CONTROINFORMAZIONE INTERNAZIONALE N.8

FASCISMO E IMPERIALISMO

Intervento del Coordinamento di lotta studenti e lavoratori di Pisa in occasione della manifestazione per Serantini, il 9 maggio 1992

(versione in inglese) (versione in tedesco)

Non c'è bisogno di scomodare fantasmi del passato per capire come mai si liquida lo "stato sociale" in Italia. Non è un ritorno indietro, ma un passaggio in avanti che lo stato imperialista compie per adeguarsi alle nuove condizioni internazionali. Tutti i paesi imperialisti attuano questo passaggio, alcuni lo hanno già compiuto (grazie alla Tatcher, a Reagan e a chi lo ha seguito, a Mitterand e a Soares, la Germania compie l'impresa più grossa nel minor tempo possibile, cancellando con un colpo di spugna lo stato sociale della DDR).

Semmai per l'Italia ci sono più resistenze ad operare la trasformazione per il rigido sistema di clientele e per gli effetti residui del vecchio patto sociale nato dalla resistenza.

Non c'è bisogno di evocare il pericolo fascista nemmeno per motivare l'attività repressiva in atto: a Los Angeles non c'era il KKK, ma i marines di Bush; così non erano i falangisti i picchiatori all'expo di Siviglia, ma la polizia del socialista Soares; né le forze della repressione in Italia sono al servizio di Fini o di Bossi; né quelle francesi pagate da le Pen... Per farla breve: l'azione repressiva è esercitata in prima persona dalle democrazie senza ricorrere a sistemi autoritari o a forze reazionarie.

Cosa dire del "pericolo emergente della destra?" Già ci viene un sospetto, quando quelli che gridano più forte sono i socialisti e i democristiani di tutta Europa; il sospetto si conferma quando vedi che col pretesto del "fronte contro l'involuzione autoritaria" si vanno formando le nuove alleanze sociali e le nuove coalizioni politiche dello stato imperialista: in Germania, dietro all'ondata di scioperi e col clima delle violenze di destra, i sindacati e i socialdemocratici si offrono alla DC per governare insieme la "Grande Germania". In Francia si va all'allargamento della coalizione di sinistra nella direzione del centro giscardiano; in Italia si configura l'alleanza DC-PSI-PDS, col supporto dei sindacati confederali, come l'asse intorno al quale tutti gli altri si devono equilibrare.

In Europa c'è un'avanzata elettorale della destra, ma questo non è un gran pericolo per la democrazia imperialista, perché il voto di destra non rappresenta la protesta incontrollabile e antisistema, ma è voto corporativo dato sulla base di gruppi di interessi e non si differenzia per niente dal voto dato agli altri. Questa forza elettorale non è direttamente utilizzabile per coalizioni di potere, difatti nessuna destra è stata chiamata a farne parte, però rappresenta interessi sociali organizzati e congelati, in attesa del loro utilizzo in un nuovo patto sociale espresso da soggetti più credibili e pericolosi dei tanti ducetti che infestano l'Europa.

E' vero che c'è una diffusione di massa di tendenze xenofobe, razziste, nazionaliste, che va molto al di là della loro espressione politica, ma queste cose non sono cadute dal cielo, bensì preparate in lunghi anni di corporativizzazione della società, proletariato compreso, e questo è l'effetto sociale, in primo luogo, della frammentazione tecnica e politica della classe, cioè della sua sconfitta precedente. Questa società corporativa, nella quale ogni nuova contraddizione aumenta la divisione, non è stata progettata da nessuno, si è affermata spontaneamente, grazie alla debolezza della classe e delle prospettive rivoluzionarie. Lo Stato se la ritrova come prezioso regalo, perché permeata di ideologia dominante, ma anche come una delle condizioni oggettive sulle quali deve riformarsi per poterle governare. Le altre condizioni sono: la recessione, il crollo dell'est, i fenomeni migratori, l'aumento della violenza nelle relazioni sociali, lo scontro non ricomponibile tra Nord e Sud del mondo, la necessità di ricostruire gli equilibri gerarchici tra le potenze imperialiste sotto l'egemonia politico militare degli USA.

Facciamo una prima considerazione: tutte le ragioni per cui i vari settori sociali protestano sono da riportare ad un massimo comun denominatore che è l'azione di riforma dello stato imperialista. Non si può riuscire a contrastarne l'azione se ogni gruppo sociale va all'attacco per proprio conto, cioè in maniera corporativa; ma neanche è efficace l'unità di diversi interessi messi uno accanto all'altro (come una lista della spesa, senza gerarchia), questa unità è debole, perché perpetua la tendenza corporativa e non implica una strada comune, ma solo momenti comuni della protesta.

L'unità forte è quella che si fa su una questione: come si abbatte lo stato borghese, che in questa fase storica ha la forma della democrazia imperialista. Anche se questo può sembrare una patetica provocazione, il fatto è che non abbiamo scelta: o ci poniamo questo problema, o tutti i nostri movimenti, antagonisti o meno, finiranno per fare il gioco del nemico di classe, perché esso è già impegnato a rifondare la sua unità strategica.

La seconda e ultima considerazione è che la riforma dello stato imperialista italiano è inevitabile e necessaria perché sul piano internazionale tutto l'imperialismo è coinvolto nella riforma, e tutti i popoli e le classi subordinate ne sono, loro malgrado, coinvolti. La critica allo stato italiano non può che essere una parte della critica al sistema imperialista delle relazioni internazionali.

Coordinamento di lotta studenti e lavoratori - Pisa

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