QUADERNI DI CONTROINFORMAZIONE N.21 - FEBBRAIO 1995

LA TRIPLICE OPPRESSIONE:
RAZZISMO, SESSISMO E CLASSISMO

Klaus Viehmann - prima parte

[versione inglese]

PRIMA PARTE

SECONDA PARTE (Quaderno n. 22)

PREMESSA

Come redazione dei quaderni abbiamo deciso di anteporre una premessa alla edizione di questo documento di discussione sulla triplice oppressione non perché avesse bisogno di chiarificazioni preliminari, ma solo per sottolinearne l'importanza, per raccomandarne la diffusione più ampia possibile e per esporre le ragioni che ci hanno indotto alla sua pubblicazione.

Consideriamo l'importanza di questo scritto collettivo non solo in relazione alla involuzione del movimento della sinistra radicale in Germania, ma in relazione al movimento proletario ed ai movimenti di liberazione in generale.

Malgrado tutte le analisi sulle dinamiche oggettive del capitale, non ci si può più nascondere che l'anticomunismo - come rinuncia più o meno dichiarata e più o meno cosciente ad una concreta prospettiva di liberazione da tutte le oppressioni - attraversa oggi il corpo stesso della classe, i suoi generi, le sue "razze" condizionandone la condotta anche nelle sue espressioni e movimenti "coscienti".

Questo, oltre che un effetto dell'attuale momento di relativa forza della borghesia mondiale, è anche un riflesso "ideolgico": un riflesso della crisi storica della civiltà borghese, della sua disgregazione e di quella degli elementi che la compongono.

Perciò l'ideologia è una forza materiale: episodi come quello di Aigues-Mortes nell'agosto 1893, il fallimento storico della socialdemocrazia di fronte alla prima guerra mondiale e gli altrettanto macroscopici eventi degli anni '20 e '30 che aprirono la strada al secondo conflitto mondiale l'hanno già dimostrato ampiamente.

E' urgente perciò recuperare terreno a favore delle prospettive di liberazione anche sul piano "teorico" dell'ideologia. E questo non può essere il prodotto di qualche isolato cervello geniale, ma solo il risultato di una pratica, di una discussione e di un lavoro collettivi.

Il documento che pubblichiamo ora ha il pregio di rappresentare - e in qualche misura incarnare - un tentativo in questa direzione; di realizzare una rottura concreta dell'isolamento tra "il dentro e il fuori" imposto dallo stato, attraverso l'esecuzione di un lavoro collettivo; di criticare i fondamenti materiali e il carattere borghese dell'autoreferenzialità ed autorappresentatività degli attuali movimenti della sinistra radicale stimolando la discussione e la formazione di una "giovane guardia"; di valorizzare gli aspetti materiali - e quindi anche ideologici - che caratterizzano l'epoca dell'imperialismo e i suoi giganteschi processi di trasformazione (la dialettica tra privilegi e oppressione di classe, di genere e "razziali").

Al di là di improbabili progetti di "liberazioni" parziali - attraverso "chiusure e riprese storiche" dei movimenti soggettivi - l'autonomia ha un senso solo nella dinamica interna ai reali movimenti di liberazione da tutte le oppressioni: come autonomia dei popoli, delle classi, dei gruppi oppressi e dei loro percorsi di liberazione.

Nota redazionale

Abbiamo tradotto il termine under-class come classe inferiore, piuttosto che "economicisticamente" come sotto-classe, attribuendogli un significato in contrapposizione a quello di upper-class (classe superiore); il termine utopia con quello di prospettiva vista, purtroppo, l'attuale interpretazione negativa di questo termine in Italia; il termine white spots come buchi bianchi perché ci sembrava più adrente al significato sotto certi aspetti psicoanalitico dell'espressione.

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I.

«Quando discuti scegli di correre il rischio di scoprire che un argomento metta in luce una struttura con potenziali implicazioni per la tua stessa esistenza»

(Denkverhaltnisse)

In questo senso questo foglio rappresenta un vero rischio. Come documento di discussione, anche solo provvisorio, corre il rischio di commettere errori - ma questo è meglio dell'equivoca sicurezza del silenzio.

Alle origini di questo documento c'è una lunga discussione tra donne (principalmente) e uomini di sinistra condotta per lo più attraverso la corrispondenza tra prigionieri. Alla fine la discussione è stata riassunta in carcere con quello "sguardo da lontano" che tralascia molti dettagli quotidiani, ma che (proprio per questo) può vedere oltre ciò che è ad un palmo dal proprio naso.

Lo scopo della discussione era criticare la tradizionale analisi di classe che è pregiudicata e dominata da una visione patriarcale ed è pervasa di razzismo. L'analisi dei meccanismi globali o locali di oppressione e sfruttamento è stata sempre confusa da quella economica rendendo "invisibile" l'esistenza del patriarcato e del razzismo.

Essa divideva le lotte in contraddizioni principali e secondarie e interpretava il mondo secondo un modello bianco ed eurocentrico.

Episodi come il 1° maggio 1987 - con la sua miscela esplosiva di abitanti dei quartieri poveri, giovani turchi di entrambi i sessi ed anche di autonomi - e lo sciopero a Rheinhausen nel 1987/88 - a cui gli autonomi non hanno risposto - hanno fornito alcuni punti di partenza per la discussione.

Ma questi episodi non hanno avuto nessun effetto ulteriore sulla teoria e la pratica autonoma.

Anche la campagna anti-FMI a Berlino Ovest non ha prodotto alcun reale progresso, a parte le simboliche menzioni del patriarcato e del sessismo nei documenti e negli opuscoli.

Il sessismo presente nelle stesse strutture interne della sinistra - che non potrebbe essere negato più a lungo dopo che sono divenuti noti i continui attacchi a delle donne -, la debole reazione della sinistra nei confronti delle campagne d'odio dello stato contro "l'ondata di rifugiati" (sebbene ci siano state alcune positive eccezioni come la campagna per il "libero ingresso" delle RZ - Cellule Rivoluzionarie, ndt. -), e, più recentemente, il tradizionale argomento difensivo dell'ascesa del razzismo e della falsa retorica patriottica (che non si sono limitate a meri abusi verbali); tutte queste cose, in una certa misura, lo dimostrano.

Se si cerca una critica radicale di questi rapporti globali e locali di violenza e sfruttamento, si trova molto poco nella teoria della sinistra.

Qui il significato di capitalismo imperialista, patriarcato, razzismo e l'interazione tra loro sono trattati incidentalmente e in maniera formale.

Molto più avanzate sono invece le compagne femministe ed i neri, specialmente le donne nere, cosa che non dovrebbe sorprendere.

C'è anche un grandissimo sforzo di sottolineare l'importanza della "triplice oppressione" da parte della sinistra militante in Inghilterra, America e nel cosiddetto Terzo Mondo (occasionalmente è menzionata una quarta oppressione, cioè lo sfruttamento del Terzo Mondo da parte delle metropoli, ma anche allora la triplice oppressione viene considerata una categoria politica).

Più a lungo affronti la triplice oppressione e più visibili diventano i suoi elementi e le loro interazioni nella teoria, nella storia, nella vita quotidiana e nella non-prassi della sinistra.

Questo processo di riconoscimento è ciò che questo documento si sforza di stimolare.

