QUADERNI DI CONTROINFORMAZIONE N.22 - FEBBRAIO 1995

LA TRIPLICE OPPRESSIONE:
RAZZISMO, SESSISMO E CLASSISMO

Klaus Viehmann - seconda parte

[versione inglese]

BANARI

PRIMA PARTE (Quaderno n. 21)

SECONDA PARTE

VI.

Intermezzo: Il fascismo nazional-socialista e la resistenza comunista.

Questo paragrafo non è, comunque possa sembrare a prima vista, fuori luogo perché il fascismo nazional-socialista è l'ambiente storico di una particolare combinazione di capitalismo imperialista, patriarcato e razzismi che è specifica della Germania.

Visto l'odierno imperialismo della Grande Germania, è necessario considerare il passato alla luce del presente. Inoltre, spesso è più facile analizzare le fasi storiche che l'attualità.

L'analisi della sinistra storica della dittatura nazista come la frazione più reazionaria del capitale finanziario spiega il sostegno delle multinazionali al nazismo, ma questo chiarisce solo un aspetto del nazismo.
Non spiega né "il fiasco della classe operaia" né la relativamente ampia base di massa del fascismo nazional-socialista in Germania.

Come per ogni altra forma di nazionalismo, la popolarità del nazismo si basava sulla premessa di appartenere ad una certa nazionalità o "razza" e di vedersi così riservare dei privilegi rispetto a chi non vi apparteneva.
Era anche offerta l'illusione di un'identità, che in realtà non esisteva, ma che era in linea con una certa domanda di ordine e di isolamento.

La capacità di mobilitazione delle ideologie naziste era legata a quella delle altre già presenti: le idee razziste di una superiorità tedesca sulle altre razze; le richieste (da parte dei medici) di eliminare "le vite non degne di vivere", presenti nella tradizione del darwinismo sociale; gli ideali di cameratismo maschile che reagivano con irritazione al cambiamento del ruolo delle donne negli anni '20; le ideologie sulla necessità dello "spazio vitale" e della riconquista delle colonie con una revisione del trattato di pace stipulato a Versailles; e infine, ma non ultime, le ideologie sociali che si opponevano alle lotte di classe e chiamavano alla "unità del popolo".
L'efficacia di queste ideologie fu moltiplicata durante il nazismo perché furono incorporate in un meccanismo statale.

Questo ha portato a quella tolleranza nei confronti dell'annientamento dei "non ariani" e dei militanti della sinistra che abbiamo brevemente ricordato. Il nazismo è stato un caso molto particolare di organizzazione razzista del lavoro.
Specialmente durante l'economia di guerra, lo spettro delle forme di sfruttamento del lavoro attraverso la "truffa industriale" variò da una forza lavoro praticamente non retribuita al lavoro di schiavi e all' "annientamento da lavoro".

La divisione corrispondeva strettamente alla scala "razziale" nazista: la direzione era di tedeschi "ariani", come lo erano i tecnici e i lavoratori specializzati; al livello successivo c'erano "lavoratori civili assunti" forzatamente, occidentali o cechi; più in basso ancora i lavoratori polacchi e in fondo a tutti i prigionieri di guerra sovietici.

Inoltre c'erano le donne e gli uomini nei campi di concentramento - che presto o tardi venivano uccisi - con i distintivi, cuciti sui loro vestiti, in cui erano indicate la loro "utilità" e persistenza. E' importante osservare che questa forza-lavoro non realizzava prodotti elementari, ma piuttosto progetti di alta tecnologia nel settore economico principale! Per esempio, nell'impianto della IG-Farben ad Auschwitz, furono scoperte fianco a fianco forme di oppressione che normalmente ora sono separate da interi continenti o da epoche storiche.

La resistenza proveniva fondamentalmente dai livelli più bassi della gerarchia, ma i prigionieri, sia polacchi, che russi o ebrei, furono generalmente abbandonati dai lavoratori tedeschi. Essi non si comportarono come compagni di classe, ma piuttosto, a seconda della loro posizione nella gerarchia, come "i dominatori". Quelli che dimostrarono solidarietà o erano di sinistra o, semplicemente, era gente che provava compassione, ma si trattava solo di una piccola minoranza su milioni.

Secondo la logica del nazismo c'erano ragioni economiche per annientare gli ebrei e le popolazioni dell'Est, ma in generale quella che venne utilizzata fu un'ideologia razzista.
Essa pianificò l'ordine in cui l'annientamento si sarebbe verificato e le scelte di compiere esperimenti su esseri umani.
In un certo senso, in 12 anni il nazismo si servì, in forma condensata, di tutte le forme storiche di razzismo: la persecuzione degli ammalati e ritardati mentali fino alla loro soppressione; i pogrom contro gli ebrei che condussero all'olocausto; le guerre per conquistare uno spazio coloniale e per sfruttare e sterminare quelli che lo abitavano (i programmi per la ri-valorizzazione dell'Africa erano già stati abbozzati).

Le ideologie nazi non hanno solo mobilitato i loro seguaci per attaccare certi obiettivi, ma li hanno anche imbevuti di brutalità, di idee di "purezza razziale" e del culto del capo che caratterizzavano le organizzazioni di partito. In simili condizioni la soddisfazione della propria volontà di potenza era realizzata prendendo a calci gli "inferiori".

Nella dimensione privata il nazismo, almeno secondo il suo programma, offriva all'uomo la garanzia del controllo su almeno una donna.
Nella sfera sociale, una volta che i razzisti hanno preso il potere, hanno un interesse immediato al controllo delle "loro" donne perché sono indispensabili per la continuità e la purezza della "razza". Tutti i miglioramenti promessi alle donne durante il nazismo sono serviti solo a tenerle in questo ruolo.

E questo ruolo valeva solo per le donne "ariane" - la divisione razzista attraversa entrambi i sessi. Le donne ebree, polacche o russe erano perseguitate a causa della loro nazionalità e "razza" e i loro discendenti erano indesiderati a causa della loro "razza aliena". Non erano lodate come madri, ma piuttosto trattate come "subumane". A Ravensbruk e in altri campi di concentramento esclusivamente femminili c'erano come guardie delle donne tedesche, per quanto fossero le SS concedere loro questo potere.
Le donne tedesche che combatterono contro il nazismo lo fecero perché erano comuniste o ebree e, come tali, erano costrette a combattere.

Il fatto che ci fossero 800.000 donne-soldato nell'Armata Rossa ed altre donne nei movimenti partigiani sia all'Est che all'Ovest è diventato noto solo in anni recenti (grazie, in parte, ad Ingrid Strobl).

La divisione di tutte le donne secondo la loro "razza" e nazionalità, secondo le loro convinzioni politiche e la loro classe di appartenenza, ha dominato - durante il nazismo e la Seconda Guerra Mondiale in generale - le contraddizioni patriarcali di quelle società.

L'essere una donna non ha determinato da quale parte della barricata schierarsi.

«Non è il tenore letterale dello statuto, ma il significato e lo spirito attribuito alle sue parole da combattenti risoluti a decidere il valore di un'organizzazione».

