SENZA CENSURA N.16
FEBBRAIO 2005
Nato ed Europa
I grandi esportatori di democrazia nel Mediterraneo
La Nato
esportatrice di democrazia. Questa affermazione ricorre frequentemente quando
il dibattito ha per oggetto il mondo arabo e medio orientale, ed in
particolare nel momento in cui alla borghesia imperialista Usa e Ue una
legittimazione è necessaria per compiere i suoi processi di penetrazione ed
appropriazione
Un processo di penetrazione che individua nella triplice Usa-Israele-Turchia,
se dubbi attraversassero qualcuno, l’essenza stessa della strategia Usa in
ambito Nato, indirizzata al controllo e alla leadership politico militare nei
confronti dei paesi e delle risorse dell’area mediterranea e del cosiddetto
medio oriente, paesi europei inclusi.
Nel mese di Novembre le forze armate israeliane e di alcuni paesi arabi hanno
partecipato ad una serie di esercitazioni nel quadro del programma Dialogo
Mediterraneo (MD) Nato, volto a rafforzare la cooperazione fra l’Alleanza
Atlantica e i paesi che si affacciano sul “Mare Nostrum”. Per la prima volta
Israele si trova ad essere militarmente alleato di sei nazioni arabe: Algeria,
Egitto, Giordania, Marocco, Mauritania e Tunisia
Nel mese di Dicembre si sono svolte nel Mediterraneo esercitazioni congiunte,
sia navali che aeree, tra Usa, Turchia ed Israele. Anche se inizialmente
negato, i vertici Nato hanno dovuto ammettere che queste esercitazioni sono
mirate a creare le condizioni per la nascita di un sistema di cooperazione ed
intervento futuro in operazioni “search-and-rescue”. Queste rappresenteranno
le prime esercitazioni navali e aeree che la Nato ed Israele svolgeranno
nell’ambito dei possibili interventi antiterrorismo.
Un altro fattore di fondamentale importanza per gli interessi Usa è l’attuale
politica egiziana nei confronti di Israele.
“Le relazioni tra Egitto e Israele sono entrate in una nuova era, grazie alla
firma di un accordo di partenariato commerciale e industriale sotto l’egida
degli Stati Uniti”, commentava il 14 dicembre scorso il Jerusalem Post.
L’accordo, firmato al Cairo dal ministro egiziano dell’Industria e del
Commercio Estero, Rashid Mohammed Rashid, dal suo omologo israeliano Ehud
Olmert, e dal rappresentante americano per il Commercio, Robert Zoellick,
stabilisce la creazione in Egitto di tre Zone Industriali Qualificate (Qualified
Industrial Zones – Qiz) situate al Cairo, ad Alessandria e a Port Said. .. “In
virtù di quest’accordo - prosegue il quotidiano - il primo del genere tra i
due paesi, i prodotti fabbricati nelle Qiz potranno accedere al mercato
americano senza tasse d’importazione o aggravi doganali di alcun genere, a
condizione che almeno il 35% di tali prodotti sia di fabbricazione congiunta
egitto-israeliana e che essi contengano almeno l’11,2% di materiali
israeliani”.
A Washington l’accordo è considerato parte integrante del progetto per il
Middle East Free Trade Area (MEFTA), che il presidente Bush vorrebbe operativo
entro il 2013. “Se aiutiamo la gente a riconoscere i benefici di un lavoro di
squadra e invitiamo le persone e considerarsi partners commerciali e non
nemici giurati, questo costituirà un passo avanti (nel processo di pace)” ha
dichiarato Zoellick durante la conferenza stampa che ha seguito la firma
dell’accordo. (da GlobalReserch&Reportgroup).
Non è da sottovalutare inoltre il ruolo che potranno assumere tali accordi
nella penetrazione nell'Africa sub-sahariana da parte degli Usa attraverso
l’Egitto stesso. Questo paese infatti sta operando fortemente nel raggiungere
accordi in ambito COMESA.