«Quando parliamo di lotte di liberazione noi intendiamo la lotta contro tutti e tre questi tipi di oppressione. Non parliamo di tre diverse fasi o di tre differenti lotte; no, parliamo di una ed una sola lotta! Ho già detto che la libertà è indivisibile. Non puoi considerarti libero se una o più di queste oppressioni continua ad esistere»

(Neville Alexander).

La sinistra tedesca è privilegiata: è molto bianca, molto maschile e meno dipendente dalla schiavitù del salario. I privilegi rendono ciechi, ciechi verso le realtà esterne alla propria esperienza e alle proprie banali consapevolezze.

Perciò gli uomini debbono imparare una gran quantità di cose dalle compagne femministe e noi tutti dobbiamo imparare dai testi della gente nera. Naturalmente i compagni sono antisessisti e antirazzisti, è ovvio - "ovvio" appunto, ma raramente ne traggono qualche conseguenza pratica (e, normalmente, "ovvio" significa semplicemente che una persona di sinistra non fa alcuno sforzo particolare per affrontare il problema perché pensa che non potrebbe commettere colpe in questi campi, in particolare non nella sfera privata).

I rapporti nei quali si è la parte privilegiata non possono essere rivoluzionati se non perdendo il proprio potere. Questo è un punto di partenza fondamentale.

La sinistra autonoma (e la sua teoria) si trova in un tale stato di indeterminazione, con una tale mancanza di prospettiva (utopian vision), che la sua pratica è spesso piena di latenti o di scoperti esempi di sessismo, di razzismo, di "buchi bianchi", cosicché questa discussione sulla triplice oppressione può essere solo salutare.

La mancanza di prospettive (utopias) significa l'incapacità di concepire qualcosa per cui valga la pena di lottare, qualcosa che bisogna raggiungere. Limitare le prospettive (utopias) alla possibilità di certe situazioni immediate significa ridurre la questione del potere e dello sviluppo del contro-potere alle pure faccende quotidiane.

Una mobilitazione a lungo termine però è possibile solo se si hanno in mente degli obiettivi a lungo termine, obiettivi che vanno al di là di certe condizioni di vita ordinarie (personali).

«Una delle lezioni più dure che dovevamo imparare era che la lotta rivoluzionaria è più scientifica che passionale. Non dico che non dovremmo nutrire alcun sentimento, ma che le decisioni non possono basarsi sull'amore o sull'odio. Devono basarsi su condizioni oggettive e mirare a ciò che è necessario razionalmente e non sentimentalmente»

(Assata Shakur).

Dopo quest'introduzione, torniamo ora all'argomento dei limiti della vecchia definizione di classe - che è quello da cui era partita questa discussione.

Lo segue, poi, una definizione del razzismo e della sua interazione con la guerra di classe e il patriarcato.

Che è, a sua volta, seguita da una definizione del patriarcato, della sua critica da parte femminista ed anche della sua interazione con la guerra di classe.

Poi viene un paragrafo a parte che contiene lunghe citazioni di donne nere - con riferimento diretto alla situazione tedesca sono presenti dei passi di una critica di una donna filippina al movimento delle donne tedesco. Hanno occupato un certo spazio perché sono tutte importanti e veritiere.

Poi il documento continua con un pezzo teorico un po' stringato sulla triplice oppressione.

Quindi c'è un breve paragrafo sul nazional-socialismo e la resistenza del Partito Comunista Tedesco (KPD).

Infine un lungo capitolo di critica della teoria e della pratica degli autonomi seguita da alcune proposte.

Nel discutere questo tema complesso è impossibile evitare qualche sovrapposizione tra i diversi capitoli. E d'altra parte essi sono anche complementari tra loro. Perciò, per favore, non considerate cose estranee al contesto del documento stesso.

Prima di cominciare, bisogna definire alcuni termini:

* lotte di classe: lotte contro l'oppressione capitalista condotte dai lavoratori e da chi solidarizza con loro;
* lotte antipatriarcali: sono condotte dalle donne e da chi solidarizza con loro;
* lotte antirazziste: sono condotte dalla gente nera e da chi solidarizza con essa - "nero" è usato come termine politico, per indicare tutti quelli che sono esposti al razzismo dei bianchi;
* lotte anti-imperialiste: sono condotte dai movimenti di liberazione del "Terzo Mondo" e da chi solidarizza con loro.

Che queste lotte non possano, nella realtà, essere considerate separatamente è un argomento diverso che va considerato. Ma queste definizioni sono giuste e necessarie, altrimenti la discussione sulla triplice oppressione girerebbe a vuoto se concetti non chiari fossero usati per discuterne altri non chiari.

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II.

«Cos'è oggi la classe operaia, di che sesso è, e di che colore?»

(Paul Gilroy)

Queste domande sottintendono un'idea di classe secondo cui tutte le lotte possono essere spiegate riducendole alla contraddizione principale tra lavoro e capitale, per cui proclama la classe operaia come il soggetto rivoluzionario.

Questa concezione della sinistra storica non lascia posto all'oppressione, storicamente data, delle donne e dei neri, alle differenze materiali e qualitative tra le metropoli e il "Terzo Mondo". Né assegna un posto alla resistenza collettiva in questi ambiti: è patriarcale e bianca/eurocentrica.

La teoria marxista è indispensabile per riconoscere lo sfruttamento capitalista e per comprendere le lotte che hanno luogo nell'opposizione tra capitale e lavoro.

L'analisi di classe dedotta da questo conflitto (economico), che considera la classe operaia come l'unica forza dirigente del processo rivoluzionario, è insufficiente perché, vedendo il patriarcato e il razzismo solo come contraddizioni secondarie, gli sfugge la loro importanza politica e sociale.

Nel minimizzare l'importanza dell'oppressione razzista e sessista - o al più analizzandole come meccanismi disgregativi del capitale e legandoli perciò esclusivamente all'esistenza del capitale - trascura di offrire ciò che è necessario nel processo politico-pratico di trasformazione sociale e per compiere la successiva mobilitazione verso un necessario contro-potere: una prospettiva di liberazione da ogni forma di sfruttamento e di oppressione.

Gli obiettivi e la condotta rivoluzionaria non possono essere dedotti economicisticamente da una certa collocazione nel processo produttivo (il che non significa che le condizioni economiche e sociali nei rapporti di classe non siano criteri di analisi).

I movimenti rivoluzionari si sono sempre formati da sè nella lotta, con le esperienze sopportate, l'assimilazione cosciente e con il sostegno organizzativo. Questo è anche il compito della sinistra.

Questo non è un "addio al proletariato", ma solo la realizzazione che le lotte di classe non sono condotte solo dalla bianca classe operaia maschile nelle metropoli e che nella contrapposizione all'imperialismo, al patriarcato, al razzismo ci sono conflitti e lotte altrettanto importanti.

Tutte queste lotte hanno radici in rapporti di potere strutturali e storici che esistono in una reciproca e simultanea espansione e stabilizzazione.

Una teoria che comprenda tutte queste lotte (o che almeno faccia il possibile per riconoscere ciascuna di esse) e che descriva anche le condizioni oggettive che le determinano e le delimitano non è rintracciabile nella sinistra (autonoma).

Né essa ha un'idea dei protagonisti sociali che hanno (o avrebbero) oggettivamente la forza di rovesciare l'ordine dominante.

Ignorando questo problema diventa impossibile vedere come quest'ordine dominante - con le sue barriere ideologiche, le sue fonti produttive di ricchezza e la sua potenza militare - potrà mai essere distrutto.

