Stefano: base Us Navy per operazioni d’appoggio dei sottomarini atomici. Squadra navale di supporto alla portaerei americana “Simon Lake”. Presenti anche un deposito di munizioni e un deposito di combustibili NATO. (oggi è la 1° candidata come deposito di scorie nucleari).
(fonte comitato “Gettiamo le basi” di Cagliari, dossier presente anche su www indymedia.it )
 

Note:


http://italy.indymedia.org/features/sardegna/
**Sono presenti 114 S.I.C. (siti di importanza comunitaria) per un totale di ha 461761; 3 parchi nazionali (Gennargentu 73935 ha, Asinara 5200 ha, La Maddalena 5134 ha terra/15046 ha mare)
***D.33 D = Danger. Si tratta di uno spazio aereo militarizzato di circa 600.000 ettari che grava sul centro Sardegna, sull’area del contestato Parco Nazionale del Gennargentu imposto dall’ex ministro Ronchi e respinto dai Comuni interessati. La zona di restrizione aerea non è supportata da servitù o demanio militare a terra. Vi si svolge un’intensa attività elicotteristica “pericolosa per il volo degli aeromobili”. Dato che non è adibito ad esercitazioni a fuoco sfugge totalmente al controllo democratico previsto dalla l.898/76. (fonte comitato “Gettiamo le basi” di Cagliari, dossier presente anche su www indymedia.it )
****Sardegna; forze di polizia: 9576; n° abitanti per agente: 172. Totale forze di polizia
presenti in Italia 273.211; n° di abitanti per agente; media 211.(allegato B, seduta n°62 del 14/11/2001 atti di indirizzo)



http://www.senzacensura.org/