Un processo di espansione davanti al quale l’Europa non può fare da spettatore
visto che da tempo ha investito sia in termini politici, sia economici, sia in
ambito Nato, sia in ambito Euromed (Processo di Barcellona).
Per la Ue, oltre che rafforzare i processi di integrazione Euromed, si pone il
problema di dovere fare i conti con i nuovi assetti dovuti all’allargamento
verso est (CEEC– Central and Eastern European Countries), ed in particolare
agli stati Baltici (Lituania, Lettonia e Estonia), i paesi di Visegrad
(Ungheria, Polonia, la repubblica Ceca e Slovacca) e i membri del Sud Est
Europa (per ora solo la Slovenia, ma in seguito anche Bulgaria, Romania e
presumibilmente la Croazia). Secondo uno studio Euromesco, il rischio che si
può presentare è quello di vedere dirottati verso i paesi CEEC (Central and
Eastern European Countries) una parte dei finanziamenti relativi alla
cooperazione per la sicurezza dei confini e della gestione dei flussi di
immigrazione, precedentemente preventivati per il Mediterraneo.
Dal Vertice dei Ministri degli esteri Euromed di Hauge, svoltosi alla fine di
Novembre, è emersa la volontà comune di rafforzare il processo di integrazione
ed in particolare, secondo quanto riportato nella documentazione ufficiale,
per quanto riguarda l’attuazione di riforme politiche, economiche e sociali da
parte dei paesi dell’area mediterranea, riaffermando la centralità del
processo di Barcellona all’interno della più complessiva European
Neighbourhood Policy (la politica europea nei confronti dei paesi confinanti).
Il documento finale non può esimersi dal far notare che durante il 2004 sono
state numerose le iniziative per quanto riguarda la necessità di riforme,
dalla Dichiarazione di Tunisi della Lega Araba al G8 di Sea Island, tutte
sotto l'egida americana.
Il vertice è stata l’occasione per fare il punto sui progressi rispetto a
quanto deciso negli incontri precedenti. Nel mese di ottobre è stato firmato
definitivamente l’Accordo di Cooperazione con la Siria, dopo che nel mese di
giugno erano stati ratificati quelli con Libano e Algeria. Ulteriori
implementazioni a tali accordi sono state avviate per quanto riguarda la
Giordania, Marocco e lo stesso Libano.
Alla fine di ottobre è stato approvato il MEDA Neighbourhood Programme for the
Mediterranean, e nell’ambito della sicurezza dei confini ulteriori
consultazioni dovrebbero essere intraprese con Egitto e Libano. Dovrebbero
trovare sviluppi pratici quelle già intraprese con Marocco, Giordania, Tunisia
ed Israele.
Dopo Israele, nel mese di Dicembre il Marocco ha firmato un accordo per
l’utilizzo del sistema di navigazione europeo Galileo. Questo consentirà
l’allargamento della sua sfera di utilizzo in tutto il Mediterraneo
occidentale e Nord Africa.
La Ue ed alcuni paesi in particolare Marocco, Algeria e Tunisia hanno
intrapreso un dialogo e cooperazione sulle questioni dell’antiterrorismo, con
l’obiettivo di espandere anche agli altri la visione di un approccio comune al
problema, al fine di sviluppare attività concrete in tema di lotta al
finanziamento delle organizzazioni e di intervento sui fattori che agevolano
il reclutamento di militanti. L’Egitto si è reso disponibile ad ospitare una
Conferenza Mediterranea sulla Sicurezza per affrontare le questioni pratiche e
definire una maggiore attività coordinata, arrivando a stabilire un Codice di
Condotta della lotta al “terrorismo” per la cui definizione ha dato
disponibilità la Tunisia. Sicuramente una garanzia dopo i recenti sviluppi
sulle inchieste per i rapimenti di militanti islamici, o presunti tali, dai
servizi americani trasferiti per essere “interrogati” proprio in questi paesi.
Ulteriori passi
avanti sono stati effettuati per quanto riguarda la Partnership Building
Measures sotto direzione dell’Italia e della Giordania, che ha come fine
quello di sviluppare una cooperazione in tema di “Civil Protection and
Disaster Management”. Alla luce delle trasformazioni su scala europea in tema
di intervento “civile”, sempre più complementare alla sfera militare, è chiaro
l’obiettivo che si prospetta: un progetto euromediterraneo di Difesa Civile.