Quando è separata dalle forze oggettivamente presenti la volontà rivoluzionaria è destinata a fallire.

Non si è fatto alcun progresso sostituendo il concetto di classe operaia con quello di classe inferiore (underclass) o di classi inferiori. Ognuno dei due concetti è definito in termini economicisti e, in particolare, non specifica perché da questa condizione materiale scaturirebbe una disposizione alla lotta rivoluzionaria; oppure il concetto di classe inferiore (underclass) o di classi inferiori viene riferito semplicemente a tutti quelli che lottano e perciò nasconde tutte le differenze di classe, sesso, nazionalità e "razza" così come le diverse ragioni che spingono le persone a lottare (la vecchia "teoria della miseria", che considerava la rivoluzione una conseguenza della fame, è stata confutata storicamente, tuttavia spizzichi e bocconi ne sopravvivono e ancora confondono le teorie degli autonomi: chi è povero combatterà e perciò è automaticamente rivoluzionario.

Ci si dimentica che l'emarginazione causa altri problemi, problemi di sopravvivenza prioritariamente, problemi che, in realtà, lasciano veramente poco spazio ai sogni di una vita migliore).

Quando gente del "Terzo Mondo" coinvolta in una rivolta viene equiparata alla sotto-classe tedesca, quando rivolte contemporanee a Sao Paulo, Gaza, Seoul, Brixton e Kreuzberg vengono attribuite a cause analoghe, questo dà sicuramente una bella visione d'insieme del mondo, però è la peggior specie possibile di astrazione.

Malgrado la miseria relativamente crescente della povertà metropolitana, c'è una differenza qualitativa con la fame di massa nel "Terzo Mondo" e con i bombardamenti "made in USA".

Le condizioni diverse nelle metropoli e nel "Terzo Mondo" e la loro accettazione da parte della maggioranza dei lavoratori delle metropoli non indica soltanto una divisione (secondaria) del proletariato mondiale, ma ne prova nei fatti l'inesistenza.

E andiamo alla questione del sesso e del colore della classe operaia.

Nel concetto di classe operaia il genere femminile è stato reso invisibile. Le lavoratrici, trascurando il loro ulteriore ruolo di mogli (casalinghe), sono state ridotte ai soli rapporti di lavoro.

Il loro ulteriore sfruttamento da parte dei lavoratori scompare nella "famiglia proletaria" così propagandata dai marxisti-leninisti.

L'idea di lavoro su cui si basa il concetto di classe operaia è quella di lavoro salariato. Nel dominio della produzione sociale, in cui lavorano principalmente le donne (specialmente nel "Terzo Mondo"), il loro lavoro "viene spazzato sotto il tappeto".

Tutta la divisione del lavoro per sessi e il suo enorme valore per il capitale e per gli uomini si sono perduti nella sfera riproduttiva come una sorta di risorsa naturale di cui non si è considerata alcuna esplosiva capacità rivoluzionaria.

L'oppressione delle donne non può essere considerata un problema secondario che scomparirà immediatamente una volta che sarà stata risolta la "contraddizione principale" con la "vittoria del proletariato".

E ciò è provato dal fatto che la violenza contro le donne è perpetrata dagli uomini della classe operaia proprio come lo è da parte degli uomini di tutte le altre classi.

La sopravvivenza storica di questa violenza e la cecità verso di essa da parte del movimento operaio e dei suoi teorici è un forte argomento contro l'idea che le donne possano essere liberate per mezzo della lotta di classe.

La domanda sul colore della classe operaia mette in mostra l'ulteriore, ingiustificato assunto secondo cui la classe operaia sarebbe la pretesa rappresentante degli oppressi.

Il razzismo sarà discusso esaurientemente nel prossimo paragrafo e in quello sul nazional-socialismo - dove verrà discussa una divisione del lavoro razzista e particolarmente brutale.

Qui stabiliamo alcuni punti sul significato di "colore" riguardo ai lavoratori: le differenze di "razza" e di nazionalità sono, nello stesso tempo, differenze nell'intensità dello sfruttamento.

A patto che gli immigrati non si interessino alle lotte - il che accade quasi sempre - la divisione razzista delle classi gioca a favore del capitale poiché essi come individui possono essere sfruttati più pesantemente, mentre come gruppo rappresentano un esercito di riserva variabile ai cui paesi di origine non bisogna ripagare la loro forza lavoro e la loro (eventuale) formazione.

Quella che segue è una citazione che riguarda l'attuale composizione di classe o, più precisamente, disgregazione della classe:

«Con questa "volontaria" composizione multinazionale della forza-lavoro (composta da immigrati dell'Europa dell'Est, della Comunità Europea e dell'emisfero meridionale) nel dopo-guerra la Germania ha sostituito il modello violento, militarista e sanguinario del Nazismo con un metodo meno appariscente e "più pulito":
- al vertice c'è lo strato superiore dei colletti bianchi (ricerca, progettazione, management) composto da lavoratori tedeschi e per lo più maschi;
- poi ci sono i "laureati" (lavoratori specializzati semi-indipendenti). Sono in maniera predominante maschi e tedeschi;
- poi vengono i lavoratori specializzati e i capi-reparto nelle fabbriche. Sono per lo più uomini tedeschi, ma ci sono anche alcuni uomini stranieri come italiani, spagnoli e yugoslavi;
- sotto questi ci sono gli uomini turchi e marocchini e le donne straniere in generale (nei settori della produzione industriale e dei servizi con occupazioni quali le pulizie etc.);
- in fondo a tutti ci sono i profughi di entrambi i sessi»

(da un volantino prodotto dal Gruppo d'Azione Gunter Sare, estate 1989).

Questo è uno schizzo approssimativo della divisione del lavoro razzista (e sessista) instaurata dal capitale. Cioè un aspetto della vicenda.

Però, ciò che esso non mostra è l'esistenza molto concreta del razzismo all'interno della classe operaia.

Il fatto che la divisione razzista all'interno della classe operaia funzioni - durante il nazional-socialismo l'eliminazione di compagni proletari fu tollerata come pure attivamente diffusa - fornisce un altro importante argomento contro la supposizione della classe operaia come suprema liberatrice totale.

Dopo tutte le contraddizioni interne e dopo le lavoratrici, ora stanno diventando invisibili anche i privilegi della classe operaia bianca e quei lavoratori uccisi a causa della loro "razza" e nazionalità.

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III.

«E' il razzista a creare esseri inferiori»

(Fanon)

«Il razzismo, il figlio incestuoso di patriarcato e capitale»

(Pratibha Parmar)

Le forme del razzismo sono diventate indipendenti. Ad esso è stata riservata una certa attenzione e un accurato esame.

C'è una sola "razza": la razza umana. Le "razze" sono una costruzione con cui le differenze culturali e sociali sono tradotte in cosiddette caratteristiche determinate biologicamente.

La "razza" è una categoria aperta la cui definizione è cambiata completamente nel corso della storia. Perciò è meglio parlare di razzismi (al plurale) piuttosto che di razzismo (a proposito: le differenze biologiche e genetiche tra bianchi sono altrettanto varie di quelle tra neri e tra bianchi e neri).

Tutti i razzismi hanno in comune l'idea che le vittime vanno collocate ad un livello più basso del proprio nella gerarchia sociale e che devono restare lì perché sono "inferiori per natura".

"Per natura" significa senza una ragione storica, stabilito per l'eternità.