(Rosa Luxemburg).

Non si dovrebbe affermare che il corso della storia sarebbe stato diverso nel 1933 se il KPD (Partito Comunista Tedesco) avesse avuto una linea politica diversa. La sinistra (rivoluzionaria) era debole, aveva pochissimi soldi e ancora meno armi ed aveva di fronte un ampio schieramento di forze borghesi e fasciste.

Ma alcuni aspetti sono degni di nota (e forse si può imparare qualcosa da loro). Fin dai primi anni '20, conformemente al bolscevismo di stile sovietico, il KPD adottò una ferrea gerarchia, il divieto di frazioni dissidenti e la linea del partito diventò un dogma fondamentale, immutabile ed ogni deviazione da esso fu punita con l'espulsione dal partito.

E' ovvio, perciò, che le posizioni cultural-rivoluzionarie e delle donne, che furono bollate come piccolo-borghesi, anarchiche o come contraddizioni secondarie, non ebbero la possibilità di influenzare la direzione del partito.

Con la stalinizzazione del KPD, le donne sparirono completamente dalla direzione del partito (il Politburo). Per non lasciare nessun appiglio alla propaganda nazista, anche gli ebrei comunisti furono allontanati dalla prima linea. Il KPD non era razzista, ma aveva i suoi "buchi bianchi".

Nel suo programma il KPD era molto più progressista degli altri partiti rispetto ai problemi delle donne (per esempio, voleva l'abrogazione di tutte le leggi che proibivano l'aborto), ma sosteneva anche che i problemi delle donne erano contraddizioni secondarie.

E le obiezioni di Rosa Luxemburg nei confronti del Partito Comunista Sovietico si rivolgevano pure al KPD.
Il concetto di solidarietà voleva dire che i proletari con coscienza di classe del KPD erano orientati secondo valori maschili. Le fila del partito non hanno mai contato più del 15% di donne; solo il gruppo semicaritatevole "Rote Hilfe" era costituito per circa la metà da donne.

L'intera dimensione del privato fu separata dagli interessi di classe e questo permise all'oppressione patriarcale di farsi strada nella "famiglia proletaria" di cui la propaganda del KPD esaltava le "ragazze pulite", i forti compagni e le eroiche madri. Questo in parallelo all'Unione Sovietica dove, dopo alcune prime leggi progressiste, la liberazione delle donne fu fatta arretrare dallo stalinismo.

«La struttura psicologica della classe è un momento della sua condizione oggettiva».

Questa frase è tratta da un'inchiesta che fu condotta nel 1929/30 tra alcune centinaia di lavoratori, quasi tutti socialdemocratici oppure membri del KPD.

Uno dei risultati fu che le caratteristiche effettive degli individui di sinistra spesso differivano molto dal programma ufficiale del partito e dalle concezioni progressiste.
La base sicura delle forze antifasciste era effettivamente molto più piccola di quanto si sarebbe dedotto dalla quantità di aderenti e dalla propaganda del KPD e della SPD.

Sicuramente tutti quelli di sinistra odiavano la guerra e desideravano felicità e libertà. Essi obbedivano anche al loro partito - ma questo non significa che fossero necessariamente pronti a rischiare personalmente e a subirne le conseguenze nel privato. Le loro opinioni politiche erano spesso limitate alla sola sfera pubblica e queste opinioni non erano ancorate emotivamente nella loro personalità.

L'indagine proponeva domande come: «Cosa si può fare per migliorare il mondo?».
Naturalmente, i membri del KPD rispondevano: «Dev'essere abbattuta la classe dominante!». Bene, bello, ma quando gli stessi intervistati rispondevano alla domanda se i bambini dovevano essere sculacciati o meno, affermavano che «i bambini devono essere sculacciati, così imparano il rispetto»; o quando, come il 23% dei membri del KPD, contro il programma ufficiale del partito, pensava che le donne non dovessero svolgere un lavoro salariato, allora, ovviamente, c'era qualcosa di sbagliato. (Questa inchiesta raccolse un numero di particolari molto più grande di quello che è possibile riportare qui).

Di tutti i membri del KPD, socialdemocratici e della sinistra socialista esaminati nell'inchiesta, solo il 15% aveva un comportamento rivoluzionario sia sul piano del programma politico che su quello personale/privato.
Solo da questa minoranza ci si sarebbe potuto aspettare, in periodi critici, «che avessero fatto appello al coraggio, allo spirito di sacrificio e alla spontaneità necessari per guidare gli elementi meno attivi e per sconfiggere il nemico».

Un altro 25% era valutato come «fidato, ma non attivo» e il resto era indifferente o, nella sfera privata, assolutamente reazionario.
Nel KPD c'erano dei veri rivoluzionari - quelli che lo erano anche nella sfera privata - circa quattro volte di più di quelli che c'erano tra i socialdemocratici, specialmente tra i "quadri".

Ma questo non deve far supporre che solo i quadri fossero dei buoni rivoluzionari. In particolare questo era vero per i comunisti non stalinisti che da molto tempo non erano membri del KPD e che non furono presi in considerazione dall'inchiesta. D'altra parte, al tempo dell'inchiesta molti membri del partito erano entrati nell'organizzazione solo da pochi mesi e l'oscillazione degli individui tra partiti di destra e di sinistra era molto alta. (Bisogna fare un'osservazione necessaria sul rapporto tra coscienza politica e condotta personale: l'inchiesta ricordata sopra fu svolta solo con un questionario; se si fosse esaminato il comportamento effettivo - anche dei rivoluzionari "nel privato" - allora, senza dubbi, i risultati sarebbero stati perfino più avvilenti).

Ora, chi non sarebbe curioso di conoscere quali risultati avrebbe un'inchiesta simile tra i gruppi e le organizzazioni della sinistra di oggi?

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VII.

«I tentativi di dare un nome al soggetto collettivo di un cambiamento sociale generale sono finiti generalmente nell'una o nell'altra palude: o si è designata un'organizzazione, un partito o un sindacato, e allora il soggetto rivoluzionario non è un soggetto in carne ed ossa, ma piuttosto un'istituzione esterna ai suoi membri, ma che può essere identificata esattamente attraverso il suo programma, i suoi ruoli interni e gli elenchi degli iscritti; oppure non si è designata un'organizzazione, ma piuttosto una tendenza - un'area di soggetti individuali - la cui consistenza non è identificabile in modo attendibile e il cui programma non è rintracciabile, ma dev'essere ricavato per interpretazione»

(Rudi, un compagno autonomo svizzero).

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Queste due paludi si possono evitare quando parliamo, qui, della sinistra autonoma.
Questa è certamente una tendenza, senza un'organizzazione rigida o un programma stabilito. I temi su cui la gente si aggrega sono determinati dalla questione in gioco e cambiano nel corso del tempo.