Sempre inerente all’intervento europeo nel mediterraneo si registra un aumento
sostanziale della presenza della borghesia tedesca attraverso l’“Iniziativa
per Nord-Africa e il Medio Oriente dell’economia tedesca” (NMI).
“L’economia della Repubblica Federale Tedesca è basata sulle esportazioni ed è
bisognosa di mercati di vendita sicuri e in grado di assorbire i suoi
prodotti, mentre i paesi arabi possono approfittare dei loro vasti giacimenti
di materie prime e utilizzare i profitti realizzati per il finanziamento di
merci tedesche,” dice uno studio dell’associazione tedesca per la politica
estera. “Gli stati del Magreb sono da lungo tempo l’obiettivo di una offensiva
tedesca riguardo gli scambi con l’estero che deve aumentare l’influenza
nazionale nella regione intera , vale a dire il Vicino Medio Oriente e il
Nord-Africa. Il 1 Giugno è entrato in vigore un accordo bilaterale sulla
promozione e la tutela degli investimenti tra la Germania e l’Algeria. Un
accordo che permette al governo tedesco di veder garantiti i propri
investimenti in Algeria. Già nel 1997 fu fondato il foro economico
libico-tedesco.
Questa offensiva tedesca avviene comunque all’interno delle sfere d’influenza
tradizionali delle nazioni mediterranei Francia, Italia e Spagna e la
ex-potenza coloniale Gran Bretagna. Questa iniziativa tedesca cerca quindi di
riunire tutte le capacità economiche per rendere accessibile questi “nuovi
mercati di vendita” nel Middle Est e nel Magreb, che finora sono stati
trascurati. Il grosso calibro della direzione del NMI, Daimler Crysler,
Siemens, MAN, Deutsche Bank, Commerzbank ..., ci fa comprendere che la
conquista del mediterraneo è di una importanza enorme per il capitale tedesco.
Tra i gestori del NMI si ritrova anche il Nah-und Mittelost-Verein (NuMOV) -l’associazione
per il Vicino e Medio Oriente, che è stato fondato sotto il nome
“Orient-Verein” nel 1934 a Berlino. Dopo una breve interruzione durante la
Seconda Guerra Mondiale, questa associazione ha ripreso il suo “lavoro” sotto
l’industriale amburghese Alfred C. Töpfer, ex-specialista del servizio segreto
nazista per la suddivisione dei paesi vicini alla Germania in regioni
etniche.”
(dal documento di convocazione delle iniziative contro “Conferenza per i
finanziamenti nel Nord-Africa e il Medio Oriente” di Monaco)
La Germania si è impegnata a finanziare con 50 milioni di euro due centrali
energetiche in Marocco. Nel mese di Novembre è stato stipulato un accordo con
l’Egitto che ha dato vita all’Egyptian-German Business Council con l’obiettivo
di agevolare gli investimenti e il trasferimento di tecnologia. Una crescita
di interesse che viene confermata dalla Conferenza sugli Interessi della
Germania nel Mediterraneo che si è tenuta nel mese di febbraio parallelamente
alla conferenza Nato sulla Sicurezza di Monaco.
Sempre l’Egitto ha firmato nel mese di ottobre un accordo con la Francia per
la ricerca, lo sviluppo e la fornitura in tema di armamenti.
In ambito Nato forte è l’interesse a sviluppare ulteriormente la propria
presenza e cooperazione nell’area mediterranea e del cosiddetto medio oriente,
spinta sicuramente dalla volontà Usa di imporre la propria visione strategica
sintetizzata nella Middle East Partnership Initiative” (MEPI). Di fatto, come
preventivato precedentemente agli esiti del vertice di Istambul del mese di
Giugno, la Nato, al di là delle divergenze sul ruolo della missione Nato in
Iraq, ha assunto all’interno della ‘Istanbul Cooperation Initiative’ (ICI) la
strategia Usa della MEPI e quanto emerso dal vertice dei paesi G8 a Sea Island.