I razzismi cercano di creare, per mezzo della "stirpe" e della "purezza del sangue", identità trasversali alle classi e ai sessi. Reale non è l'esistenza delle "razze", ma certamente lo è quella dei razzismi.

«Non c'è nessuna ragione logica per desumere dal fatto che esistono i pregiudizi razziali che debba esistere qualcosa come una "razza" o un "gruppo etnico". Debbono esistere i fantasmi semplicemente perché un gran numero di persone crede nei fantasmi e si comporta come se esistessero non andando nei cimiteri di notte?»

(Neville Alexander).

Ci sono due procedimenti su cui sono fondati la conservazione e lo sviluppo dei razzismi:

* Le caratteristiche fisiche sono poste in rapporto causale con le differenze culturali e sociali. Così queste differenze vengono naturalizzate e perciò interpretate come universalmente valide.

* I razzismi costituiscono un modo concreto di vivere al di fuori di una condizione inferiore in una struttura di sfruttamento e di potere. Essi vengono alimentati di continuo - ideologicamente e materialmente - e sono di più di una semplice "falsa coscienza".

«Dobbiamo studiare come gruppi che sono esclusi dalla ricchezza della società del benessere, ma che ciò nonostante sono parte della nazione e si sforzano di identificarsi con essa, trovino nel razzismo una autentica forma di identità e di auto-coscienza»

(Stuart Hall).

Considerare i razzismi come "apparenze", come meri artifici ingannevoli dei poteri dominanti significa far finta di non vedere la loro popolarità e che esistono materialmente, che hanno tradizioni secolari.

I razzismi sono diventati strutture che non possono essere ridotte ad altri rapporti sociali.

Non possono neanche essere definiti sulla base della conoscenza di altri rapporti sociali perché sono relativamente indipendenti dal patriarcato e dal dominio di classe.

Per esempio, un'analisi della lotta di classe distinta da quella della "razza" non può spiegare le istituzioni razziste del capitalismo e dell'imperialismo.

Come rapporti di potere, i razzismi penetrano immediatamente nella testa della gente.
Affiorano nelle idee, negli atteggiamenti e nelle emozioni. E' tipico proprio dei modi di vedere anti-razzisti accompagnarsi a sentimenti involontariamente razzisti.

Questa interiorizzazione di rapporti di potere sta a significare che i bianchi, per così dire, poggiano sulle spalle dei loro antenati schiavisti, così come i tedeschi su quelle dei "dominatori" nazisti. (Il che, in via di principio, vale anche per coloro che combattono questo coscientemente e in maniera militante!).

D'altronde, le donne e gli uomini neri hanno di fronte i loro antenati sterminati e schiavizzati, così come ebrei e polacchi hanno di fronte quelli che sono stati annientati nell'olocausto.

«La tradizione di tutte le generazioni scomparse pesa come un incubo sul cervello dei viventi»

(Karl Marx, Il 18 Brumaio).

Per essere più preciso, Marx avrebbe potuto dire sul cervello dei sopravvissuti e dei loro discendenti. Legittimare e garantire le gerarchie e lo sfruttamento attribuendoli a inconfutabili "caratteristiche naturali e biologiche" è un meccanismo comune alle fasi iniziali del sessismo e dei razzismi.

I razzismi che sorsero durante il Medio Evo derivarono dalle persecuzioni di tutti coloro che cercavano di non accettare o non vivevano secondo i valori della Chiesa.
Le crociate contro i pagani, i pogrom contro le comunità ebraiche e gli eretici e una lunga serie di cacce alle streghe ne furono il risultato.
Con la conquista dell'America e dell'Africa i colonizzatori dovettero affrontare il problema di stabilire una struttura di potere dominante locale.

Le idee di "purezza di sangue" e di "nobiltà pura" furono utilizzate per escludere dal potere i colonizzati, indipendentemente da quanto ricchi potessero diventare.
Ciò mise il potere nelle mani degli europei bianchi.

Con l'ascesa della società laica e della sua fede nelle scienze naturali, le "dimostrazioni" basarono i razzismi su solide "fondamenta".
Per esempio, un esploratore affermò che i Negri derivavano dall'accoppiamento di donne con scimmie (!).

E Voltaire, che nei libri di scuola sembra sempre più carino, pensava questo:

«C'è in ogni razza umana, come c'è nelle piante, un principio che le differenzia tra loro. Così i Negri sono gli schiavi di altri uomini».

Negli stati nazionali del XIX e XX secolo questi grossolani razzismi sono stati trasformati in "caratteri dei popoli": francesi "galli" contrapposti a tedeschi "germani" etc..
Questa idiozia ha giocato un ruolo principale nella grande truffa della Prima Guerra Mondiale.

In questo stesso periodo il razzismo coloniale diventò più "umano" ed offrì ai "Negri" la benedizione della civilizzazione tedesca, francese e inglese.
Cioè, con le parole del teorico socialdemocratico Bernstein:

«Noi condanneremo e combatteremo certi metodi di sottomettere i selvaggi, ma non la sottomissione dei selvaggi in sè o il farli partecipi dei vantaggi di una cultura superiore».

Quanto al resto, la frusta e la nave da guerra era ciò che si trovavano in faccia quei neri che non volevano scambiare la propria terra e la propria libertà con la "cultura superiore".

«L'antisemitismo è una forma speciale di razzismo perché ha cambiato il modello di tutti gli altri razzismi in un aspetto importante: gli ebrei sono l'opposto del normale "concetto di razza" perché non hanno nessuna fattezza esteriore comune che li distingua e li separi dagli altri nel loro ambiente sociale (e questo è esattamente il punto di partenza per le altre forme di razzismo). Gli ebrei li si "trova nella loro personalità religiosa, nella loro storia e nei loro legami con i propri antenati"»
(Fanon).

Per gli antisemiti questa assimilazione e la mancanza di caratteri distintivi "razziali" rappresentano un pericolo particolarmente insidioso per la "purezza della razza".

Già, i ghetti ebraici diventarono i prodotti di questo razzismo antisemita le cui vittime prima furono identificate da una separazione spaziale e più tardi dalla stella gialla (le cosiddette caratteristiche "dell'aspetto ebraico" erano solo propaganda, sebbene gli ebrei a cui accadeva di somigliare loro avessero dei gravi problemi).

Per i piani razzisti gli ebrei erano vittime "utili" perché "l'opinione popolare" non avrebbe mai accettato come plausibile l'idea di una "cospirazione di Negri contro la Germania" o di una "cospirazione Negro-Bolscevica".
E non era difficile trovare qualche ebreo nel Partito Comunista, a casa o a Mosca.
Non fa differenza se i propagandisti credessero a tutto questo essi stessi oppure no: funzionò per le masse e questa fu una delle cause dell'olocausto.

L'antisionismo, per accennarvi brevemente, è una categoria politica, non una razzista.
Per dirla chiaramente:

«In Germania occidentale ci sono molti più sionisti che ebrei, specialmente nei partiti di governo».

La citazione è dalla rivista ebraica "Semit" (02/90) con riferimento a Strauss, Adenauer e Spriger.

L'efficacia dei razzismi, specialmente per i bianchi sottoproletari, può essere parzialmente spiegata con la concorrenza (per il ricco gli immigrati non costituiscono nessuna concorrenza economica e vivono in zone diverse; perciò il ricco può permettersi il lusso di essere liberale).

Meno valide saranno le alternative della sinistra, più deboli saranno i movimenti antifascisti e delle donne e più il declassamento si esprimerà nel razzismo e nell'odio verso le donne.