Cosa si intende per sinistra autonoma sarà più chiaro leggendo più avanti. La sinistra autonoma non è disposta ad un cambiamento rivoluzionario e la maggior parte degli autonomi non vuole nessuna struttura saldamente organizzata.
Il movimento è più un'espressione di ribellione che di resistenza al potere.
A dispetto di occasionali iniziative e affermazioni in senso contrario, è un orientamento difensivo - di cui non bisogna sorprendersi dati i rapporti di forza in Germania.

Gli autonomi fanno parte integrante della storia: il movimento non è saltato fuori dal nulla nel 1980.
Non è una coincidenza che esso non sia venuto alla luce tra le fila dei lavoratori dell'industria. Non è una coincidenza che esso sia bianco e quasi esclusivamente tedesco. Non è una coincidenza che non sia mai stato una forza esplicitamente antipatriarcale con delle donne alla sua testa.

Tutto questo sopravvive sotto forma di "buchi bianchi" nella sua teoria e nella sua pratica.
I rapporti di oppressione dentro le fila degli stessi autonomi restano invisibili e alcuni di quelli generali sono colti solo in modo astratto, senza trarne le conseguenze.

Questo è stato notato sempre a malapena, sebbene l'orizzonte della pratica - che è limitato a causa di questi "buchi bianchi" - possa essere riempito fino all'orlo con le iniziative nei campi in cui la sinistra autonoma è/era forte (per esempio le occupazioni, le azioni antinucleari, l'Hafenstrasse ecc.).

Sfortunatamente, il risultato di rendere invisibili queste oppressioni è che le stesse vittorie del movimento e le sue campagne vengono sopravvalutate.
Invece di misurare il successo della lotta contro tutte le oppressioni, spesso ogni cosa viene riferita a sé stessi e ai propri progetti.
E' tipico dei movimenti auto-referenziali presentare un grande divario tra lo stato delle condizioni immediate e gli obiettivi a lungo termine e le prospettive (utopias), perché la realizzazione della prospettiva (utopia) dev'essere preceduta dal riconoscimento dell'oppressione altrui e dal riconoscimento dei potenziali di lotta esterni alle proprie strutture.

Meno si fa questo e più il movimento diventa ostinatamente auto-referenziale e meno questo si nota.
Essere di sinistra, allora, significherebbe semplicemente approvare i propri progetti e stili di vita e non la comune opposizione contro tutte le oppressioni e la solidarietà con tutti gli oppressi. (La campagna contro la riunione del FMI a Berlino nel 1988 è stata un bell'esempio di un almeno parziale superamento di questa auto-referenzialità).

«La sinistra autonoma: a quale classe appartiene? di che sesso è? di che colore e nazionalità?»

Allora, una cosa per volta.

Collocazione di classe: il che non significa far rientrare dalla finestra l'economicismo cacciato prima dalla porta: le "verità" rivoluzionarie non si possono dedurre da una certa collocazione nel processo di produzione.

Ma la collocazione di classe significa molto di più: è un condizionamento profondamente radicato dei comportamenti. Un bambino di una famiglia proletaria ha esperienze diverse e le giudica diversamente da uno di famiglia borghese.

La fabbrica - a seconda della collocazione di classe - è un territorio normale oppure esterno.

Nello stesso tempo, le esperienze razziste e patriarcali dipendono dalla classe di appartenenza. Anche gli obiettivi politici ne sono condizionati: i lavoratori orientati a sinistra spesso combattono una guerra quotidiana contro i loro capi e chi è al servizio del capitale; chi ha la comodità di studiare può occuparsi di attività più generali (nulla da dire contro l'una o l'altra cosa!).

Le condizioni di classe determinano anche gli stili di vita (qualcosa che è spesso importante per gli autonomi). Lavorare in una fabbrica significa dover andare a letto presto. Se devi indossare una tuta o una divisa di qualche impresa tutto il giorno, allora sei obbligato a preferire vestiti diversi rispetto all'autonomo medio. Se diventi un apprendista a 16 anni, allora non hai molte possibilità di calcare per anni la scena della sinistra di qualche grande città.

Gli stili di vita degli autonomi - comprese le donne autonome - sono inaccessibili per molte condizioni di classe. Ci sono delle eccezioni, ma non hanno influenzato molto il grosso della sinistra autonoma e la sua composizione.

La condizione di classe piuttosto diffusa tra gli autonomi, che non è certamente una condizione proletaria, crea a perpetua dei "buchi bianchi".

I problemi dei rapporti politici si fondano in parte su elementi ideologici degli autonomi che spesso si vedono e si considerano come "non lavoratori" (il che spesso contrasta con le loro effettive condizioni).

D'altro canto, questa considerazione di sè è dovuta al fatto che gli autonomi si mantengono con i soldi che danno loro lo stato o i genitori - e questo ha molto a che fare con la condizione di classe.

Gli scioperi degli operai dell'industria sono visti come avvenimenti esterni, a meno che non ci sia un grande interesse dei media o non vengano coinvolti gli sbirri. Si sovrastima l'importanza della repressione statale, mentre la violenza economica viene sottovalutata.

Cosa accade nelle piccole imprese e nelle grandi fabbriche in termini di razionalizzazione o di piccole guerre di sabotaggio è noto solo a pochi autonomi specialisti.

La conoscenza dei vincoli (internazionali) del capitale e la ristrutturazione si imparano dai corsi di economia piuttosto che dal punto di vista dei lavoratori.

Modi diversi di lottare e dimostrare solidarietà, comuni tra i lavoratori di entrambi i sessi, spariscono abitualmente nei "buchi bianchi".

Questo porta spesso ad una generale denuncia dei lavoratori come stupidi esseri ottusi che devono solo biasimarsi se devono andare ogni giorno a lavorare.

«Un maschio patriarcale non può essere di sinistra».

(Ogni femminista)

Il sesso della sinistra autonoma: mentre la collocazione di classe e l'essere bianchi non hanno rappresentato un problema per il movimento autonomo, lo stesso non può dirsi per le sue strutture patriarcali.

Questo è lavoro delle organizzazioni delle donne e delle critica femminista.

La cosiddetta "neutralità sessuale" della sinistra è stata smascherata perché basata in effetti sul cameratismo maschile; la liberazione dei lavoratori, in realtà, era la liberazione dei lavoratori maschi; la sinistra come pretesa zona liberata e modello della prospettiva (utopia) è stata riportata sulla terra attraverso la realtà dei rapporti ("privati") tra uomo e donna.

Se si considera la profondità di questa critica, non c'è da meravigliarsi che essa si sia dovuta aprire la strada nella sinistra combattendo, anche nella sinistra autonoma.

Tre esempi negli ultimi 20 anni:

«Noi vediamo che avete un muro davanti agli occhi, perché non riuscite a vedere che è senza le vostre azioni che la gente si sta organizzando, e in numero tale che pensereste che sarebbe il sorgere dell'Aurora Rossa se solo si trattasse di lavoratori»
(Helke Sander a una conferenza del SDS alla fine degli anni '60)

«Un carnevale di femministe, che si muove suonando musica pop, mascherate, spargendo vernice e puzzando del tanfo di una fetida ideologia»

(questo è il modo in cui il KBW, all'epoca la più grande organizzazione marxista-leninista, descriveva una manifestazione di donne. Le femministe, secondo il KBW, erano «in realtà reazionarie» e dovevano essere «combattute spietatamente». Oggi, i vecchi quadri del KBW sono nell'ala "pragmatica" dei Verdi).