Tutto ciò si è tradotto nella definizione di tre iniziative “soft-power” per
accrescere la presenza Nato nel Mediterraneo e Medio Oriente. La prima tende a
voler rafforzare il Dialogo Mediterraneo (MD), formalmente trasformandolo in
una vera e propria Partnership allo scopo, almeno ufficialmente, di garantire
e sostenere le riforme delle forze armate e del loro comando, maggiore
trasparenza nella realizzazione dei piani sulla sicurezza e la difesa, maggior
controllo sul budget della difesa per sostenere le riforme richieste.
La seconda è rappresentata proprio dalla ‘Istanbul Cooperation Initiative’
(ICI) che per la prima volta rappresenta una iniziativa volta ad abbracciare i
paesi del Golfo, quella oramai definita dai vertici Nato la ‘Broader Middle
East region’. Inizialmente questo riguarderà sei paesi: Bahrein, Kuwait, Oman,
Qatar, Arabia Saudita e gli Emirati Arabi , tutti membri del Gulf Cooperation
Council (GCC).
Uno dei problemi maggiori che si pone, per i vertici Nato, è la necessità che
vengano operate al più presto riforme adeguate per portare i paesi interessati
ad uno standard non inferiore a quello dei paesi appartenenti al Partner for
Peace, in particolare per quanto riguarda le forze armate. L’obiettivo
dichiarato è l’intento di creare “stabilità e sicurezza” attraverso un nuovo
impegno, offrendo la propria esperienza e professionalità per la creazione di
programmi “personalizzati” riguardo le riforme della difesa, del budget
militare, per la realizzazione di un sistema adeguato di relazioni e
cooperazione tra il settore civile e militare, per promuovere cooperazione
militare. Sul piano militare il fine è quello di sviluppare maggiore
interoperabilità e azione comune nella lotta al terrorismo attraverso
l’accrescimento di abilità, da parte delle forze militari dei paesi partner,
in grado di permettere di collaborare alle operazioni Nato, ad esempio per
quanto riguarda distruzione di Armi di Distruzione di Massa e l’intervento nel
caso di minacce o attacchi a paesi amici o ai loro interessi.
La terza riguarda l’addestramento delle Forze Irachene, già affrontato
nell’articolo precedente.
Ma al di là dei propositi, molto dipenderà dalla capacità Nato di essere
presente come soggetto attivo nelle attuali situazioni di crisi.
In un intervista del mese di Dicembre, il Ministro degli Esteri algerino ha
affermato che un ulteriore passaggio nelle relazioni tra Nato e Paesi
partecipanti al Dialogo Mediterraneo (MD), potrà avvenire solo se il blocco
occidentale parteciperà attivamente alla soluzione del conflitto
sionista-palestinese e riuscirà ad intervenire per risolvere l’attuale
situazione in Iraq.
I documenti ufficiali affrontano gli ostacoli di natura strutturale presenti
in alcuni paesi Dialogo Mediterraneo (MD)/Istanbul Cooperation Initiative
(ICI). Ne vengono individuati di tre tipi: il primo riguarda la stretta
relazione che lega le strutture di comando militari a quelle decisionali
politiche, con conseguente capacità di attingere a loro vantaggio dalle
risorse disponibili rendendo incontrollabile l’effettivo utilizzo del budget
per le riforme in generale; il secondo è la presa di coscienza di una sorta di
incompatibilità tra l’Islam attuale e il liberismo, e la mancanza di una
corrente politico e religiosa liberale/individualista.