Sulla base di modelli razzisti esistenti e molto concreti il declassamento non porta alla solidarietà contro i poteri dominanti, ma al patriarcato e a prendere a calci chi sta sotto.

Questo è un punto di partenza per capire lo sviluppo "economico" dei razzismi e sessismi, ma questo non significa che non ci siano responsabilità individuali nella scelta tra la ribellione e il prender a calci chi sta sotto.
Né questo dia l'impressione che i razzismi e i sessismi potrebbero essere eliminati solo con la pressione sociale di una sinistra più forte.

Il razzismo e il sessismo esistono costantemente, apertamente o in modo latente.

Il che significa anche che essi devono essere combattuti pure dentro la sinistra, perfino nei momenti in cui sono meno visibili pubblicamente (cosa che non è stata fatta nel 1968 e nemmeno nel 1980/81!).

Come è stato accennato prima, la "razza" è stata inventata per scopi razzisti.
Attribuire una "razza" significa attribuire una condizione: quella di oppresso o quella di oppressore.
La "razza" è un fattore (ulteriore) di stabilizzazione di ineguali rapporti politici, economici e patriarcali.

Ma questa attribuzione ha anche dato vita ad una "coscienza razziale" dei neri contro la colonizzazione esterna ed interiore.
La "razza" diventa allora il terreno comune per organizzare la resistenza all'oppressione razzista (ne sono importanti esempi il Black Panther Party e il Movimento Coscienza Nera).
L'oppressione di classe e la violenza dello stato sono vissute come "rapporti tra razze" e la lotta contro questo è inevitabilmente situata sul confine tra "bianco e nero".

Considerare questo razzismo una parte degli altri razzismi significherebbe negare che le loro motivazioni di partenza sono completamente diverse: i razzismi bianchi sono utilizzati per mantenere l'ordine imperialista. Hanno una lunga e sanguinosa storia. Intere generazioni di bianchi ne hanno tratto profitto in diversa misura.

Stati coloniali come gli USA, Israele, il Sud-Africa e l'Irlanda del Nord, attraverso razzismi istituzionalizzati e la distribuzione dei territori conquistati e degli impieghi, hanno dato vantaggi a tutta la popolazione colonizzatrice bianca, inclusi gli operai.
Quando sorge la resistenza a questo, quando prendono forma la coscienza e le organizzazioni nere, con le rivolte degli schiavi da Soweto ad Harlem, allora ciò è diretto contro lo status quo imperialista e la storia dei bianchi.
Le lotte motivate da una "coscienza razziale", come le lotte dei neri, sono lotte antirazziste!
Finché non saranno sconfitti tutti i razzismi, le organizzazioni che si formano a causa dell'oppressione razziale ci saranno necessariamente.

«Significherebbe disarmarsi strategicamente e tatticamente se si negasse la realtà di pregiudizi e differenze evidenti, da ovunque provengano. Sarebbe impossibile - con la possibile eccezione di qualche migliaio di studenti - organizzare un movimento di massa».

(Neville Alexander)

I movimenti di liberazione neri nella lotta per l'indipendenza nazionale sono anti-imperialisti e antirazzisti, ma non necessariamente anticapitalisti e antipatriarcali.

Fanon dice che dopo un lungo periodo di spersonalizzazione colonialista e imperialista, il nazionalismo del "Terzo Mondo" è la sola via per raggiungere un'identità collettiva e l'unificazione pratica dei (finora divisi) oppressi.

Ciò è probabilmente inevitabile, ma appartiene ancora alla tradizione di quel modello gradualista che antepone la liberazione nazionale a quella della classe operaia e delle donne.
La lotta di classe e il patriarcato continuano ad esistere, ma sono "congelati" nell'interesse della causa nazionale.
Ma questo asserito "congelamento" è solo un'apparenza, stabilita nel programma del movimenti di liberazione.

Mentre le masse operaie e le donne figurano in maniera cospicua come combattenti nel movimento di liberazione, creando perciò un'importante diversità rispetto agli eserciti fantoccio coloniali, dopo la vittoria essi spariscono nell'economia che dev'essere costruita nella società patriarcale sviluppata in uno stato nazionale.
La vittoria stessa non sarebbe stata raggiunta con una mobilitazione sessista-reazionaria.
Il passato è messo in discussione veramente dalla lotta delle donne.

Ma dopo - come in Iran - arriva l'inversione di rotta: il secondo colpo della "rivoluzione" nazionale mira alle donne alla maniera "fondamentalista" o in quella stalinista.

Ovviamente, negli stati nazionali instaurati dai movimenti di liberazione, i neri sono divisi in classi e sessi.
Ma queste divisioni assumono forme diverse da quelle tra i bianchi perché sono condizionate da una lunga storia di razzismo bianco e di resistenza ad esso.

Nella critica dell'idea di classe operaia è già stata toccata la dimensione patriarcale e quella razzista. Così è logico che la teoria e l'organizzazione antirazzista dei neri non debbano necessariamente essere anticapitaliste e antipatriarcali.

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IV.

«L'idea di patriarcato è stata riscoperta dal nuovo movimento femminista come parola d'ordine perché il movimento ha bisogno di un concetto in cui la totalità, così come il carattere sistematico, dei rapporti di oppressione e sfruttamento subiti dalle donne possano essere espressi. Il patriarcato definisce delle dimensioni storiche e sociali (...) ed è così meno aperto a spiegazioni biologiche, in quanto opposto alle idee di dominio maschile. Nella storia i sistemi patriarcali non sono stati universali: sistemi atemporali che sono sempre esistiti. (...) Se il patriarcato ha un momento di partenza determinato nella storia, allora può anche averne uno finale»

(Maria Mies)

La citazione sopra aiuta a spiegare la definizione di patriarcato e inoltre si fonda sulla necessità che la direzione della critica anti-patriarcale sia data dalle donne femministe.
Questo paragrafo non vuole sanzionare la teoria e la prassi femministe. Entrambe riempiono innumerevoli volumi ed anche la realtà.

Ma comunque alcuni aspetti della teoria e della pratica femministe hanno bisogno di essere richiamati: la violenza contro le donne è stata considerata al di fuori della sfera privata e mostrata come elemento strutturale e presente in tutti gli altri rapporti sociali; il concetto umanista di Umanità è stato demolito come astrazione maschile e ricondotto a quello di uomini e donne, rendendo così visibili le donne; la concezione della natura dominante nella scienza è stata spogliata della sua supposta neutralità ed è stata messa da parte la classificazione naturalistica delle donne; tutta la filosofia, compresa quella dei pensatori di sinistra, è stata abbandonata perché fondata su premesse patriarcali; è stata descritta la relazione tra sessualità e dominio; tutte le dicotomie sono state criticate (corpo/mente, uomo/natura, ect.); è stata esercitata una critica del concetto di classe operaia, nel senso che abbiamo discusso all'inizio; è stata sostenuta l'importanza del lavoro domestico e di quello delle donne del "Terzo Mondo"; è stato rivendicato il controllo del proprio corpo contro tutte le tecnologie riproduttive e le leggi contro l'aborto; e, come ultimo esempio, la generale osservazione che, senza opporsi a tutte le gerarchie "razziali" e di classe, ogni uomo riceve dal sistema il controllo su almeno una donna ed è suo dovere rifiutare questo.