Nel 1989 fu fatto pubblicare un documento strategico per una conferenza della "Sinistra Radicale" in cui non c'era nessun accenno alla teoria femminista. Solo dopo molte proteste venne aggiunto questo argomento, ma secondo molti partecipanti i contributi delle femministe in realtà non vennero ascoltati, almeno non dai tardo-sinistri alla presidenza.

Le conseguenze di queste contraddizioni possono essere riassunte in un altra citazione:

«L'organizzazione autonoma è stata posta in rilevo in particolare nei confronti delle organizzazioni della sinistra tradizionale, che hanno sempre rivendicato una leadership rispetto all'organizzazione, all'ideologia e al programma. In questo senso, la rivendicazione dell'autonomia da parte delle femministe significa il rifiuto di tutte le tendenze che subordinano la questione femminile e il movimento delle donne ad altre questioni o movimenti apparentemente più generali.
L'organizzazione autonoma delle donne è l'espressione della loro volontà di rendere il proprio carattere e la propria identità qualitativamente diversi all'interno di una forza indipendente e fondante per il movimento femminista».
(Maria Mies).

Alcuni autonomi non lasciano emergere il loro atteggiamento apertamente - per il quale sarebbero attaccati alle donne - perciò decidono che la cosa più intelligente da fare è essere "neutrali" verso i punti di vista delle donne.

Questa neutralità previene i conflitti con le strutture delle donne, che sono diventate più forti, ma non conta molto per cambiare queste strutture o la propria coscienza.

I vecchi atteggiamenti sono solo dissimulati e le occasioni per fare violenza continuano ad esistere, come dimostrano sfortunatamente molti esempi.

«Finora la denuncia di questo è stata moralista nel tono e questo argomento preferibilmente è stato abbandonato nelle mani degli assistenti sociali e degli psicologi. In ogni caso, non fa parte della loro politica. Non ne fa parte per tutta la sinistra e sicuramente non per i maschi.
Ciò che immagino per le strutture miste è che le donne esigano dai maschi di combattere politicamente e in modo organizzato la violenza contro le donne esercitata da loro e dal loro sesso nella società.
Devono lavorarci sopra, pensarci e decidere se vogliono essere una parte del problema o una parte della sua soluzione».

(Da una lettera di una donna che ha partecipato alla discussione)

La critica antipatriarcale accolta dagli uomini ha la stessa mancanza di credibilità espressa nella citazione di Cheryl Bernard che segue sul comportamento antirazzista dei bianchi.

Ma ciò nonostante le posizioni vanno rese note perché solo allora si possono fare delle critiche.

E la critica è necessaria per il cambiamento. Un colpevole silenzio o un atteggiamento "morbido" non sono una buona cosa in tempi critici.

Nei posti in cui le organizzazioni delle donne sono meno attive i "buchi bianchi" sono particolarmente grandi.

Ma qui gioca un ruolo anche l'ostilità verso la teoria perché i rapporti di oppressione che non si possono sperimentare sulla propria pelle possono essere conosciuti solo attraverso la teoria (naturalmente con le conseguenze pratiche che ne derivano).

L'ostilità verso la teoria inoltre viene sentita moltissimo a seconda del sesso con conseguenze immediate sulla sinistra per i rapporti tra uomini e donne.

I testi più astratti degli autonomi sulle strategie e le questioni globali si collocano anche in un contesto femminista, ma nella misura in cui questi elementi sono stati introdotti da donne.

Normalmente ci sono solo alcune osservazioni sul patriarcato (quella di "razza" è una categoria virtualmente inesistente) e perfino queste sembrano però esserci state ficcate all'ultimo momento invece di esserci arrivate con effettive riflessioni politiche.

L'importanza e l'estensione dell'oppressione patriarcale è più o meno ignorata.

«Il bianco offre il suo rifiuto dei valori dominanti come prova di una comunanza di interessi e pone i problemi in più categorie che riguardano entrambe le "razze" (alienazione, capitalismo ecc.), ma questo è credibile solo fino ad un certo punto perché i suoi doveri non saranno mai come quelli del nero e perché egli può far uso dei privilegi della sua "razza". Allora il debole è subordinato alla comprensione del potente, invece che alla sua violenza».

(Cheryl Bernard)

La sinistra autonoma, in quanto bianca, gode in Germania dei suoi privilegi, che lo voglia o meno.

Il fatto che questi "buchi bianchi" potenzialmente razzisti vengano discussi nel movimento delle donne non ha ancora toccato la sinistra autonoma nel suo complesso. Ma nessuno pretenderà che i suoi buchi bianchi abbiano meno bisogno di essere corretti.

Le campagne antirazziste, come quelle contro la Shell e la Daimler in Sud-Africa, sono tutte buone e giuste - ma non provano il contrario.

Questa solidarietà è praticata da una distanza tale che quelli che ne sono destinatari difficilmente possono raggiungere con le loro rivendicazioni e con le loro critiche gli individui della sinistra.

Questa solidarietà viene espressa secondo i codici locali e perpetuando il comportamento abituale.

Non esige niente di nuovo dal momento che queste campagne vengono considerate allo stesso modo delle altre.

Questa solidarietà è diversa da quella nei confronti di chi subisce il razzismo nel proprio ambiente.

Questa gente potrebbe mettere in discussione le politiche e gli stili di vita degli autonomi (per esempio, un immigrato clandestino dal Cile si chiedeva perché una giacca di pelle e una kefya significassero immediatamente che uno era di sinistra).

Questa gente noterebbe i "buchi bianchi".

Per esempio:

«Quelli di sinistra non riescono ad immaginare che i rifugiati o gli immigrati possano voler qualcos'altro che il provare ad essere come loro: quello che loro preferirebbero è un immigrato dallo spirito libero, socialista, internazionalista, colonizzato, non un musulmano, un adoratore di idoli o un ebreo»

(Memmi)

Da più di 20 anni milioni di immigrati e rifugiati vivono in Germania occidentale.

Essi non sono mai stati presenti nel movimento nel '68, né hanno mai fatto parte della fila degli autonomi.

E questo in parte perché essi stessi non lo vogliono ed in parte anche a causa della loro collocazione di classe.

Finito il lavoro, molti immigrati scompaiono nella sfera privata ed anche nelle organizzazioni che si occupano del loro paese d'origine.

Ma anche la "neutralità razziale" della sinistra tedesca li ha resi invisibili e loro hanno giocato un ruolo solo in piccoli gruppi e campagne.

A causa di un metodo di analisi eurocentrico, i razzismi sono stati visti solo come dovuti all'istigazione capitalista o alle ideologie nazi: che questi razzismi rappresentino delle oppressioni concrete e dei modi di vivere altrettanto concreti è stato trascurato.