Alcuni documenti riportano una realtà che vede una presenza minoritaria di
settori liberali nella politica araba e lontani dalle preferenze popolari,
prendendo atto, che in ogni modo, il liberismo non è una ideologia
“populista”. I settori liberali sono tradizionalmente minoritari nell’area e
rappresentanti di una élite distante dagli usi delle comunità locali, ed
inoltre, quelli attuali, vengono definiti invecchiati e in diminuzione. Ma
nello stesso tempo emerge la convinzione che esista attualmente un bacino di
giovani liberali che, in molti settori, stanno cercando di sviluppare azioni
volte ad attuare riforme in questo senso, e che non hanno obbligatoriamente
deciso di agire all’opposizione, preferendo una presenza costante all’interno
dei partiti politici e dei settori dominanti degli attuali regimi. Alla
domanda di come la Nato e l’imperialismo occidentale possano intervenire a
sostegno di questi settori vengono individuate due possibili risposte. Come
prima azione quella di rendere chiaro agli interlocutori dei paesi coinvolti
(governo e ONG) che le “donazioni” occidentali sono subordinate e indirizzate
alla messa in opera di riforme, dando sostegno così alla spinta interna in
senso liberale; parallelamente dovrà essere assicurato un contatto costante
con gli attivisti liberali, dando loro sostegno politico e diplomatico,
rinforzando le loro scelte strategiche locali. Secondo gli stessi documenti un
ruolo importante potrebbe essere svolto da Yemen, Italia e Turchia con la
creazione di un coordinamento istituzionale tra i donatori e le ONG
occidentali da una parte, e gli attivisti “democratici” dei paesi coinvolti
dall’altra.
Il terzo è l’esistenza di un apparente doppio standard rappresentato dalla
considerazione non omogenea che porta a preferire, per alcuni paesi Nato,
condizioni di stabilità senza “democrazia” a condizioni di instabilità, ma con
“diritti democratici” salvaguardati.
Sulla base di queste valutazioni è ritenuto prematura la realizzazione di un
Mediterranean Partnership Framework Agreement, che presupporrebbe un principio
di non differenziazione, all’interno dell’Alleanza, dei livelli di
partecipazione ed integrazione dei singoli paesi.
Dagli atti del Convengo organizzato a Roma nel mese di Ottobre dall’Istituto
Affari Internazionali su “Transatlantic Perspectives on the Broader Middle
East and North Africa (BMENA)”, emerge chiaramente la difficoltà che si
prospetta nel rendere appetibile ai paesi interessati il processo di
cooperazione con la Nato, dovendo tenere in considerazione che non potrà
essere utilizzata la “politica della carota” come successo in passato per i
paesi Partner for Peace, in quanto, in questo caso, è necessario un intervento
che non venga considerato troppo intrusivo con il rischio di dare la
sensazione di voler influenzare le dinamiche interne del paese .
Un’opera di propaganda mirata potrebbe risolvere, a medio termine, i problemi
relativi al giudizio sulla Nato.
Secondo Sheffer la
visione della Nato nel mondo arabo non corrisponde alle aspettative,
richiedendo un maggiore sostegno pubblico da parte delle “democrazie arabe”,
attraverso una azione di propaganda mirata a dare una visione nuova del suo
ruolo fondamentale per la “sicurezza e la stabilità”.
Se a risolvere il problema precedente, o almeno ad attenuarlo, possono
contribuire vari fattori, la possibilità di sostenere finanziariamente
l’adeguamento agli standard, dipende direttamente dalle capacità e dalla
volontà dei paesi dell’Alleanza.
Singoli Stati Nato possono aver stipulato accordi bilaterali di cooperazione
militare, di cooperazione nella fornitura e ricerca sul piano degli armamenti,
e potrebbero giudicare così indebolito il proprio ruolo una volta trasferito
il loro “patrimonio” all’interno del quadro dell’alleanza.
La speranza dei paesi Nato è che gli stati arabi adottino velocemente un
processo di riforma e di “democratizzazione”. Per fare ciò attribuiscono un
ruolo fondamentale all’intervento della cosiddetta “società civile” con la
creazione dell’iniziativa “Forum for Future”.