Una parte di queste critiche e specialmente la pratica ad esse associata (su cui di più nel paragrafo VII) hanno di mira direttamente la sinistra storica e quella autonoma perché riguardano i loro fondamenti teorici, le loro strutture interne e le loro prospettive politiche (utopian visions) (su cui di più, ancora, nel paragrafo VII).

Qualcosa di più preciso sulla violenza contro le donne:

«Io credo che l'importanza della violenza fisica e di quella sessuale contro le donne (la violenza psicologica è qualcos'altro benché la sua efficacia sia spesso legata alle altre due) non sia stata capita nella sua piena dimensione (sociale), nemmeno da noi stessi. Troppo poco perciò abbiamo compreso e analizzato i cambiamenti che accadono, perché sicuramente ma solo lentamente, pezzo dopo pezzo, vengono sempre di più allo scoperto, anche quando le difficoltà di arrivare ad una soluzione sono enormi a causa della natura individuale del maltrattamento.
L'abuso sessuale e lo stupro durante l'infanzia non riguardano solo alcune ragazze e donne, ma piuttosto milioni di loro. In particolare, gli abusi sulle bambine - come si sta dimostrando sempre più chiaro - stanno diventando un fenomeno di massa in tutto il mondo.
Questa è la ragione per cui possiamo dire che questo fenomeno marchia il ruolo sociale delle donne. Se i tuoi occhi sono stati aperti, allora avrai almeno qualche idea sulle mostruose e, peggio ancora inconsce conseguenze che l'abuso (sessuale) su una bambina ha sul suo condizionamento. Per il resto della sua vita di donna questo sarà sempre un fattore determinante»

(da una lettera di una donna che ha partecipato alla discussione).

Il patriarcato, com'è stato definito all'inizio, non esiste nel vuoto sociale. E' legato ad altre forme di oppressione ed ha una storia comune con loro in un processo di reciproca stabilizzazione. Così in una società classista, le donne in sè, come esseri astratti, non influenzati dall'appartenenza ad una classe, non possono esistere.

Le forme dell'oppressione contro le donne - e la resistenza ad esse! - sono diverse: quelle della donna borghese sono diverse da quelle della sua donna delle pulizie; quelle di entrambe queste donne sono diverse da quelle di una donna che lavora in un'impresa in Malaysia o da quelle di una contadina in Africa.

Perciò alle divisioni di classe è storicamente seguita una divisione tra movimento istituzionale (borghese) e movimento proletario delle donne.

Ma ad entrambi, al contrario dell'attuale movimento delle donne, mancava una teoria femminista e una vera autonomia.
Il primo era generalmente legato alle politiche riformiste dello stato, mentre al secondo, ad esempio, nel 1935 fu ordinato dall'Internazionale Comunista che non esisteva niente di simile ad una specifica questione femminile.
Le attuali discussioni tra femministe di sinistra e femministe "culturali" rispecchiano, in parte, queste diverse condizioni di classe.

«L'oppressione delle donne non conosce confini etnici o razziali: ciò è vero, ma non significa che sia identica entro questi confini. Occuparsi di uno di questi aspetti senza neanche accennare all'altro significa negare sia ciò che abbiamo in comune che ciò che ci divide».

(Audre Lorde).

«Non c'è nulla di simile al contesto universale del patriarcato...non fino a che si suppone una cospirazione internazionale maschile o un monolitico, meta-storico potere gerarchico. Ma c'è una struttura di potere mondiale in cui ogni analisi della cultura, dell'ideologia e delle condizioni socio-economiche dev'essere collocata necessariamente».

(Chandra Talpade Mohantey)

In questo documento sono già stati dati degli esempi di dimensioni razziste e patriarcali dello sfruttamento capitalista e della penetrazione dei razzismi nella classe e nelle lotte di classe. E più avanti è stata discussa anche la dimensione delle differenze di classe all'interno dell'oppressione patriarcale.

Resta ora la questione dell'importanza dei razzismi - e dell'eurocentrismo - nel patriarcato.

La discussione di femministe nere e bianche su questa questione si è affermata nel movimento delle donne tedesco solo dopo che questo documento era già stato iniziato. Il fatto che questa discussione (molto intensa) fosse tenuta al principio solo nei gruppi di donne non era certamente una coincidenza.

Gli uomini della sinistra, di fronte ad attacchi più violenti o a temi più urgenti, per lo più hanno assaggiato e aspettato. Ed è in questo che la critica del razzismo e dell'eurocentrismo li colpisce in pieno volto, oltre alle accuse per i loro privilegi patriarcali. Le critiche delle femministe nere sono essenzialmente rivolte ad una comprensione della triplice oppressione; in un certo senso, sono la somma delle loro esperienze. La loro critica attacca i razzismi da una posizione femminista ed inoltre considera, analizza e si occupa delle differenze di classe e delle differenze tra metropoli e "Terzo Mondo".

«Due terzi dell'umanità sono di colore e le femministe bianche devono rendersi conto di questo. Devono considerare le condizioni in cui vive il popolo e discutere i rapporti di potere.
Chi ha il potere di opprimere? Qual è la condizione delle donne di colore?
Ogni gruppo oppresso deve avviare e definire un proprio percorso di liberazione.
Ma le femministe bianche devono ammettere di essere parte dell'imperialismo culturale ed economico, di avere un punto di vista etnocentrico e di pensare spesso di avere un'intelligenza superiore a quella di altre parti della popolazione. Quante femministe bianche sarebbero disposte ad accettare la leadership intellettuale di donne africane? Come possono le donne discutere di qualche altro genere di libertà e non considerare il Sud-Africa?
Il femminismo deve confrontarsi con l'imperialismo, i diritti nazionali, i Maori, i nativi americani, le donne nere, altrimenti è un femminismo con la vista veramente corta, privo di una visione globale».

(Gloria Joseph).

«Si è preteso che il razzismo e il sessismo siano processi simili. Ideologicamente, per esempio, entrambi mettono in rilievo differenze biologiche e naturali. Si è detto anche che i concetti di "razza" e sesso rappresentano entrambi delle categorie sociali.
Ma appena viene svolta un'analisi storica è ovvio che essi appaiono diversi e così anche le analisi devono essere differenti.
Il fatto che le donne nere siano oppresse nello stesso tempo da patriarcato, razzismo e dominio di classe è la ragione principale per non introdurre analogie che renderebbero invisibile la triplice oppressione. Non possiamo delineare una sola ed unica origine dell'oppressione.
Ciò che le donne bianche chiamano solo patriarcato noi vogliamo che sia un concetto più complesso.
Troviamo anche che sia difficile separare la condizione di classe dal sessismo perché nella nostra vita li sperimentiamo entrambi contemporaneamente.
Come donne nere siamo necessariamente solidali con gli uomini neri contro il razzismo.
Questa è una solidarietà che le donne bianche, naturalmente, non possono esprimere nei confronti degli uomini bianchi.
Noi combattiamo contro il razzismo con gli uomini neri - ma proprio come combattiamo contro il loro sessismo. La teoria e la pratica femminista delle bianche deve riconoscere che le donne bianche sono l'oppressore nei rapporti di potere con le nere.

Ciò compromette ogni teoria femminista basata sull'uguaglianza di tutte le donne. Tre elementi centrali della teoria femminista (la famiglia, il patriarcato, il lavoro riproduttivo) diventano problematici quando sono applicati alle donne nere.
Il modo in cui il sesso delle donne nere viene socializzato è diverso dalla proposizione della femminilità delle bianche perché vi si aggiunge la componente razzista. (...)