Le comunità di immigrati presenti qui vengono considerate come il risultato dei razzismi e non si è mai tentato o non ci si è mai sforzati di comunicare con loro.

La ragione di ciò è probabilmente che la sinistra autonoma - e non solo quella - ha avuto un atteggiamento paternalistico nei confronti, per esempio, dei "turchi".

Le campagne vengono intraprese e portate a termine senza alcuna conoscenza delle loro organizzazioni, delle loro modalità di azione, delle loro legittime paure verso la polizia per stranieri.

Il solito argomento che la maggior parte della gente turca non vuole alcun contatto con la sinistra tedesca trascura il fatto che la solidarietà è possibile solo tra parti uguali - parti che devono riconoscersi reciprocamente.

E non ogni relazione personale deve essere immediatamente politica.

L'amicizia si basa sul rispetto. E proprio questo è ciò che molta gente non prova per i "turchi".

Ancora un po' di esempi di tipici errori di giudizio provocati dai "buchi bianchi" e dall'eurocentrismo: durante la ristrutturazione non sono dei lavoratori "razzialmente neutrali" ad essere licenziati per primi, ma piuttosto i non tedeschi; nel "Terzo Mondo" non è una classe inferiore "razzialmente neutrale" a morire di fame, ma i neri poveri; c'è qualcosa come una "femminilizzazione" della povertà, ma in Germania la "turchizzazione" della povertà normalmente viene prima; la violenza dello stato non è diretta in modo "razzialmente neutrale" contro tutti quelli che resistono, ma anzitutto contro gli stranieri, che "ci guadagnano" più problemi e condanne a reclusioni più lunghe.

E la lista potrebbe allungarsi facilmente.

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VIII.

«Il problema dell'unità si basa sulla definizione del nemico. Ciò significa che solo le persone che identificano il loro nemico in un modo almeno molto simile possono sperare di unire le loro forze».

(Neville Alexander)

Da queste pagine di critica dei "buchi bianchi" sorge come conseguenza una domanda.

Ma non vogliamo cadere nella vecchia trappola di escogitare dei piani astuti e poi aspettare che vengano eseguiti.

Qui ci sono solo alcune altre considerazioni generali e delle proposte per fare di questo documento qualcosa di più di un scritto da mettere in ordine in un archivio.

La definizione del nemico può essere più completa se si analizza la triplice oppressione.

Una conoscenza incompleta del nemico porta sempre a lotte di liberazione e a prospettive (utopias) di respiro limitato.

O viene sottovalutato l'aspetto razzista del nemico e si trascura la liberazione dei neri, oppure si passa sopra al suo aspetto patriarcale e rimane l'oppressione delle donne, oppure non si considera il suo aspetto capitalista e ne subiscono le conseguenze i lavoratori (ed altri).

Conseguenze pressanti della triplice oppressione:
*) la consapevolezza dell'impossibilità di separare le lotte contro tutte le oppressioni;
*) la consapevolezza dell'esistenza di diverse oppressioni e il riconoscimento della parte, oppressa o privilegiata, a cui si appartiene;
*) il rifiuto della tendenza che si focalizza sui propri interessi in modo tale che le oppressioni da cui la sinistra di questo paese non viene colpita troppo siano considerate come più importanti.

La rivendicazione della felicità personale dev'essere valutata in rapporto a quella dei meno privilegiati.

La vecchia contraddizione tra una strategia della propria liberazione nella vita e nell'ambiente circostante ed un lavoro rivoluzionario disinteressato contro oppressioni lontane è sempre stata presente nella sinistra autonoma.

Prendere seriamente in considerazione la triplice oppressione porterebbe a scegliere quest'ultima strada.

Per quanto riguarda le strutture interne della sinistra autonoma, dalla triplice oppressione deriva la necessità di organizzazioni autonome basate sulle diverse oppressioni dentro e fuori la sinistra autonoma.

Il movimento delle donne ha già lottato e raggiunto questa autonomia e piuttosto che aspettare di convincere la sinistra si è creato una propria base di forza.

Questo è un presupposto del cambiamento perché i rapporti "interni" di oppressione sono anche rapporti violenti.

Non possono essere cambiati armoniosamente, ma solo spostando i rapporti di forza.

Se non fosse stato fatto questo, fino ad oggi le posizioni delle donne non si sarebbero affermate.

Il riconoscimento di una triplice oppressione richiederebbe anche un'organizzazione autonoma dei lavoratori sia dentro che fuori la sinistra autonoma cosicché essi possano affermare le loro posizioni.

Ma di più: la sinistra autonoma deve avanzare di più nella lotta contro il capitale.

Sfortunatamente i gruppi di lavoratori esistenti sono troppo piccoli.

Ed infine ma non ultimo, la triplice oppressione richiede anche l'organizzazione di non tedeschi, neri ed immigrati.

Solo sulla base di diverse forme di autonomia è possibile una unità che non sia possessiva, soffocante o diseguale.

Le alleanze si possono formare meglio sulle proprie forze che sulla necessità determinata dalla debolezza.

Di nuovo: l'amicizia si basa sul rispetto. La sinistra bianca nella sua interezza ha tradizionalmente avuto la tendenza a considerarsi detentrice di una completa e rigorosa visione della verità.

Comunque, un riconoscimento della triplice oppressione deriva dalla percezione che anche "gli altri" (a seconda del sesso, della "razza" e della collocazione di classe) fanno esperienze di oppressione e di resistenza, esperienze che, in ogni caso, non ci sono accessibili soggettivamente e che oggettivamente possiamo conoscere solo parzialmente.

Autonomia significa capire che ogni individuo o gruppo può decidere solo da sé come difendersi.

Tradotto, questo significa la fine dell'ideologia eurocentrica e della "coscienza missionaria".

Questo presupposto altruismo - persino se realizzato solo parzialmente, perché in un movimento rivoluzionario una morale simile dovrebbe avere un suo valore - non è solo una categoria morale.

Piuttosto dovrebbe essere un'espressione della consapevolezza che ci può essere liberazione solo eliminando tutte le oppressioni, dimodoché esso è più di una categoria politica.

Per essere più concreti: il nemico, nell'apparenza esteriore del sistema tedesco occidentale alla testa del nuovo superpotere europeo, sta assumendo una forma più chiara.

Lo sfruttamento capitalista (specialmente nell'ex-Germania Est) e l'influenza imperialista della Germania stanno crescendo nettamente.

Sebbene sia difficile concepirne un qualunque possibile incremento, anche le contraddizioni rispetto al "Terzo Mondo" si sono inasprite.

I razzismi stanno cambiando e, nel loro insieme, stanno diventando più forti: contro la gente turca, i rom e i sinti, i polacchi, i vietnamiti e i monzambicani.

Anche le donne vengono ricacciate nella famiglia ed estromesse dalle posizioni che si erano conquistate.

Tutto ciò è evidente e ben noto, sicché non c'è bisogno di aggiungere altri dettagli qui.