Nei giorni 10 e 11 dicembre si è svolto a Rabat il primo “Forum for Future”,
evento voluto dal presidente degli Stati Uniti, George W. Bush al fine di
“esportare la democrazia” negli Stati islamici attraverso l’attuazione delle
riforme nei paesi della Middle East Partnership Initiative” (MEPI),
utilizzando un metodo più simile a quello “morbido e condiviso” adottato
dall’Europa. Un prossimo incontro del Forum si terrà nel maggio 2005 al Cairo,
come annunciato dall’alto rappresentante per la Politica Estera e la Sicurezza
Comune (PESC), Javier Solana.
All’iniziativa organizzata dal Cairo Institute for Human Rights Studies in
cooperazione con il Moroccan Organization for Human Rights, the International
Federation for Human Rights e il Euro-Mediterranean Human Rights Network hanno
partecipato circa 60 ONG provenienti da 15 stati Arabi, e 4 ONG provenienti
dall’Asia e l’Europa. L’incontro è stato preceduto da un summit preparatorio
svoltosi nel mese di settembre a New York. Lo scopo è il famoso coinvolgimento
della cosiddetta “società civile”.
Come in parte già descritto, il Forum si propone di rappresentare
l’istituzione centrale per far avanzare i processi di riforma richiesti sia
dall’interno, sia dall’esterno dei singoli paesi Dialogo Mediterraneo (MD)/Istanbul
Cooperation Initiative (ICI) e dovrebbe rispondere a quel tentativo, mai
riuscito, di poter indirizzare i paesi arabi verso la direzione voluta. Il
Forum è costruito in modo da consentire incontri periodici tra ministri di
paesi MD/ICI e parallelamente da industriali e dalla “società civile”, per
discutere sugli argomenti oggetto delle riforme e monitorare i progressi dei
processi di “democratizzazione” delle istituzioni. Il sistema adottato,
garantire un canale di confronto sul tema dei diritti umani e sulle libertà
politiche, offre come controparte il riconoscimento della sovranità
territoriale e garantisce la non intrusione nella sfera politica del paese.
Alcuni aspetti saranno da chiarire in particolare per la poca propensione, da
parte di alcuni paesi, nel vedere eventualmente sottomessi a questi vincoli
gli eventuali benefici politici della partecipazione al processo di
cooperazione ed integrazione.
“Quanto al cittadino arabo, tenuto rigorosamente all’oscuro di questi
dibattiti, è nelle strade che ha cercato di esprimere le sue riserve riguardo
l’allestimento di questo Forum nella capitale marocchina”, sottolinea Al Quds
al Arabi. Manifestazioni erano state organizzate per protestare contro il
ruolo preponderante degli Stati Uniti nell’organizzazione del Forum, ma le
forze dell’ordine ne hanno impedito lo svolgimento.
Da notare che dietro le manifestazioni di opposizione si ritrovano gruppi
dalle matrici differenti: Associazione Marocchina per i Diritti dell’Uomo (AMDH),
Partito per la Giustizia e lo Sviluppo (islamista, terza forza parlamentare
del reame) e la molto influente associazione islamica Al Adl Wal Ihsane
(associazione giustizia e carità). Nell’insieme, le diverse bandiere e gli
slogan denunciavano l’organizzazione a Rabat del Forum, poiché vedevano in
esso “una vergogna e un’umiliazione del popolo marocchino” ed esprimevano la
solidarietà dei manifestanti con “i fratelli della Palestina e dell’Iraq”.
Solidarietà che i dirigenti arabi non hanno mancato di sottolineare nei loro
interventi, arrivando a collegare il processo di democratizzazione nei loro
paesi alla soluzione del conflitto arabo-israeliano. (da GlobalReserch&Reportgroup).
Sul ruolo della Nato e del valore della iniziativa MD/ICI è tornato il
senatore Usa Mc Cain, durante la Conferenza Nato sulla Sicurezza, affermando
che, nel momento in cui la sicurezza di Madrid o New York dipendono da Ryad o
Bagdad o il Cairo e dalle condizioni politiche che si determinano in questi
luoghi, la Nato ha il dovere di intervenire per affrontare i necessari
cambiamenti politico-sociali, per eliminare, o ridurre fortemente i rischi.