Per le femministe nere è problematica la comprensione della dipendenza della casalinga. La pretesa che questo modello colmi la distanza tra la condizione materiale nella famiglia e l'idea dominante di femminilità non considera il fatto che spesso sono le donne nere a tirare avanti la propria famiglia: gli uomini neri sono spesso disoccupati e le donne non dipendono da loro.

Come si può pretendere che il dominio dell'uomo nero esista e funzioni come quello dell'uomo bianco?
L'esperienza storica della schiavitù, del colonialismo e dell'imperialismo ha sistematicamente messo i ruoli dell'uomo bianco fuori dalla portata degli uomini neri. (...)
Ovviamente i rapporti di potere schiavistici sono anche patriarcali.
Ma c'è una differenza nel comportamento patriarcale subito dalle donne nere da parte di uomini neri e bianchi. (...)
Anche il concetto di lavoro riproduttivo è stato problematizzato: che significato ha in una situazione in cui le donne nere svolgono il lavoro domestico per le bianche?
In questo caso, esse non sono solo lavoratrici salariate, ma svolgono un ruolo in cui garantiscono contemporaneamente la riproduzione delle lavoratrici nere e di quelle bianche nella famiglia.
La tendenza a generalizzare l'oppressione di una categoria così vaga come quella di "donne del Terzo Mondo", fino al punto di perdere ogni significato, è tipica del modo delle donne bianche di manipolare l'unicità di tutte le nostre esperienze ed oppressioni riducendole ai loro concetti e teorie. La definizione di patriarcato è stata introdotta per distinguere le forze sessiste dagli altri poteri sociali, come il capitale.
Ma usando questo termine a sua volta si nascondono altre differenze».

(Hazel V. Carby, The empire strikes back).

«Il modo in cui capitale, patriarcato e "razza" strutturano l'oppressione e lo sfruttamento delle donne nere fa apparire impossibile ed indesiderabile evidenziare un terreno specifico di oppressione su tutti: tutte e tre sono sempre presenti nell'esperienza quotidiana delle donne nere».

(Pratibha Parmar)

La citazione che segue è tratta da un discorso di una donna filippina pronunciato ad un incontro di un gruppo contro lo sfruttamento sessuale e razziale internazionale tenuto a Francoforte.
Si riferiscono direttamente alla situazione in Germania.

Le critiche della donna sono collocate nel normale contesto del movimento delle donne, ma possono essere rivolte all'intera sinistra bianca. Ed è la ragione per cui sono state riportate qui.

«Subire il razzismo bianco, insieme al sessismo, è un obbligo nella vita quotidiana di una straniera in Germania Ovest.
Le viene ricordato continuamente: questo paese non ti appartiene. Si sente persa, indesiderata, inferiore, isolata.
E si vergognano le donne straniere, perché sono considerate delle donne "comprate": sporche, senza moralità.
«Come avete potuto farvi vendere?» sembrano dire le facce delle donne tedesche.
Che ne sapete voi di come vanno le cose a casa nostra? Sapete cosa significa essere sfruttate dalle multinazionali? (...)
Voi ci considerate delle vittime. Vittime? Semmai io sono sicura di non voler essere considerata una vittima, perché avrei paura che voi verreste ad aiutarmi compassionevolmente e a "liberarmi".
Non abbiamo bisogno della vostra compassione, abbiamo bisogno di un'uguale esperienza da parte vostra.
Dopo di che possiamo parlare di solidarietà. La solidarietà richiede un percorso comune: abbiamo bisogno di stare sullo stesso piano, non una al di sopra dell'altra. (...)

E nella loro testa molte di voi si stanno chiedendo: «Perché vi lasciate trattare in questo modo da questi stupidi uomini tedeschi? Perché non divorziate?» Non lo capireste, non accettereste, perché voi giudicate secondo i vostri stessi standard, coscientemente o meno. Perché non avete idea di cosa significhi o di quali condizioni ci siano in casa o di quanto poche siano le loro opportunità. Ma più di tutto: voi non potete accettare che ci siano molte strade per l'emancipazione. (...)

Cosa sono le donne tedesche? Loro si dichiarano nostre sorelle, le nostre sorelle maggiori... Sono le nostre interlocutrici, quelle che discutono con noi dei nostri problemi (le donne tedesche non hanno problemi? perché siamo sempre noi a parlare?). (...)

Sono anche donne dominanti, a causa della loro appartenenza: la loro nazionalità le rende corresponsabili nello sfruttamento dei paesi sottosviluppati del Terzo Mondo. Mostrano una grande solidarietà nei nostri confronti e si uniscono alle campagne per combattere l'oppressione delle donne nei nostri paesi, paesi in cui la guerra è spesso una realtà quotidiana. Cosa conoscete veramente dei nostri paesi? Perché dimostrate solidarietà? Cosa c'è dietro? (...)

Ci sono anche le donne che sono state nei paesi del Terzo Mondo, o in vacanza o per qualche progetto di studi, e che, da quando sono tornate, pretendono di essere delle esperte. Fanno conferenze e discorsi per noi e i nostri movimenti. E per molte di voi loro sono più credibili di noi stesse. (...)

Un'altra ragione per cui le donne tedesche sostengono progetti per le straniere è l'entusiasmo di molte donne di sinistra per la forza dei movimenti sociali e delle lotte di liberazione nel cosiddetto Terzo Mondo. Il punto di partenza è chiaro: le condizioni sociali di alcuni paesi del Terzo Mondo - sfruttamento, corruzione, feudalesimo, imperialismo USA - creano le premesse per i movimenti di liberazione. La situazione di oppressione è la più chiara possibile. D'altra parte, nelle ricche metropoli una simile forza non può svilupparsi, almeno non senza grandi difficoltà.

Ma in molte donne c'è un grande desiderio dell'entusiasmo delle masse, della loro forza, della loro lotta, perché qui non si può averne esperienza.

Ciò è riconducibile all'idea che qualcosa di non familiare dev'essere esotico. Io posso capire il desiderio.

Però è duro sopportare le donne bianche quando cominciano ad insegnarci come condurre le nostre stesse lotte. E' duro quando vogliono - nel vecchio stile coloniale - farsi forti con le loro teorie femministe. E' duro quando, nello steso tempo, pretendono di essere riconosciute per la loro "copertura politica"».

(Liclic Orben-Schmidt)

Di nuovo: tutto quello che è stato detto qui colpisce la teoria e la pratica della sinistra e ancora di più gli uomini della sinistra. Se ciò che qui è stato citato così ampiamente si riferisce principalmente alle strutture delle donne, è semplicemente perché in altri ambiti si è discusso veramente poco di questo e altrove testi così convincenti non sono stati trovati.

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V.

«Lo scopo della teoria non è di elevare la nostra reputazione accademica o intellettuale, ma di offrire opportunità di comprensione della storia mondiale e dei suoi processi per trarne orientamenti per la nostra prassi e cambiarla, se necessario»

(Stuart Hall)

La teoria che vuole riconoscere e combattere i rapporti di oppressione non è una pura e vuota sparata mentale. Essere ostili alla teoria significa disarmarsi parzialmente perché senza teoria può essere riscontrato solo il dominio subito immediatamente, senza capirne la struttura, la storia e la sua dimensione globale.

Per riconoscere questo c'è bisogno di idee, di concetti e di un linguaggio per comunicarle. L'uso di un linguaggio comune unisce; la confusione di termini e le idee confuse dividono.