Alla luce della triplice oppressione tutti questi cambiamenti possono essere analizzati come oppressioni, possono essere colti come un insieme e combattuti come tali.

Ma questo dipende dalla realizzazione che è impossibile separare queste lotte ed ignorare le conseguenze (organizzative) che queste lotte implicano.

Lo scopo di questo documento è rendere riconoscibile e forse spingere un po' avanti questo processo.

Speriamo che questo sia stato chiaro.

Klaus Viehmann

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Prima Appendice

Nell'estate del 1990 ho messo insieme, in forma scritta, la discussione precedentemente intrattenuta con delle donne ed alcuni uomini che mi avevano scritto o visitato per anni.

La discussione ebbe luogo nelle condizioni della mia prigionia. Questa discussione ha (perciò) comportato anche molto tempo sprecato e, per ragioni pratiche, su certi punti è stata inevitabilmente vaga.

In seguito i risultati furono discussi ancora una volta e rielaborati finché tutti ebbero la sensazione che si sarebbero potuti pubblicare.

Ma questo è in ogni caso un documento di discussione: non tutti gli interventi individuali nella discussione vi sono riportati nella loro interezza.

Poi ci proponemmo di distribuire questo documento senza far apparire il nome degli autori in modo che il suo contenuto potesse parlare da solo.

Ma riflettendo abbiamo notato che, nell'area della sinistra autonoma, il non rendere noti i nomi degli autori, cioè non menzionare il nome di nessuno di essi, sembrava supporre che dovesse restare segreto da dove provenisse il documento.

Tuttavia, la circostanza che sia apparso solo il mio nome sul documento non dovrebbe nascondere il fatto che io stesso abbia incontrato molti problemi, prima a causa delle sollecitazioni delle donne e poi di quelle dei testi femministi e del movimento dei neri.

Queste influenze sono - spero - molto evidenti in questo testo.

Anche il rifacimento della raccolta originale degli interventi è stato un lavoro collettivo; ma questo non basterebbe a condizionare ogni mia futura autocritica.

Tuttavia le reazioni non dovrebbero arrivare (solo) sul tavolo della mia cella, perché la discussione sulla triplice oppressione ha bisogno di progredire alla luce del sole e non di restare "incollata" ad una cerchia di iniziati.

Durante gli ultimi sei mesi, la discussione su "La triplice oppressione" è continuata; in questa discussione la questione di prospettive (utopias) che vadano al di là del proprio ghetto gioca un ruolo equivalente a quello di un'attenta analisi dei rapporti tra il Tri-Continente e le metropoli nel sistema capitalista mondiale.

Inoltre c'è e ci sarà sempre l'eterna questione di come uomini privilegiati, in particolare i bianchi, possano partecipare alla discussione di temi che riguardano principalmente le donne, in particolare le donne di colore.

I risultati di questa discussione non possono essere riassunti con dei semplici "Si" o "No".

E' possibile che in seguito ci sia un altro documento di discussione.

Un altro aspetto di questo documento è il seguente: il testo è un esempio di come le discussioni dovrebbero e potrebbero essere condotte tra i prigionieri e quelli che stanno fuori.

Carcere di Werl, gennaio 1991

Klaus Viehmann

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Seconda appendice

Questa nuova edizione è stata suggerita dalle discussioni di due anni e mezzo fa, verso la fine degli anni '80, riassunte con il titolo "La triplice oppressione".

Il crollo della Germania Est e dell'URSS, la guerra nella ex-Yugoslavia e la Guerra del Golfo non erano ancora accadute.

"La triplice oppressione" venne alla luce prima di Hoyerswerda, prima di Rostock e prima dell'ondata di attacchi fascisti ai rifugiati, ai disabili, ai senza casa, agli omosessuali e alle persone di sinistra.

Negli ultimi due anni la situazione è cambiata anche per i residui della sinistra autonoma; l'evoluzione delle RZ e dalla RAF sono giusto un esempio di come sia esile il divario tra cambiamento radicale e disorientamento.

Originariamente "La triplice oppressione" era stata immaginata semplicemente per dare una forma scritta ad una discussione più lunga la cui pubblicazione fu praticamente una coincidenza e sulla cui ampia circolazione i promotori non avevano mai realmente contato.

Molte cose ne "La triplice oppressione" sono solo abbozzate, solo cominciate perché la triplice oppressione e la critica del razzismo erano un terreno nuovo nella Germania della fine degli anni '80, perciò difficilmente c'era qualche discussione su questo in lingua tedesca.

Gli altri promotori, più attenti alla pratica, ed io, costretto alla teoria dal mio status di prigioniero, trovandoci spesso senza alcuna chiave interpretativa quando affrontavamo la complessità dei problemi, ci eravamo accordati su un'applicazione conseguente, nella nostra stessa discussione, delle conclusioni della triplice oppressione alla realtà del mondo, alla teoria e alla prassi della sinistra ed infine, ma non ultimo, a noi stessi.

Noi non avevamo, né abbiamo ora, alcuna conoscenza di tutti gli aspetti delle sue strutture fondamentali: l'oppressione di classe, il patriarcato, il razzismo; sicuramente non abbiamo nessuna conoscenza delle loro infinite relazioni reciproche.

"La triplice oppressione" era ed è un documento di discussione ed una critica alle realtà della sinistra e, come tale, non può mai essere esaustiva.

Sicuramente non è un documento di consultazione da cui la gente prende solo quei pezzi di cui ha bisogno.

Il nocciolo del documento resta lo stesso: la diffusione delle analisi della triplice oppressione come mezzo per migliorare la nostra comprensione della totalità sociale e le relazioni reciproche tra la teoria e la pratica anticapitalista, antipatriarcale e antirazzista.

Gli avvenimenti ed i cambiamenti dell'anno passato hanno mostrato ancora una volta l'importanza di questo.

Per esempio, i nazionalismi stanno rimpiazzando le analisi tradizionali e le aberrazioni mentali degli (ex) militanti di sinistra che attribuiscono un volto umano all'imperialismo parlano da sole.

L'avanzare della destra e della sua ideologia non si può combattere con le strategie antifasciste degli anni '20 e '30 che non conoscevano affatto le critiche antipatriarcali e ancora meno le (nuove) critiche dei razzismi.

Le strutture interne dell'area autonoma, che sono chiaramente attaccate ne "La triplice oppressione", hanno bisogno di essere criticate - purtroppo oggi non meno di alcuni anni fa.

Le reazioni a "La triplice oppressione" generalmente furono selettive e il documento fu interpretato come essenzialmente "antirazzista", nel senso che avrebbe sostituito con questo tema attuale le critiche al capitalismo e al patriarcato.

Sarebbe un'amara ironia se la trasformazione della vecchia "contraddizione principale", la lotta di classe, fosse ricompensata con l'insidiosa introduzione di una nuova "contraddizione principale": il razzismo...

La proposta di un modello interpretativo "a rete", contenuta ne "La triplice oppressione", era vista come un superamento delle concezioni dualiste e moniste.