Alcuni paesi, come Marocco, Bahrein e Giordania, hanno avuto la capacità di
intraprendere riforme coraggiose, a differenza di paesi tradizionalmente ben
disposti verso le politiche Nato e Usa, come l’Egitto e l’Arabia Saudita, che,
nonostante dispongano delle capacità per assumere la guida dei paesi dell’area
verso una “nuova era”, agitano lo spauracchio del coas sociale per una
eccessiva intrusione esterna, quando è necessario mettere in pratica le
riforme richieste.
Così non la pensa solo il senatore Usa. La stessa opinione, ma da un punto di
vista diametralmente opposto, la troviamo nelle pagine di alcuni articoli
della stampa araba.
“Questi paesi vanno docilmente a partecipare alle riunioni organizzate dagli
Americani per poi indignarsi contro l’ingerenza a stelle e strisce. Perché
vanno allora? Se sono là, è solo per ottenere gli aiuti promessi in cambio
delle riforme. Inoltre – prosegue Al Hayat – l’incontro di Rabat riconosce il
diritto degli Stati Uniti a organizzare regolarmente delle riunioni che
servono a ricordare a ciascuno il ruolo che gli è preposto, e a distribuire un
codice di condotta. La parola chiave è “lotta al terrorismo”. I paesi che
applicano le direttive americane in questo campo sono spesso perdonati della
lentezza con cui percorrono il cammino verso la democrazia”.
Dal canto loro alcuni paesi del Magreb e del vicino Medio Oriente stanno
contribuendo, maggiormente di altri, a questo processo di “integrazione”, sia
in termini di riforme economiche, sia dal punto di vista militare. Un
contributo che consente ai singoli governi di avere mano libera sul fronte
interno nella repressione di quei settori di opposizione politico, sociale,
religiosa , che, oltre rappresentare alternative politiche alla attuale
sudditanza imperialista, sono alla base della crescita di una coscienza della
subalterneità agli interessi imperialisti delle attuali dirigenze politiche
locali.
Durante il Vertice di Ministri degli esteri Dialogo Mediterraneo (MD) di
dicembre a Brussels, il ministro egiziano ha dimostrato una certa cautela
nelle reazioni a fronte delle accelerazioni, dettate dagli Usa,
dell’integrazione del paese nella Nato. Secondo quanto riportato dal ben
informato settimanale egiziano AL-AHRAM Weekly, il governo continua a
ritenersi preoccupato dall’impatto che tali passaggi possono avere nei
confronti di altri paesi con cui l’Egitto mantiene stretti rapporti
diplomatici. In particolare non può, in nessun modo, permettersi di vedere
fallire quanto messo in campo per Palestina, Iraq e Sudan, dato il costo
politico che l’attuale leadership egiziana dovrà assumersi.
Una affermazione, a nostro avviso e visti i recenti sviluppi nel rapporto
stesso con Israele, più mirata ad un maggiore potere di contrattazione con
l’amico americano che ad un rallentamento dell’attuale processo di
integrazione e cooperazione. Secondo AL-AHRAM l’attuale strategia dell’Egitto
è basata su un programma dettagliato inerente ai passaggi per la sua
trasformazione da paese amico a paese partner Nato.
Appena due settimane prima del Vertice di Brussels, il governo algerino ha
rinnovato la richiesta al SG Nato di poter partecipare attivamente alle
operazioni di peacekeeping dell’alleanza,
Durante la visita in Giordania, il SG Sheffer ha affrontato i passaggi che si
sono sviluppati in termini di cooperazione tra questo paese e la Nato. La
Giordania è considerata tra gli attori principali del Dialogo Mediterraneo (MD)
ed è ritenuta partner fondamentale anche per la sua capacità di aver
intrapreso numerose iniziative di collaborazione con la Ue e l’OCSE. Secondo
Sheffer, la Giordania ha saputo raggiungere quel livello che rende
effettivamente possibile quella cooperazione ed integrazione militare che
dovrà essere d’esempio a tutti gli altri paesi Dialogo Mediterraneo (MD)/Istanbul
Cooperation Initiative (ICI).