In tutti i movimenti di liberazione l'appropriazione del sapere, nonostante le condizioni difficilissime, è un aspetto centrale della lotta; la teoria è un'arma e le armi non vengono abbandonate spontaneamente. Chiaramente, l'insieme delle oppressioni di cui stiamo parlando non può essere vissuto da tutti. Più uno è bianco, maschio, ricco e della metropoli, meno ciò è possibile e maggiore è il dovere di solidarietà: capire queste realtà è un processo di apprendimento, così da poter poi praticare una reale solidarietà.

Quello di dominio è un concetto centrale.
Definirlo come un termine dei dualismi uomo/donna, bianco/nero, o capitale e lavoro è insufficiente. Ciò presuppone un isolamento ed una esistenza completamente separata di ciascun termine, il che escluderebbe qualsiasi dialettica.

Il dominio finalizzato allo sfruttamento e alla consevazione del potere è, piuttosto, una pratica multiforme di oppressione sulla base di diverse condizioni che si sovrappongono. Le regole del dominio cambiano costantemente a seconda dello sviluppo storico e le sue strutture materiali e spirituali sono continuamente ricostruite. Non ci sono un capitalismo, un patriarcato o un razzismo meta-storici. Essi, e le loro relazioni, sono un processo in costante cambiamento. Fare una distinzione, in queste forme di oppressione, tra una base materiale ed una sovra-struttura ideologica sarebbe una pura disputa accademica.

Questo perché

«negli ultimi tempi è diventato difficile trovare un interesse di classe semplicemente economico, che non sia permeato dall'ideologia».

(Hall)

E Gramsci, nella "Filosofia della prassi", mette in rilievo il fatto che

«è una distinzione puramente didattica tra forma e contenuto considerare le forze materiali come contenuto e l'ideologia come forma...(perché) la materialità non è storicamente concepibile senza una forma e le ideologie, senza la materialità, rimarrebbero delle fantasie individuali».

La violenta materialità di "ideologie" come i razzismi e l'odio contro le donne è fin troppo evidente. Il dominio non è mai totale: ha delle crepe e la sua internazionalizzazione non è mai priva di contraddizioni.

Le varie forme di oppressione vengono esercitate simultaneamente e in maniera differente nelle metropoli e nel Terzo Mondo.
Esse sono vissute in modo diverso a seconda di quali forme di oppressione si stanno subendo, di quali si sono potute perpretare o impiegare a loro volta e, soprattutto, a seconda che si lotti o meno contro di loro.
Ciò che importa non è la distinzione delle forme di oppressione, ma la loro reciproca articolazione. Nessuna oppressione particolare è completamente separata o completamente ricalcata da un'altra: esse formano una realtà composita.

Non è una cattiva idea concepire il dominio come una specie di rete. Le maglie possono essere più larghe (metropoli) o più strette (Terzo Mondo). I fili possono essere più vecchi (patriarcato) o più nuovi (capitalismo), più saldi (Germania) o più deboli (America centrale). I fili sono intrecciati in modi diversi (per esempio i razzismi sono connessi al capitalismo in maniera diversa che il patriarcato) e la rete viene ritessuta e rinnovata costantemente da molte forze diverse (il capitale, lo stato, i bianchi, gli uomini) cosicché ne catturino altre (le donne, i neri, i lavoratori) e queste la rompono come meglio possono.

Questa visione del dominio come una rete nella quale, in ogni nodo e filo, si conservano sia il sopra che il sotto, ma in cui non si presuppone nessuna causa particolare o contraddizione principale tocca anche la questione del soggetto rivoluzionario.

Se questo non si può far derivare più da qualche dualità o da una causa di particolare importanza, allora ciò significa che a nessun gruppo di oppressi può essere assegnata una posizione privilegiata, di avanguardia.

Determinare il soggetto rivoluzionario facendo semplicemente una somma delle oppressioni (Chi sono i più oppressi? loro devono difendersi di più!) sarebbe una costruzione astratta di tipo matematico che, con gli strumenti dell'aritmetica, assegnerebbe alle lavoratrici nere un ruolo che non hanno mai richiesto.
Accettarle come il soggetto rivoluzionario sarebbe abbastanza comodo per la sinistra delle metropoli perché privo di conseguenze.

Ma la vita e le rivendicazioni delle donne e delle lavoratrici nere può rendere molto bene la dimensione di come dev'essere una prospettiva di liberazione (utopian liberation) che ponga fine a tutte le oppressioni.

In questa prospettiva nessuna specifica oppressione viene minimizzata, ma piuttosto il loro insieme fa vedere tutta la bestia!
La questione di quale sia l'oppressione più importante è stata posta per lo più nella prospettiva di una formulazione strategica.

Così, il movimento operaio socialdemocratico e quello stalinista hanno affermato per decenni che lo sfruttamento dei lavoratori era la più importante rispetto alle altre, che erano "contraddizioni secondarie".
In astratto questa questione non può essere risolta senza arrivare ai più insopportabili paragoni (Cos'è peggio: la caccia alle streghe o la schiavitù? la violenza contro gli uomini neri o quella contro le donne bianche? la guerra nelle metropoli o la guerra nel "Terzo Mondo"?).
In realtà però il problema è diverso. La struttura "a rete" del dominio e il suo esercizio simultaneo e globale esigono che sia posto il problema di ogni situazione immediata di un'oppressione concretamente vissuta ed esercitata.

In questo caso si manifestano differenze nella composizione delle oppressioni: possono essere più o meno razziste, più o meno patriarcali, più o meno imperialiste o capitaliste.

Alcuni esempi: la violenza di un uomo bianco contro una donna bianca è solo superficialmente connessa allo sfruttamento capitalista/imperialista e non ha niente a che fare con il razzismo; un lavoratore bianco alla catena di montaggio non viene sfruttato dai razzismi e, certamente, non dal sessismo, ma il lavoratore nero accanto a lui viene quanto meno oppresso anche dal razzismo; quando dei lavoratori bianchi picchiano un nero, ciò è in primo luogo razzista, benché il loro atto possa avere radici nello sfruttamento capitalista di tutti i lavoratori; quando delle lavoratrici nere combattono contro un capo bianco, giocano un ruolo componenti molto diverse. La lista potrebbe essere infinita come la realtà. E' chiaro che bisogna combattere tutte le forme di oppressione e che ciò dipende dal riconoscimento che è la specifica composizione dell'oppressione a determinare appunto come si combatterà.

Che la lotta contro un elemento dell'oppressione possa creare dei buchi in altre parti della rete (come durante lo sciopero dei minatori inglesi, quando si organizzarono le mogli dei minatori) è un fatto auspicabile, ma è anche verosimile che la rete si stringa in un altro posto a causa di una lotta mal diretta o non portata a termine (per esempio quando le lotte dei lavoratori sono dirette contro i neri o contro le donne con "doppio reddito").

Il rischio di lotte sbagliate o non portate a termine è un buon motivo per la sinistra per abbandonare i propri pretesi sensi di sicurezza e centralità.

Come dice Juliet Mitchell:

«Una classe sfruttata, un gruppo oppresso non può raggiungere alcuna coscienza politica se non ha riconosciuto i rapporti tra tutte le classi ed i gruppi nella società; ripiegandosi in sè stesso non acquisterà mai questa coscienza».

Fine della prima parte (continua)

Klaus Viehmann

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