Naturalmente una "rete" è un'immagine presa dalla meccanica e non può mai dare una rappresentazione piena della complessità della triplice oppressione.

Ma come proposta, rappresenta un progresso rispetto ai semplicistici schemi tipo "vertice/base" e perciò è tuttora utile.

Ne "La triplice oppressione" i concetti erano usati in modo da dargli efficacia di nuovi contenuti da usare nell'analisi della triplice oppressione.

Per esempio, le "definizioni" date ai vari tipi di lotta non erano corrette e creavano divisioni dove divisioni (ora) non dovrebbero essere fatte.

Anche il concetto politico di "nero" non può essere definito universalmente perché alcune donne immigrate ed ebree non si adattano alla definizione corrente di "nero".

Il fatto che questi esempi di imprecisione siano presenti nel documento, anche fino ad oggi, è causato dalla paradossale difficoltà per cui mentre i concetti nuovi nascono innanzi tutto da una nuova pratica e da nuove forme di comprensione, i concetti vecchi e già esistenti non possono adattarsi completamente a questa nuova pratica e a queste nuove forme di comprensione.

In questa seconda appendice, i limiti di spazio e tempo rendono impossibile correggere tutti i difetti de "La triplice oppressione".

Ma alcuni di questi errori devono essere messi in rilievo e questo può servire come esempio di un modo possibile di allargare e far progredire la discussione sulla triplice oppressione.

In primo luogo, due errori importanti. Ne "La triplice oppressione" manca completamente ogni critica da parte del movimento dei disabili rispetto ai concetti di progresso e produzione che parti della sinistra hanno preso in prestito dall'ideologia borghese.

L'idea della sinistra di «un'utopia dove le persone sono liberate dal dolore e dalla tristezza» contiene «una forma nascosta di violenza che al più tardi esce allo scoperto quando l'efficacia terapeutica raggiunge i suoi limiti perché i pazienti hanno dimostrato di saper resistere alla terapia. (...)

Non c'è spazio per vecchi, ammalati, disabili e socialmente "devianti" in questo quadro di umanità. Essi si trovano anche in un gradino più basso nella scala della gerarchia sociale dei valori ed è messo in dubbio il loro stesso status di persone. E' a questo punto che entrano in gioco le fantasie e i piani di morte dei vecchi e nuovi propagandisti della "eutanasia".

L'astratto sviluppo delle forze produttive come motore del processo dell'evoluzione storica evita una discussione sul contenuto e la qualità effettiva del "progresso sociale e tecnologico". E in quei posti in cui delle persone non sono riuscite a seguire la logica dello sviluppo storico o non ha soddisfatto le richieste di una società socialista dei lavoratori, degli economisti comunisti cercano di adattarle alle condizioni e di intervenire per migliorarle - magari usando l'ereditarietà e la biologia umana.

Contro questo scenario, anche le utopie di sinistra di un "uomo nuovo" perfetto devono essere messe in dubbio considerate le implicazioni delle loro forme subliminali di violenza»

(da Etica della morte. Contributi contro l'eutanasia e l'eugenetica, Associazione Libertaria Editrice)

Un esame del genere non c'era ne "La triplice oppressione".

Un altro errore significativo è stata la eccessiva brevità della discussione dell'antisemitismo.

Nel documento l'antisemitismo è stato trattato come un aspetto del nazional-socialismo, tagliando fuori così la sua storia secolare sia prima che dopo Auschwitz.

I razzismi in Germania non si possono capire, per lo meno non completamente, senza riconoscere la persecuzione degli ebrei.

Ne "La triplice oppressione", a parte la digressione sulla resistenza comunista, non c'era nessuna descrizione significativa delle lotte dei partigiani ebrei e dei combattenti dei ghetti che resistettero al meccanismo di sterminio.

Ciò è descritto bene nelle considerazioni di Bernard Goldstein (Le stelle sono testimoni), Marck Edelmann (Al cospetto di Dio) ed altri. Nella successiva discussione tra gli originari promotori de "La triplice oppressione" sono state messe in luce due questioni che io qui posso solo descrivere dal mio punto di vista.

La cosa è importante dal punto di vista teorico: cioè se l'antisemitismo, come sembra ne "La triplice oppressione", può essere propriamente definito come una "forma speciale" di razzismo o se esso ha un'importanza più grande e assume la dimensione di "strutture antisemite"; oppure fare questo forza il concetto, e dunque gli aspetti delle "strutture antisemite" non sono stati ricompresi tra le strutture fondamentali della triplice oppressione?

In questo secondo caso le biografie politiche e gli interessi dei partecipanti alla discussione hanno evidentemente giocato un ruolo.

Ciò riguarda una valutazione dell'antisionismo della sinistra giacché esso si è affermato come parte del lavoro di solidarietà verso i palestinesi nel contesto del nuovo anti-imperialismo degli anni '60.

E' a questo punto di partenza originario che devo rapportare le mie opinioni su certe azioni e comunicati dell'inizio di quest'anno - in particolare contro quelli che durante la Guerra del Golfo cercarono di cancellare il lavoro di solidarietà come "il peccato dei sessantottini".

Il concetto di antisemitismo è ancora utile o in ogni caso non è un problema secondario.

E' cruciale che ogni critica di Israele non sia macchiata dal risentimento antisemita, ma si occupi piuttosto di fatti concreti come le espulsioni e le confische delle terre eseguite dai coloni sionisti in Palestina, la repressione di massa dell'Intifada, il bombardamento dei campi profughi, il sostegno di Israele alle dittature militari e al Sud-Africa e il ruolo di Israele come potenza nucleare ed avamposto cruciale della NATO.

Queste cose devono essere ricordate nel 1993 perché alcuni vecchi militanti di sinistra vogliono usare delle generalizzazioni e moltiplicano teoricamente i concetti antisemiti rendendo impossibile ogni critica di Israele. (A scanso di equivoci: nessuno di questi vecchi militanti di sinistra è stato coinvolto ne "La triplice oppressione").

Nonostante queste differenze su singole questioni è chiaro nondimeno che "La triplice oppressione" non ha preso in considerazione l'importanza e il bisogno di una continua (auto)critica da parte della sinistra dell'antisemitismo.

Passiamo agli errori più generali e meno gravi presenti ne "La triplice oppressione".

La divisione, senza distinzione, di «diverse categorie di oppressione: sfruttamento, emarginazione, impotenza, imperialismo culturale e violenza» è più un'espressione di pigrizia che di qualcos'altro (v. Herrenvolk, pag. 58 ss.).

Queste categorie non sono compiute e possono essere conosciute e combinarsi tra loro a livello delle strutture fondamentali.

Il concetto di "oppressione" dev'essere formulato in modo più concreto in una discussione più approfondita.

Sono state avanzate delle critiche giuste (da LUPUS e da altri), cioè che "La triplice oppressione" parla di rapporti repressivi, ma senza descrivere gli aspetti interiori dei soggetti che vivono questi rapporti e li riproducono.