L’evoluzione dell’alleanza potrà essere agevolata, continua il Segretario
Generale, attraverso l’individuazione di specifici interventi per i singoli
paesi, rafforzando gli attuali accordi di cooperazione bilaterale o
multilaterali tra i paesi dell’area e la Nato, come la collaborazione nei
settori della sicurezza, nell’adeguamento dei sistemi di comando militari e
operativi. Questo supporto esterno potrebbe rappresentare un rafforzamento
soft delle attuale politiche di integrazione.
Nel giungere al termine di questa breve, e forse non esaustiva, panoramica sul
ruolo della Nato e dell’Europa nel Mediterraneo e nel vicino Medio Oriente, si
nota la mancanza della presenza determinante dell’antagonista storico della
borghesia imperialista e delle sue politiche di sfruttamento e usurpazione:
quel proletariato metropolitano che stenta a trovare una propria identità e
dimensione di intervento.
Si sente la mancanza di una analisi più approfondita delle contraddizioni che
si sviluppano nell’area interessata all’avanzare delle politiche imperialiste
e quali ricadute nel corpo proletario queste determinano, quali sono i
soggetti antagonisti che si sviluppano, quali le loro caratteristiche e le
loro tendenze, in prospettiva, anticapitaliste e antimperialiste.
Quel tentativo che sull’onda delle campagne di boicottaggio dell’economia
sionista, del sostegno alla Intifada, e agli albori dell’attacco all’Iraq,
aveva visto valorizzare l’azione delle organizzazioni sindacali del mondo
arabo, il contatto e la collaborazione con settori proletari immigrati di vari
paesi europei, sembra essere stata risucchiata all’interno di un meccanismo di
riadeguamento generalizzato alle compatibilità borghesi del pensiero
antagonista. Non marginale è il ruolo rivestito da quei luoghi e scadenze,
come i vari forum o fori sociali, oramai completamente spogliati di qualsiasi
spontaneità positiva che può averli attraversarti al loro inizio, nel
collocare le rivendicazioni proletarie su un piano di negoziazione con un
imperialismo sempre più vorace, a relegare le organizzazioni politiche e
sociali a strumenti di consultazione per “tastare il polso” del livello delle
contraddizioni ed intervenire in chiave controrivoluzionaria. L’oramai
smascherata “società civile” completa il quadro con la sua identità
interclassista di soggetto di cambiamento, tentando di imporre lentamente un
virtuale superamento della realtà di una società divisa in classi con
interessi antagonisti tra loro, e del suo sempre più indispensabile
sovvertimento generale.
L’esercitazione
Piramidi 2004 della Garibaldi [da Pagine di Difesa, 27 ottobre 2004] La brigata bersaglieri Garibaldi, con il proprio posto comando e con i reggimenti dipendenti (18° bersaglieri, 8° artiglieria, 21° genio, 131°carri, cavalleggeri Guide e il reparto comando e supporti tattici ha condotto con le Forze armate egiziane una esercitazione congiunta nel poligono di El Hammam denominata Piramidi 2004. Alla esercitazione hanno partecipato circa 1500 militari italiani, con oltre 600 mezzi, di cui 90 da combattimento e 2 elicotteri. Il contigente si è reso totalmente autonomo dal punto di vista logistico. Lo scenario utilizzato nello sviluppo della Piramidi 2004 prevedeva un ipotetico conflitto asimettrico ad alta intensità, combattuto in una zona desertica. L’attività è stata altamente significativa per la crescita della capacità di cooperazione tra l’esercito egiziano e quello italiano e ha evidenziato funzioni di comando, controllo e comunicazioni attraverso l’integrazone, nello staff di brigata, di ufficiali egiziani. |
Basi Usa in Ex Jugoslavia
KOSOVO |
Paesi Euromed: Algeria, Egitto, Israele, Giordania, Libano, Marocco, Autorità Palestinese,
Siria, Tunisia, Turchia Paesi Mediterranean Dialogue (MD): Algeria, Egitto, Giordania, Marocco, Mauritania e Tunisia. |
Da Arabic News- Dicembre 2004
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