Ciò da l'impressione che ci sia una «parte contraria a (considerare) le contraddizioni» dentro gli individui, come se la "rete", in realtà, non fosse penetrata nei cuori e nei cervelli stessi degli individui.

Ne "La triplice oppressione" c'è anche una forte domanda di distruzione di rapporti che non sono legati ad un processo di emancipazione degli individui.

Quali forme di vita individuale sono rivoluzionarie sotto la triplice oppressione?

A cosa assomiglierebbero le rivoluzioni se fossero condotte secondo i modi di vivere emancipatori?

Sarebbe sbagliato proporre un soggetto monolitico a cui viene attribuita una propria identità indomita a causa della sua collocazione sociale.

Coscienza e rifiuto non sono «presupposti del processo politico», ma sono innanzi tutto «legati l'una all'altro attraverso le condizioni materiali, le esperienze, le concezioni del mondo, le interpretazioni tradizionali di situazioni determinate (la coscienza comune) e "il valore" e così essi vanno innanzi tutto menzionati come reali "interessi" politici. Le collocazioni sociali "oggettive" e le esperienze ad esse connesse vengono prima interpretate in un complesso e contraddittorio bilanciamento di "interessi"». E poiché «ogni individuo prende parte ad un'intera serie di rapporti sociali (privilegi ed oppressioni), c'è una pluralità di determinazioni che costruisce la collocazione di ciascun individuo. Ogni individuo è perciò necessariamente eterogeneo e con più sfaccettature».

(Hirsch, Capitalismo o alternativa?)

Poiché i sentimenti e "gli aspetti nascosti della personalità" hanno un'influenza sui pensieri e sulla prassi, la triplice oppressione dev'essere un argomento di psicologia politica.

Se l'analisi rinviasse sempre alle dimensioni sociali delle strutture interiori dei soggetti, allora non avrebbe niente a che fare con i modelli della psicologia.

Un altro concetto incompiuto ne "La triplice oppressione" è quello di "buchi bianchi".

Sebbene sia vero che ci sono molte lacune nella nostra comprensione e che gli errori spesso sono causati dall'ignoranza, il termine "buchi bianchi" usato ne "La triplice oppressione" sta a indicare molto più di questo.

«I filtri della verità» (D. King) dipendono dalla propria realtà soggettiva e sono legati agli strumenti di riconoscimento dei propri interessi.

Questi strumenti di riconoscimento (i "buchi bianchi", ndt.) non sono riflessi imperfetti del mondo reale nella forma di pensieri soggettivi, ma sono invece un modo e degli strumenti per rendere le realtà "invisibili".

Perciò riempire un "buco bianco" non significa riempire un quadro con le informazioni ricevute, ma significa invece aprire la porta a modi di pensare ed agire che erano precedentemente chiusi e di comprendere mondi nuovi e sforzarsi di viverci.

Questo basta non a cambiare la "fisionomia" di un individuo o della sinistra in generale, ma sta per cambiare invece la nostra intera realtà collettiva e soggettiva.

I richiami alla solidarietà e all'«altruismo» ne "La triplice oppressione" sono stati scambiati talvolta per un richiamo alla «politica rappresentativa». Ma insieme all'uso del concetto di «altruismo» dev'essere criticata la politica dello scoraggiamento, con la sue belle maniere e la sua conseguente continua frantumazione da parte di ogni posizione individuale.

L'errore intrinseco nell'«altruismo» è che esso implica una divisione non esplicitata tra il "sè" e "l'altro".

Sarebbe più corretto parlare di una "associazione di rapporti", in cui il "sè" è sempre presente e si sviluppa, perché essa accetta "gli altri" come parte dei medesimi rapporti tanto quanto sè stessi.

In altre parole: la franchezza, aprendosi e imparando dalla gente e dai rapporti al di là dei confini della propria esperienza immediata e traendone le conseguenze pratiche e personali, è ben lungi da una forma di «politica rappresentativa», ma è invece una forma di solidarietà praticata coscientemente dai soggetti.

Le occupazioni, i desideri e le lotte di quelli che di solito sono "gli altri" ora diventano le proprie, senza dimenticare o riprodurre i propri privilegi o le condizioni relative al proprio punto di partenza.

Ne "La triplice oppressione" sarebbe stato bene includere un paragrafo più lungo sul nuovo anti-imperialismo per trattare i nazionalismi ed alcuni esempi dei rapporti tra le metropoli e il Tricontinente.

Sarebbe stato importante pure un paragrafo di discussione contenente contributi antipatriarcali di uomini o uno sulla conoscenza e le esperienze dei militanti di sinistra dell'ex-Germania Est riguardo ai razzismi e al patriarcato.

Ma i promotori de "La triplice oppressione" non erano in grado di fare questo o non avevano legami diretti con questi temi - ma questo non dovrebbe trattenere nessun altro dal riempire queste lacune in qualche punto.

In conclusione, anche se questo può essere accennato solo incidentalmente, c'è qualcos'altro che è fondamentale per il lavoro quotidiano e che spesso viene dimenticato sotto la montagna di problemi connessi alla discussione sulla triplice oppressione.

Particolarmente nel momento in cui la destra e la sua ideologia sono in ascesa è indiscutibile che il concetto di "sinistra" dev'essere riempito con una nuova identità di contenuto.

Il nocciolo di ciò che s'intende come "sinistra" può essere espresso nel miglior modo con queste famose righe di Marx: «...cambiare tutti i rapporti in cui una persona è una presenza umiliata, sottomessa, abbandonata e disprezzata!»

L'analisi della triplice oppressione fa non semplicemente una critica dell'universalismo del «cambiare tutti i rapporti» dei militanti di sinistra manifestato sopra, ma critica molto di più, cioè il fatto che i militanti della (vecchia)sinistra non sono mai stati corretti nella loro stessa analisi universalista.

Per loro, "una persona" significava un lavoratore bianco, maschio delle metropoli - e cercavano solo di cambiare i rapporti che lo opprimono.

In contrasto con questo universalismo falso, "che rende invisibili", l'analisi della triplice oppressione riconosce tre fondamentali aspetti del dominio e rispetta l'autonomia delle donne, dei neri e dei lavoratori così come le loro stesse critiche dei rapporti e la loro propria (auto)organizzazione.

Ma questo è certamente un problema che può essere risolto sia teoricamente che praticamente, cioè: c'è un confine tra una strategia universalista del «cambiare tutti i rapporti» e il rispetto per l'autonomia e per la via scelta da altre persone per questo cambiamento dei rapporti?

E, ancora più importante: come può essere cancellato questo confine?

Nel senso della citazione di Marx riportata sopra,

«una persona finora è semplicemente conosciuta, ma mai raggiunta, condizione che può essere realizzata solo in una società che nega tutti i pregiudizi di sesso, "razza" e classe. Una (società) che sfida il modello finora dominante il quale determina non solo i comportamenti della gente, ma anche - per mezzo delle sue radici profonde - i suoi bisogni e i suoi sogni»

(Ingrid Strobl, La paura dei brividi di libertà)

Carcere di Werl, febbraio 1993

Klaus Viehmann

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